Nella pronuncia in commento la Corte di Cassazione ribadisce ancora una volta il proprio consolidato orientamento secondo cui le società aventi ad oggetto attività commerciale sono sempre assoggettabili a fallimento, indipendentemente dal fatto che esercitino effettivamente suddetta attività (ex plurimis, Cass. Civ., sent. 16.12.2013, n. 28015; Cass. Civ., sent. 6.12.2013, n. 28015).
In particolare, la vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte della società ricorrente, della sentenza della Corte d’Appello che aveva respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento. I giudici di secondo grado avevano ritenuto possibile l’assoggettamento a fallimento dell’impresa ricorrente in quanto avente natura commerciale, essendo infatti dedita ad eseguire varie operazioni in campo immobiliare.
La Suprema Corte, confermando quanto statuito dalla Corte d’Appello, ribadisce l’assoggettabilità a fallimento delle società che svolgono attività di carattere commerciale, in ragione del fatto che esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale non tanto all’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa quanto, piuttosto, al momento della loro costituzione.
Gli Ermellini citano un proprio specifico precedente (Cass. Civ., sent. 26.6.2001, n. 8694) nel quale, similmente della vicenda in esame, nell’oggetto sociale dell’impresa erano ricompresi l’acquisto, la vendita, la permuta, l’edificazione e la successiva vendita di fabbricati, oltre alla gestione diretta di immobili, tutti indizi che confermavano la natura commerciale della società.
Nel caso di specie, infatti, dall’esame dei giudici risulta che la società ha chiaramente svolto nel tempo attività di godimento e di disposizione dell’immobile sociale: appare pertanto difficile non attribuire carattere commerciale all’attività dalla stessa esercitata.