Nella pronuncia che si annota la Corte di Cassazione coglie l’occasione per ribadire il proprio consolidato orientamento in base al quale il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito ed ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento, non è qualificabile come credito di massa, non potendo pertanto venire soddisfatto in prededuzione ai sensi dell’art. 111, comma 1, L. Fall.
La decisione della Suprema Corte trae origine dal ricorso di un legale avverso il decreto del Tribunale di Roma con cui veniva respinta l’opposizione allo stato passivo da questi presentata al fine di ottenere l’ammissione in prededuzione per il credito di rivalsa Iva sulle somme effettivamente ripartite, correlato al credito per prestazioni professionali, ammesso allo stato passivo del Fallimento in privilegio ex art.2751-bis n.2 c.c.
La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, si rifà al proprio costante orientamento in base al quale negli ultimi anni ha costantemente affermato il principio sopra riportato. Il ragionamento alla base della decisione della Corte si basa sull’analisi del dettato di cui all’art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo. Tale disposizione non stabilisce una regola generale valida per ogni branca del diritto, ma individua solamente il momento in cui l’operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura (in alternativa al momento di prestazione del servizio): dal punto di vista civilistico, pertanto, la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento rimane l’evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, del tutto autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso.
Il suddetto credito di rivalsa, non essendo sorto verso la gestione fallimentare come spesa o credito dell’amministrazione o dall’esercizio provvisorio, può allora giovarsi del solo privilegio speciale di cui all’art. 2758, comma 2, c.c., nel caso in cui sussistano beni su cui esercitare la causa di prelazione.
La Suprema Corte, a scanso di equivoci, precisa inoltre che, nel caso in cui il predetto credito non dovesse trovare utile collocazione in sede di riparto, non verrebbe a configurarsi nemmeno un caso di indebito arricchimento, posto che il vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell’IVA di cui alla fattura costituirebbe una conseguenza del sistema di contabilizzazione dell’imposta e non di un’anomalia distorsiva del sistema concorsuale.