1. Argomenti a sostegno dell’applicazione retroattiva della norma sanzionatoria (ritenuta) più favorevole
Le parti di t.u.b. e t.u.f. che delineano i rispettivi sistemi sanzionatori amministrativi sono caratterizzate dalle stratificazioni derivanti dai ripetuti e ravvicinati interventi di riforma che, anche recentemente, le hanno interessate.
In un quadro di indubbia complessità, frequente è la contestazione, nei procedimenti promossi da Banca d’Italia e Consob e in quelli di opposizione dinanzi all’Autorità Giudiziaria, della disciplina oggetto di applicazione. Non è raro, infatti, che i soggetti coinvolti invochino la retroattività delle disposizioni di più recente introduzione pur in assenza di una norma che espressamente la consenta. Questa prospettazione si fonda sulla tesi della natura sostanzialmente “afflittiva” di sanzioni qualificate come amministrative con la correlata estensione delle garanzie previste dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea[1]. Il tema viene posto, soprattutto, riguardo alle modifiche apportate a t.u.b. e t.u.f. dal d.lgs. n. 72 del 2015 in attuazione della direttiva 2013/36/UE (CRD IV), delle quali è stabilita l’applicazione alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore della normativa secondaria demandata alla Banca d’Italia e alla Consob secondo le rispettive competenze(cfr. gli artt. 2, comma 3, e 6, comma 2, del decreto)[2].
Va evidenziato che, a seguito del d.lgs. n. 72 del 2015,società ed enti sono divenuti diretti destinatari della sanzione e non risultano meri obbligati in via solidale, come in precedenza[3]. Quanto agli esponenti aziendali e al personale, la sanzione può essere comminata solo a seguito dell’accertamento dei presupposti indicati dalla legge, tra cui la positiva valutazione circa l’incidenza della specifica condotta rispetto alla violazione (artt. 144-ter t.u.b. e 190-bis t.u.f.). Quest’impostazione, confermata dai successivi interventi del legislatore, consentirebbe di meglio distinguere ruoli e posizioni dei singoli e di evitare automatismi e oggettivizzazioni nell’esercizio del potere punitivo delle Autorità di Vigilanza per il mero fatto di ricoprire una carica o svolgere una qualche funzione in banche e intermediari finanziari[4].
In buona sostanza, la disciplina più recente è ritenuta applicabile anche a situazioni precedenti il momento di sua entrata in vigore, in quanto, da un lato, concerne sanzioni amministrative di cui si afferma il carattere “afflittivo” con la conseguente estensione, in via interpretativa, delle garanzie proprie del sistema penale e, da altro lato, appare come la più favorevole nella prospettiva degli esponenti e del personale.
2. Afflittività e retroattività: gli orientamenti della giurisprudenza e delle Autorità di Vigilanza
L’“afflittività” dei regimi sanzionatori amministrativi di t.u.b. e t.u.f. è costantemente negata da Banca d’Italia e Consob in linea con gliindirizzi espressi dalla giurisprudenza, che comunque distingue fra le sanzioni in materia di abusi di mercato (per cui è in effetti riscontrato il carattere “afflittivo”: sul punto si tornerà nel successivo paragrafo) e le altre fattispecie previste da entrambi i Testi Unici[5]. Per queste ultime, l’esclusione della natura sostanzialmente penale farebbe venir meno ogni possibilità di applicazione retroattiva della lex mitior[6].
L’esigenza che traspare è di evitare improprie espansioni del perimetro della “afflittività” e, così, l’indifferenziata assimilazione delle sanzioni amministrative di t.u.b. e t.u.f. alle pene in senso proprio[7]. D’altronde, viene messo in dubbio, con riferimento al d.lgs. n. 72 del 2015, che la normativa più recente sia anche quella maggiormente favorevole per le persone fisiche e, anzi, è rilevato un inasprimento delle sanzioni sia pur legato a presupposti parzialmente diversi[8].
In base a questo orientamento di giurisprudenza e Autorità di Vigilanza, il principio considerato,nel caso di successione di leggi nel tempo, è quellodel tempus regit actumquale previsto in via generale in materia di sanzioni amministrative ai sensi della l. n. 689 del 1981[9]. Coerente con detto principio è la già citata normativa transitoria delineata nel d.lgs. n. 72 del 2015, la quale conferma che le modifiche a t.u.b. e t.u.f. riguardano unicamente violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni attuative di Banca d’Italia e Consob[10]. La chiara opzione compiuta dal legislatore con il d.lgs. n. 72 del 2015, insieme all’esclusione della natura sostanzialmente penale delle sanzioni, conduce a ritenere infondata l’interpretazione prospettata dagli interessati in ordine all’applicazione retroattiva della (affermata) lex mitior e, così, a respingere le eccezioni formulate sul punto nelle difese svolte dai medesimi nei procedimenti avviati dalle Autorità e in giudizio.
3. Precisazioni sulla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo alla disciplina transitoria del d.lgs. n. 72 del 2015
La giurisprudenza, come dianzi segnalato, riconosce il carattere “afflittivo” delle sanzioni amministrative previste dal t.u.f. in tema di abusi di mercato, richiamando i criteri e gli indirizzi espressi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[11]. Da questa qualificazione è derivato il promuovimento di questioni di legittimità costituzionale che sono risultate dirette a verificare la conformità di vari profili della relativa disciplina rispetto alle garanzie in materia penale[12].
Tra le questioni pendenti ci si deve qui soffermare su quella inerente alla disciplina transitoria delineata dal d.lgs. n. 72 del 2015 riguardo al t.u.f. (art. 6, comma 2, del decreto), che è stata sollevata dalla Corte d’Appello di Milano nell’ambito di un procedimento di opposizione concernente un caso di abuso di informazioni privilegiate[13]. L’ordinanza di rimessione muove dall’accertamento della natura “afflittiva” della sanzione opposta al di là della qualificazione come amministrativa operata dal legislatore; quindi, prospetta una situazione di contrasto tra l’esclusione della retroattività della lex mitior e gli artt. 3 e 117 Cost., quest’ultimo rispetto all’art. 7 CEDU[14].
Il Giudice remittente non trascura i già richiamati orientamenti giurisprudenziali in merito all’inapplicabilità della disciplina introdotta con il d.lgs. n. 72 del 2015 a fatti precedenti il momento di sua entrata in vigore. E’ altresì considerato che la Corte Costituzionale ha ritenuto infondati i dubbi di costituzionalità formulati in relazione all’art. 1 della l. n. 689 del 1981, nella parte in cui non prevede l’applicazione della legge sopravvenuta più favorevole agli autori di illeciti amministrativi[15]. La Corte d’Appello di Milano osserva comunque che tale ultimo pronunciamento ha riguardato “l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata (…) del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative”; viceversa, la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla stessa Corte d’Appello “non si riferisce alla generalità delle sanzioni amministrative, ma unicamente a una previsione normativa di carattere certamente afflittivo”, a cui va perciò limitata.
4. Alcuni spunti sull’“afflittività” delle sanzioni amministrative di t.u.b. e t.u.f.
Dalla ricostruzione pur sommaria che precede, emerge che l’estensione del principio della retroattività della norma più favorevole è da valutare rispetto alle singole fattispecie sanzionatorie amministrative di t.u.b. e t.u.f. e non, invece, in generale relativamente ai complessivi sistemi delineati negli stessi Testi Unici; inoltre, che si deve verificare, riguardo a ciascuna di tali sanzioni, se sussistano i presupposti per affermarne la natura sostanzialmente “afflittiva”. Di qui l’esigenza di analizzare gli interessi protetti, la funzione e la tipologia della sanzione, nonché la sua gravità, che è da considerare anche rispetto all’incidenza nella sfera personale degli autori delle violazioni.
Risulta, in quest’ultima prospettiva, il progressivo ampliamento dei casi per cui la legge stabilisce la comminazione, automatica o eventuale, di sanzioni amministrative accessorie comportanti la perdita dei requisiti di idoneità e l’interdizione a operare nei settori bancario e finanziario[16]. E’ comunque da osservare che analogo impedimento potrebbe derivare dalla applicazione di sanzioni amministrative solo pecuniarie a fronte della disciplina che si va delineando, in sede europea e nazionale, in tema di accertamento dei requisiti di idoneità degli esponenti di banche e intermediari finanziari. Ai fini di tale valutazione, pur in assenza di automatismi, assume rilevanza l’irrogazione di qualunque sanzione amministrativa per illeciti in materia societaria, bancaria e finanziaria, come pure lo svolgimento di incarichi in enti a cui sia stata inflitta una sanzione da una Autorità di Vigilanza[17].
Al di là di tali previsioni e orientamenti, si deve altresì richiamare l’attenzione sui delicati e rilevanti riflessi reputazionali per i soggetti che operano nei settori bancario e finanziario correlati alla comminazione di sanzioni amministrative e, ancor prima, al mero coinvolgimento in procedimenti sanzionatori. Diviene prioritario per gli stessi evitare non solo un esborso monetario, quand’anche di rilevante ammontare, quanto, piuttosto, negative ripercussioni sulla fiducia di cui si gode nell’ambiente di riferimento. Non può nemmeno trascurarsi che gli accertamenti compiuti dalle Autorità di Vigilanza possono costituire il fondamento di ulteriori tipologie di responsabilità di natura sia civile che penale, con altri gravi riflessi personali. E’ noto, in proposito, l’indirizzo della giurisprudenza di attribuire alle risultanze di questi accertamenti un pregnante grado di attendibilità in ragione della qualità degli enti dai quali provengono[18].
Va invero segnalato che, proprio richiamando l’incidenza sotto il profilo reputazionale degli interventi delle Autorità di Vigilanza, talune pronunce di merito hanno accertato la natura “afflittiva” di sanzioni amministrative del t.u.f. diverse da quelle relative agli abusi di mercato. In queste decisioni, si individuano, quali indici dell’“afflittività”, la gravità delle sanzioni pecuniarie previste dagli artt. 190 e 191 t.u.f., l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 16 della l. n. 689 del 1981 circa il pagamento in misura ridotta e, soprattutto, il regime pubblicitario dei provvedimenti sanzionatori e le conseguenti ripercussioni per l’immagine dei destinatari. La rilevazione del carattere sostanzialmente penale ha dato luogo al promuovimento di questioni di legittimità costituzionale, che hanno riguardato il profilo della pubblicità del giudizio in relazione alla norma procedurale dell’art. 195, comma 7, t.u.f. e il principio del ne bis in idem con riferimento ai provvedimenti cautelari nei confronti di consulenti finanziari[19].
Analoghe aperture, sempre quanto a fattispecie sanzionatorie estranee agli abusi di mercato,non risultano invece riguardo alla questione qui considerata dell’individuazione della disciplina applicabile nel caso di successione di leggi nel tempo. Come si è visto, nonostante le sollecitazioni provenienti dai destinatari delle contestazioni, la giurisprudenza e, in linea con essa, le Autorità di Vigilanza sono rimaste allo stato ferme nell’escludere qualunque riconsiderazione in ordine all’estensione del principio della retroattività della lex mitior[20]. In questa prospettiva, risultano sinora obliterate le istanze volte a una maggiore tutela della posizione dei soggetti passivi, pur essendo la stessa potenzialmente incisa, per i rilevanti effetti sopra descritti, dagli interventi di carattere sanzionatorio delle Autorità di settore.
[1] V., specialmente, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 17 settembre 2009 (Scoppola c. Italia), per cui “l’articolo 7 § 1 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa”. L’art. 49, comma 1, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea stabilisce inoltre che, “se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima”.
[5] E’ consolidato l’indirizzo per cui “le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 190 e ss. (cd. TUF) non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle inflitte ai sensi dell’art. 187-terdel TUF per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime” (così, da ultima, Cass., 20 aprile 2018, n. 9919).
[6] Sul punto, oltre alle sentenze citate di seguito, Cass., 2 settembre 2016, n. 17510.
[7] Cfr. Cass., 30 giugno 2016, n. 13433, in cui si evidenzia come “la ricorrenza di alcuni caratteri comuni non comporta, di necessità, l’equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale a tutti gli effetti, in virtù di assonanze formali, talvolta ridondanti nella magia delle parole (“afflittività”)”.
[8] V., ancora, Cass., 30 giugno 2016, n. 13433.
[9] In questo senso, Cass., 2 marzo 2016, n. 4114.
[10] La l. n. 154 del 2014 – recante la delega al Governo per il recepimento della direttiva 2013/36/UE – imponeva al legislatore delegato di “valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modificadella disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione” (art. 3, comma 1, lett. m, n. 1).
Come risulta dalla relazione allo schema di decreto, “non si è ritenuto di introdurre il principio del favor rei”, posto che tale principio “è stato accolto, anche dalla Corte Costituzionale, solo per la materia tributaria, mentre sono rimasti esclusi gli altri innumerevoli ambiti per i quali sono previste sanzioni amministrative” e, in particolare, “non è (…) stato introdotto nella legge 24 novembre 1981, n. 689 che rappresenta l’architrave delle sanzioni amministrative e che invece accoglie il principio di legalità solo nell’accezione del principio di irretroattività della legge”.
[11] Cfr. la nota sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 4 marzo 2014 (Grande Stevens e altri c. Italia), nonché le più recenti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in data 20 marzo 2018 (Garlsson Real Estatee altri c. Consob; Di Puma e Zecca c. Consob).
In argomento, v. lo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 16 maggio 2018, per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato.
[14] Cfr. nt. n. 1.
[15] Cfr. Corte Cost., 20 luglio 2016, n. 193.
[16] Con riferimento a sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 144 t.u.b., la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni escluso l’equiparabilità a quelle in materia di abusi di mercato e, così, l’estensione delle conclusioni a cui è pervenuta la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza del 4 marzo 2014 (Grande Stevens ed altri c. Italia) in ragione, tra l’altro, proprio della mancata previsione di sanzioni accessorie: cfr. Cass., 5 agosto 2016, nn. 16586 e 16587; Cass., 4 agosto 2016, n. 16313; Cass., 24 febbraio 2016, n. 3656.
La “particolare afflittività” della sanzione accessoria della interdizione dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso soggetti autorizzati, fondi pensioni e società quotate è segnalata nella citata relazione allo schema di decreto legislativo di adeguamento al regolamento (UE) n. 596/2014 sugli abusi di mercato in relazione alla nuova formulazione dell’art. 187-quater t.u.f.
[17] Cfr. le linee guida ESMA ed EBA sulla valutazione di idoneità dei membri dell’organo di gestione e dei titolari di “funzioni chiave” in banche e intermediari finanziari, nonché la Guida BCE aggiornata al maggio 2018; quanto all’ordinamento interno, lo schema di regolamento ministeriale in materia di requisiti e criteri di idoneità degli esponenti di banche ed enti finanziari, che è consultabile nel sito www.dt.tesoro.it.
[18] Cfr., da ultima, Cass., 30 maggio 2018, n. 13679.
[19] Con riferimento all’art. 195, comma 7, t.u.f., v. le ordinanze di rimessione della Corte d’Appello di Firenze in data 23 e 24 marzo 2015, 8, 15 e 16 aprile 2015, 4 e 13 maggio 2015, 11 giugno 2015, nonché della Corte d’Appello di Genova in data 8 gennaio 2015.
La Corte Costituzionale, con ordinanza del 7 luglio 2017, n. 158, ha disposto la restituzione degli atti ai Giudici remittenti per la sopravvenuta modifica della disposizione, anche riguardo ai giudizi in corso, da parte del d.lgs. n. 72 del 2015.
Tuttora pendente è la questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto all’art. 55, comma 2, t.u.f. dal TAR Lazio in data 29 gennaio 2018.
[20] In particolare, Cass., 7 aprile 2017, n. 9126, espressamente esclude “la rilevanza della questione di legittimità costituzionale prospettata (…) in merito al contrasto del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, di recepimento della Direttiva CRD IV (…) con gli artt. 3 e 117 Cost. nella parte in cui non prevede l’applicazione del principio del favor reicon riferimento alle sanzioni amministrative irrogate ai sensi del TUIF prima dell’entrata in vigore del medesimo D.Lgs.”.