La dichiarazione di fallimento è compatibile con l’avvenuta sottoposizione dell’intero patrimonio di una società a sequestro preventivo antimafia. L’insussistenza di massa attiva da ripartire fra i creditori, infatti, non è di ostacolo all’apertura della procedura fallimentare, della quale è prevista la chiusura anche per mancanza di attivo, ai sensi dell’art. 118, co. 1, n. 4 1.fall. L’art. 63, co. 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (cd. Codice Antimafia), d’altronde, prevede espressamente la chiusura (non, invece, la revoca) del fallimento, ex art. 119 1. fall., allorquando nella massa attiva siano ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro e una regola omologa vige all’art. 64, co. 7, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per il caso di sequestro o confisca sopravvenuti al fallimento. Parimenti, l’art. 63, co. 1 e 4, citato, dà per presupposta la dichiarazione di fallimento, limitandosi a regolare rispettivamente la sua instaurazione e la sorte dei beni già oggetto della misura di prevenzione o anche della confisca; mentre, in caso di previo fallimento, è il giudice delegato che, ai sensi dell’art. 64, co. 1, l. fall., dispone la separazione dei beni e la loro consegna all’amministratore giudiziario.
Alla misura preventiva patrimoniale non può concedersi efficacia ostativa assoluta all’apertura del fallimento: le due procedure si fondano invero su presupposti differenti (quanto al fallimento: l’insolvenza, i requisiti soggettivi temporalmente determinati, la non cessazione dell’attività), il cui accertamento non è ripetibile identicamente ad epoche diverse, giudicandosi pertanto irrazionale una posticipazione della tutela dei creditori a fronte di un interesse pubblico che può, nel frattempo, divenire recessivo.