Al fine di favorire la necessaria collaborazione tra amministrazione pubblica e contribuenti, l’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 (lo “Statuto dei diritti dei contribuenti”) assegna a questi ultimi termine di sessanta giorni – decorrenti dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo – per la comunicazione di osservazioni e richieste, che devono essere valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato dall’ente impositore prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata “urgenza”.
Con la sentenza in esame la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla portata che, nell’ipotesi di fallimento del contribuente, il requisito della “urgenza” deve avere ai fini della corretta applicazione della norma de qua.
Nel caso di specie, parte ricorrente ha sostenuto che l’ “urgenza” di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti dei Contribuenti non possa essere invocata là ove (i) il termine per la tempestiva insinuazione da parte dell’Erario sia già decorso e (ii) non sussistano ragioni per temere che il rispetto del termine dilatorio di cui alla medesima norma possa in qualche modo pregiudicarne l’insinuazione in via tardiva.
Al riguardo, i giudici di legittimità hanno affermato che in ogni caso di fallimento del contribuente, risulta sussistere ex se il requisito dell’ “urgenza”, talché l’Erario può validamente notificare l’avviso di accertamento pur senza l’osservanza del termine dilatorio predetto. E ciò per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, l’ “urgenza” di notificare gli accertamenti sussiste in re ipsa ed è identificabile con la necessità per l’Erario di ottenere in tempi rapidi il titolo utile per insinuarsi al passivo fallimentare. Ciò a prescindere dalla circostanza che l’insinuazione al passivo possa avvenire in via tempestiva ovvero tardiva, giacché, anche in questa seconda ipotesi, l’ente impositore avrebbe interesse ad esercitare tutti gli altri diritti e azioni che la veste di intervenuto gli assegna e la tutela dei quali potrebbe essere pregiudicata dal rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti dei contribuenti.
In secondo luogo, come noto, in pendenza di procedura fallimentare, il soggetto legittimato all’esercizio degli atti conservativi del patrimonio del fallito, ivi incluso l’esercizio della facoltà di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti dei contribuenti, è il curatore, il quale a sua volta è sottoposto (i) alla vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori (art. 31 l.f.) e (ii) al rispetto di precise scansioni temporali e obblighi informativi (art. 33 l.f.). Conseguentemente, il termine dilatorio di sessanta giorni, anche ove concesso, non sarebbe comunque idoneo a consentire al curatore di esercitare tempestivamente la facoltà di comunicare eventuali osservazioni o richieste ex art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti dei contribuenti.
In conclusione, i giudici di legittimità hanno escluso che la soluzione prospettata dalla ricorrente possa costituire una violazione dell’art. 3 Cost.: la diversità di trattamento che si viene a creare nei confronti del contribuente in bonis, da un lato, e nei confronti del contribuente fallito, dall’altro, trova infatti la sua ratio giustificatrice nella diversità delle due posizioni soggettive.