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Editoriali

Evaporazione virtuale dell’intermediazione in banca

29 Gennaio 2018

Ugo Morelli

Di cosa si parla in questo articolo

Consistenze immateriali é un ossimoro. L’abbiamo usato qualche anno fa per rappresentare le esperienze e i vissuti degli operatori dell’alta finanza. La loro evidente alienazione appariva collegata all’immaterialità degli oggetti del loro lavoro, i quali però erano allo stesso tempo decisamente consistenti. Di una consistenza che li coinvolgeva in modo inarrestabile per ventiquattro ore al giorno, mentre giravano col pianeta e le borse dei diversi paesi (Ugo Morelli, Consistenze immateriali, Guerini e associati, Milano). Intermediavano, certo, ma percepivano allo stesso tempo la volatilità degli oggetti e un senso di provvisorietà di se stessi in quella professione. Avevano tutti i simboli di status derivanti dai vantaggi importanti di svolgere quella professione, ma portavano con loro un sentimento da Deserto dei Tartari o da Aspettando Godot. Mentre però né Godot né il nemico arrivano, l’evaporazione nel Banking e nel Financing é arrivata. Non é facile stabilire se è stata la crisi internazionale a determinarla o l’accelerazione esponenziale delle superintelligenze sostenute dall’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Prima le asimmetrie informative, che avevano evidenziato i limiti e i fallimenti delle capacità decisionali umane, poi la pervasiva virtualizzazione dei processi lavorativi nel lavoro bancario e nella finanza in particolare, hanno trasformato radicalmente la scena professionale e il sistema delle relazioni con i clienti al punto da rendere irriconoscibili le forme precedenti di lavoro. Oggi le strutture fisiche delle banche, con i loro costi di gestione, quelle stesse strutture che avevano indicato nel tempo simboli di solidità e forza, sono simulacri archeologici, ma non per questo smettono di costare e pesare. Non si pone, quindi, solo un problema reputazionale riguardante la crisi di fiducia nel sistema bancario, ma anche una questione relativa alla cosiddetta “quarta rivoluzione”, quella dell’avvento dell’infosfera, con le sue conseguenze nella vita di tutti noi, delle istituzioni e delle imprese di ogni tipo. Quella rivoluzione incide già e ancor più inciderà in maniera pervasiva nell’evoluzione del credito e della finanza, con un portato di profonda dematerializzazione e crisi dell’intermediazione. Vi è peraltro, in maniera evidente, una corrispondenza con la crisi di ogni istanza di intermediazione e della rappresentazione di sé nel disordine della tarda modernità. Con esiti problematici in termini di individualismo e solitudine. Quello che avevamo rilevato nell’esperienza degli operatori dell’alta finanza era solo un’anticipazione di quanto in modo diffuso sta accadendo sotto i nostri occhi. L’economia dell’accesso mediato dalle tecnologie salta a piè pari i ruoli professionali tradizionali in banca fornendo immagini evolutive che richiamano situazioni come quelle dei caselli autostradali: così come in quel caso a ognuno di noi capita di chiedersi cosa ci faccia ancora lì un essere umano che ritira i soldi del pedaggio, alla stessa maniera buona parte delle attività tradizionali della banca sono ormai appannaggio di transazioni “fredde” mediate solo da tecnologie. La domanda diventa allora, anche alla luce delle prime e incerte esperienze di monete virtuali, cosa stanno facendo le aziende di credito per fra fronte a questa profonda rivoluzione. Stanno subendo? Stanno reagendo? Stanno evolvendosi adeguatamente? Osservando la realtà, di evoluzione professionale e organizzativa se ne vede poca, per ora, e lo sviluppo verso servizi “caldi” capaci di relazioni con i clienti basate sulla consulenza personalizzata ed evoluta, e di anticipazione mediante la formazione (Forsigth Management), ancora meno. Ma su quest’ultimo punto torneremo alla prossima puntata.

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