Sommario: 1. Cenni introduttivi; 2. La cornice normativa di riferimento; 3. Tutela del credito del subappaltatore in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica; 3.1. Segue: l’orientamento favorevole al riconoscimento della prededuzione; 3.2. Segue: l’orientamento contrario al riconoscimento della prededuzione; 3.3. Segue: l’intervento delle Sezioni Unite; 4. Il meccanismo del “pagamento diretto” e superamento della responsabilità solidale per gli obblighi contributivi e retributivi; 5. Conclusioni.
1. Cenni introduttivi
La frequente ricorrenza, nella pratica, dell’ipotesi di sopravvenuta insolvenza dell’impresa affidataria di un appalto pubblico riconducibile, nella maggior parte dei casi, ai ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione committente, ha stimolato una crescente attenzione degli operatori e degli esperti del settore con particolare riguardo ai rapporti tra appalto pubblico, subappalto e trattamento delle rispettive posizioni nell’ambito della procedura di fallimento.
Proprio le esigenze di salvaguardia dell’azienda e dei suoi valori, che negli ultimi anni si stanno facendo sempre più stringenti e maggiormente avvertite, hanno determinato un avvicinamento tra le strade delle procedure concorsuali (o, quanto meno, di alcune di esse) e degli appalti pubblici, che in passato hanno invece corso su strade parallele che sembravano destinate a non intersecarsi[1].
Un punto di interferenza fra il diritto concorsuale e quello degli appalti pubblici, di crescente interesse per gli operatori del diritto, è rappresentato dal problema del trattamento dei crediti maturati dai subappaltatori e della sorte a questi spettante in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica[2].
Negli ultimi anni si è infatti sviluppato un vivace dibattito giurisprudenziale che ha indotto i giudici, sia di merito che di legittimità, ad interrogarsi se le ragioni di tutela dei crediti dei subappaltatori possano, di per sé, giustificare deroghe al principio della par condicio creditorum, o se, invece, il subappaltatore che abbia adempiuto le sue prestazioni in favore del debitore in bonis resti pur sempre un creditore concorsuale come gli altri, salve le cause legittime di prelazioneche spetta al legislatore introdurre e disciplinare secondo l’ordine previsto dagli artt. 2777 c.c. e segg. Tutto ciò senza, peraltro, trascurare che la preferenza nel concorso comporterebbe, come pendant, la responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatori per tributi e contributi non versati[3].
Il contrasto giurisprudenziale è stato recentemente composto dall’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno riconosciuto la natura chirografaria ai crediti dei subappaltatori che chiedono l’ammissione al passivo dell’appaltatore di opera pubblica fallito, proprio in ragione della mancanza, per il fallimento, di una concreta utilità della prestazione eseguita dal subappaltatore.
2. La cornice normativa di riferimento
Sin dagli anni ‘90 il legislatore ha tentato di porre rimedio alla “fragile” posizione dei subappaltatori, ritenuti – a ragione – la parte debole della contrattazione pubblica in tema di affidamento di commesse, in particolare sul fronte della tutela del diritto di credito nei confronti dell’appaltatore nelle ipotesi di sopravvenuto fallimento dell’appaltatore, anche tenuto conto che la dichiarazione di fallimento dell’appaltatore determina, a norma dell’art. 81, comma 2, l.fall. lo scioglimento del contratto di appalto pubblico “se la considerazione della qualità soggettiva è stata un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto. Sono salve le norme relative al contratto di appalto per le opere pubbliche”.
Con l’art. 18, comma 3 bis, della Legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall’art. 34, D. Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, il nostro ordinamento aveva previsto che “Nel bando di gara l’amministrazione o ente appaltante deve indicare che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l’importo dei lavori dagli stessi eseguiti o, in alternativa, che è fatto obbligo ai soggetti aggiudicatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi aggiudicatari via via corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l’indicazione delle ritenute di garanzia effettuate”.
Ai sensi della disposizione appena richiamata, il committente era chiamato ad indicare nel bando se avesse provveduto “a corrispondere direttamente al subappaltatore l’importo dei lavori” – con conseguente insorgenza, in capo al committente, di un’obbligazione di pagamento nei confronti del subappaltatore e, parallelamente, di un credito in capo a quest’ultimo nei confronti del solo committente -, oppure se fosse stato obbligo dei soggetti aggiudicatari provvedere a tale pagamento, trasmettendo poi al committente copia delle fatture debitamente quietanzate dai subappaltatori – con conseguente estraneità del committente rispetto al contratto di subappalto.
Entrambe le modalità di pagamento presentavano un limite, siccome il trait d’union dei pagamenti dei subappaltatori rimaneva l’appaltatore, in quanto, nel caso di pagamento diretto, sarebbe stato cura dell’appaltatore comunicare la parte dei lavori eseguita dal subappaltatore con la specificazione del relativo importo e con proposta motivata di pagamento, mentre nel caso in cui il pagamento fosse avvenuto da parte del medesimo, sull’appaltatore sarebbe gravato l’obbligo di successiva produzione alla stazione appaltante delle fatture quietanzate[4].
Il citato art. 18, comma 3 bis, della Legge 19 marzo 1990, n. 55, tuttavia, non prevedeva alcuna “sanzione” nei confronti dell’appaltatore non adempiente all’obbligo di trasmettere tempestivamente le fatture quietanzate riferite ai subappaltatori. Dunque, il subappaltatore, a fronte di un inadempimento dell’appaltatore rispetto all’obbligazione di pagamento del corrispettivo, era sfornito di tutela ulteriore a quella ordinaria di inadempimento contrattuale.
Solo con l’art. 118, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006 (il “Vecchio Codice Appalti”), che ha mantenuto la sopra richiamata alternativa tra pagamento diretto e trasmissione di copia delle fatture quietanzate, è stata per la prima volta introdotta la “sanzione” della sospensione dei pagamenti successivi in favore dell’appaltatore inadempiente all’obbligo di trasmissione delle copie delle fatture quietanzate dei pagamenti ai subappaltatori, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento.
Tutto cambia, come si vedrà più ampiamente infra, paragrafo 4, con l’art. 105, D.Lgs. n. 50/2016 (il “Nuovo Codice Appalti”), che nell’eliminare la previsione secondo la quale il pagamento del subappaltatore costituisce condizione di esigibilità del credito dell’appaltatore, prevede ora che nel caso di inadempimento da parte dell’appaltatore e su richiesta del subappaltatore, se la natura del contratto lo consente, la stazione appaltante sia tenuta al pagamento diretto al subappaltatore quando questo sia una microimpresa o una piccola impresa.
La nuova disciplina è coerente con quanto previsto dall’art. 173 della Dir. 2014/24/UE, secondo la quale ciascun Stato membro può prevedere che “su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente, l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore per i servizi, le forniture o i lavori forniti all’operatore economico cui è stato aggiudicato l’appalto pubblico” e che sia possibile anche “prevedere disposizioni più rigorose in tema di responsabilità in materia di pagamenti diretti ai subappaltatori”.
3. Tutela del creditodel subappaltatore in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica
Proprio il meccanismo delineato dall’art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti – riguardante, come si è visto, la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest’ultimo al subappaltatore – ha indotto la giurisprudenza ad interrogarsi, adottando soluzioni contrastanti, se sia o meno configurabile un nesso tra il disposto dell’art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti – nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 145 – e l’istituto fallimentare della prededuzione di cui all’art. 111 l. fall..
Secondo la norma da ultimo citata, infatti, sono prededucibili i crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali, tenuto conto che sono crediti funzionali quelli per oneri riconducibili ad attività o iniziative di terzi, espletate anche anteriormente all’inizio della procedura, ma destinate ad avvantaggiare il ceto creditorio perché contratte al servizio di essa, secondo un rapporto di inerenza necessaria, in quanto comportanti un’utilità per la massa dei creditori non diversamente conseguibile.
Nel caso del credito spettante al subappaltatore, il nesso tra attività da quest’ultimo svolta e la procedura fallimentare sarebbe evanescente, perché la prima non viene realizzata né al fine di supportare la seconda o i compiti dei suoi organi, né in vista di essa.
Ciò nonostante, proprio la tematica del compenso del subappaltatore ha portato una parte della giurisprudenza ad elaborare una sorta di “torsione” concettuale della prededuzione, ancorandola ad una (del tutto) peculiare nozione di utilità per la procedura.
3.1. Segue: l’orientamento favorevole al riconoscimento della prededuzione
La questione del significato da attribuire all’art. 111 l.fall. è stata per la prima volta affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 5 marzo 2012, n. 3402[5], con la quale è stato affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, ora menzionato dall’art. 111 l. fall., va inteso non soltanto con riferimento al nesso tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e dunque risponda agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare. Invero, la prededuzione attua un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma anche tutte quelle che interferiscono con l’amministrazione fallimentare ed influiscono sugli interessi dell’intero ceto creditorio”.
Nella pronuncia citata la Corte di Cassazione ha precisato che il collegamento occasionale ovvero funzionale posto dall’art. 111 l. fall. deve intendersi riferito al nesso, non tanto cronologico né solo teleologico, tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, strumentale in quanto tale a garantire la sola stabilità del rapporto tra terzo e l’organo fallimentare, ma altresì nel senso che il pagamento di quel credito, ancorché avente natura concorsuale, rientra negli interessi della massa.
Più in dettaglio, l’art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti, nel prevedere una “condizione di esigibilità” del credito del subappaltatore determina un meccanismo tale per cui solo la soddisfazione del credito da subappaltatore permette al fallimento di reclamare quanto di spettanza dalla stazione appaltante, acquisendolo all’attivo fallimentare.
La strumentalità “necessaria” che collega il pagamento del subappaltatore e la soddisfazione del credito dell’impresa fallita da parte della committenza impone per la pretesa del primo il marchio della prededucibilità nel fallimento della seconda.
In altre parole, secondo questo orientamento, dunque, il meccanismo configurato dall’art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti, determina, dunque, una condizione di esigibilità del pagamento da parte della stazione appaltante anche in caso di sopravvenuto fallimento dell’appaltatore, con la conseguenza che il soddisfacimento del subappaltatore si pone quale momento imprescindibile, in quanto consente all’appaltatore (subappaltante) fallito di ottenere dalla stazione appaltante il pagamento del proprio credito.
La prededuzione, dunque, andrebbe riconosciuta al subappaltatore, in quanto comporti un sicuro vantaggio per la procedura conseguente al pagamento della stazione appaltante, che abbia subordinato la dazione di una maggior somma alla quietanza del subappaltatore sull’avvenuta soluzione del suo credito[6].
3.2. Segue: l’orientamento contrario al riconoscimento della prededuzione
Recentemente la Suprema Corte di Cassazione si è espressa in termini contrari rispetto all’indicato orientamento, ritenendo che: “In caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della “par condicio creditorum” e dell’ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 111, comma 2, l.fall.; invero, il meccanismo ex art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 – riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull’ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un’impresa “in bonis”, in funzione dell’interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell’opera, nonché al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente “debole”, sicché detto meccanismo non ha ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie”[7].
In altri termini, secondo questo secondo filone interpretativo, il credito vantato dal subappaltatore sottostà alla par condicio creditorum e all’ordine legale delle prelazioni, non essendo il credito sorto in funzione della procedura concorsuale e rivelandosi l’impianto dell’art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti, calibrato sul rapporto contrattuale in corso con un’impresa in bonis, in quanto meccanismo volto a garantire l’interesse pubblico al regolare e tempestivo completamento dell’opera e al controllo della sua corretta esecuzione e inclinato solo di riflesso a tutela del subappaltatore contraente debole.
Dunque, le modifiche apportate dall’art. 13, comma 10, lett. a) e b), D.L. n. 145 del 2013, conv. nella L. n. 9 del 2014 all’art. 118 Vecchio Codice Appalti (che rendono possibile il pagamento diretto dalla stazione appaltante ai subappaltatori solo al verificarsi di determinati presupposti), avrebbero definitivamente chiarito che il pagamento dei subappaltatori è condizione di esigibilità solo per gli appaltatori che non siano stati dichiarati falliti.
La giurisprudenza di merito aveva già anticipato questa linea interpretativa precisando che la lettura coordinata degli artt. 111 l.fall. e art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti, condurrebbe ad escludere la prededucibilità della pretesa del subappaltatore, per mancanza del requisito della funzionalità tra credito e procedura concorsuale.
Il meccanismo delineato dall’art. 118, richiedendo, a monte, la sussistenza di un contratto in essere da condurre a termine, perderebbe ogni giustificazione intrinseca difronte al fallimento dell’appaltatore col conseguente scioglimento del negozio. Quale conseguenza, l’applicabilità del predetto meccanismo andrebbe contenuta entro i rapporti tra stazione appaltante e società appaltatrice in grado di proseguire l’attività commissionatale[8].
Si è poi sottolineato come l’art. 81, comma 2, l.fall. faccia automaticamente spirare il contratto d’appalto nel frangente in cui la declaratoria fallimentare investe l’affidataria dei lavori[9].
La clausola di salvezza prevista in favore del committente (“salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto”) andrebbe coordinata con la disciplina in materia di appalti di opere pubbliche, che preclude la prosecuzione del rapporto a mente dell’art. 38, Vecchio Codice Appalti (a mente della quale: “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessionie degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo art. 186-bis R.D. n. 267 del 1942, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”).
Se detta norma esclude che siano stipulabili contratti con imprese sottoposte a procedure concorsuali (salvo la deroga specifica per i concordati in continuità), non dovrebbero poter proseguire i rapporti con le imprese che, successivamente all’affidamento, a dette procedure dovessero essere assoggettate. Cessando al momento all’apertura del fallimento il contratto d’appalto, non potrebbe applicarsene la disciplina, neppure in punto di pagamento delle imprese affidatarie e di quelle subappaltatrici.
3.3. Segue: l’intervento delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite della questione della configurabilità o meno di un nesso intercorrente tra il disposto dell’art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti – nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 145 (in vigore dal 24 dicembre 2013), convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014 n. 9 (in vigore dal 22 febbraio 2014) – e l’istituto fallimentare della prededuzione di cui all’art. 111 della l. fall., hanno ritenuto di dare continuità all’orientamento che nega la prededucibilità del credito del subappaltatore.
In particolare, la Suprema Corte con la sentenza n. 5685 del 2 marzo 2020, ha affermato il principio di diritto secondo cui “In caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall’art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore deve ritenersi riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della “par condicio creditorum” e dell’ordine delle cause di prelazione, senza che rilevi a suo vantaggio l’istituto della prededuzione ex art. 111, comma 2, l.fall.”.
In altre parole, le ragioni di tutela dei crediti dei subappaltatori non possono di per sé giustificare deroghe, in via giurisprudenziale, al principio della par condicio creditorum, restando il subappaltatore che abbia adempiuto le sue prestazioni in favore del debitore in bonis pur sempre un creditore concorsuale come gli altri, salve le cause legittime di prelazione, la cui introduzione e disciplina – secondo l’ordine previsto dagli artt. 2777 ss., c.c. -, è di competenza del legislatore, sicocme in caso contrario verrebbe introdotta una ingiusta ed ingiustificata disparità di trattamento tra i subappaltatori di opere pubbliche e quelli di opere private.
L’interpretazione offerta dalle Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione appare, peraltro, in linea anche con la tendenza del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) che mira proprio a razionalizzare la disciplina in materia di prededuzione, delineando alcuni limiti alla misura del soddisfacimento dei crediti di privilegio più elevato.
Il baricentro delle nuove disposizioni è infatti l’art. 6 che, quale norma “generale” in tema di prededuzione – non accidentalmente collocata in un’autonoma Sezione del Capo II sui “Principi generali”, occupata unicamente da essa e battezzata “Economicità delle procedure” – abbozza un filtro sottile che restringe entro certe e nette ipotesi le prededuzioni dei crediti sorti prima dell’apertura delle procedure concorsuali. La prededuzione funzionale tout court e non meglio identificata, viene dunque rimossa dal sistema[10].
4. Il meccanismo del “pagamento diretto” e superamento della responsabilità solidale per gli obblighi contributivi e retributivi
Come si è detto, la questione della prededuzione perde oggi di rilevanza per i crediti dei subappaltatori[11], atteso che con l’art. 105, comma 13, Nuovo Codice Appalti, è stata eliminata la sospensione del pagamento da parte della stazione appaltante e con essa, la condizione di esigibilità che aveva fondato l’affermazione dell’utilità del soddisfacimento dei subappaltatori ai fini della riscossione del credito dell’appaltatore.
Quale conseguenza, in tutte le ipotesi di inadempimento da parte di un soggetto che abbia stipulato un contratto pubblico, sussiste in capo alla stazione appaltante l’obbligo di effettuare il pagamento direttamente ai subappaltatori al ricorso di precise condizioni.
A mente dell’art. 105, comma 13, Nuovo Codice Appalti, infatti: “La stazione appaltante corrisponde direttamente al subappaltatore, al cottimista, al prestatore di servizi ed al fornitore di beni o lavori, l’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite nei seguenti casi: a) quando il subappaltatore o il cottimista è una microimpresa o piccola impresa; b) in caso di inadempimento da parte dell’appaltatore; c) su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente.
Nessuna prededuzione appunto, ma un meccanismo di pagamento in linea retta al ricorrere dei presupposti previsti dalla legge. L’esonero dal concorso per il subappaltatore sussiste, ma “a monte” e a norma di legge, senza scorciatoie prededuttive ideate “a valle”[12].
I contratti i cui bandi siano stati oggetto di pubblicazione successivamente all’entrata in vigore del Nuovo Codice Appalti sono regolati da questa nuova disposizione, che affida la tutela delle ragioni di credito dei subappaltatori solo ed esclusivamente al pagamento diretto, disegnandolo quale strumento di contrasto dello stallo del settore degli appalti pubblici che, nel privilegiare il potere di autotutela della Pubblica Amministrazione alla realizzazione delle opere pubbliche, contempera il diritto alla retribuzione per il personale dipendente sia dell’esecutore che del subappaltatore[13].
In forza di detto meccanismo, la stazione appaltante adempie l’obbligazione nei confronti dell’appaltatore, estinguendo il debito che questi ha a sua volta contratto con il subappaltatore, liberando il primo anche dalla responsabilità solidale per gli obblighi contributivi e retributivi.
In tal senso chiaro è l’art. 105, comma 8, Nuovo Codice Appalti, nel prevedere che “Il contraente principale è responsabile in via esclusiva nei confronti della stazione appaltante. L’aggiudicatario è responsabile in solido con il subappaltatore in relazione agli obblighi retributivi e contributivi, ai sensi dell’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Nelle ipotesi di cui al comma 13, lettere a) e c), l’appaltatore è liberato dalla responsabilità solidale di cui al primo periodo”.
A norma dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003 (cd. “Legge Biagi”), infatti, sussiste responsabilità in solido tra l’appaltatore e il subappaltatore in relazione agli obblighi retributivi e contributivi del personale dipendente. Infatti: “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento”.
Ebbene, l’appaltatore diviene così responsabile in via esclusiva per l’esecuzione dell’appalto nei confronti della stazione appaltante, con la conseguenza che il rapporto contrattuale intercorre soltanto tra committente pubblico e appaltatore e da tale rapporto sono, in linea di principio, estranei i subappaltatori e, a maggior ragione, i lavoratori dello stesso.
Pertanto, nel caso di pagamento diretto del subappaltatore da parte della stazione appaltante, previsto nelle lettere a) e c) di cui al comma 13 dell’articolo 105 Nuovo Codice Appalti, l’appaltatore viene liberato dall’onere derivante dalla responsabilità solidale in relazione agli obblighi retributivi e contributivi nei confronti del personale dipendente del subappaltatore.
5. Conclusioni
Sebbene le conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite della Corte di Cassazione siano condivisibili, il problema dell’eventuale natura prededucibile del credito del subappaltatore in caso di fallimento dell’appaltatore sembra destinato ad essere oggi comunque superato in base alla formulazione dell’art. 105 del Nuovo Codice Appalti, che assicura al subappaltatore la possibilità di vere soddisfatte le proprie ragioni creditorie mediante il meccanismo del pagamento diretto.
Pertanto, per le fattispecie che, ancora, saranno disciplinate, ratione temporis, dall’art. 118, comma 3, Vecchio Codice Appalti, i crediti dei subappaltatori troveranno verosimilmente una regola nelle ragionevoli e condivisibili conclusioni alle quali sono pervenute le Sezioni Unite citate, secondo le quali il credito del subappaltatore nei confronti dell’appaltatore fallito ha natura chirografaria.
Per quelle che, invece, saranno disciplinate dal Nuovo Codice Appalti, dovrà ritenersi che il subappaltatore possa far valere il proprio credito direttamente nei confronti della stazione appaltante.
[1] M. Attanasio, Procedure concorsuali e appalti pubblici, in www.osservatorio-oci.org, maggio 2014
[2] G.P. Macagno, Continuità aziendale e contratti pubblici al tempo della crisi, in Il Fallimento, 12, 2014, p. 670
[3] L.A. Bottai, La problematica convivenza tra subappalto e fallimento e le ragioni di politica del diritto, in Il Fallimento, 12, 2014, p. 1296
[4] R. Panetta, Subappalto ed esigibilità del credito dell’appaltatore, NGCC, 6, 2017, p. 682
[5] In Mass. Giust. civ., 2012, 3, 271.
[6] Si veda Cass. 22 marzo 2017, n. 7392, in CED, 2017.
[7] Cfr. Cass. 21 dicembre 2018, n. 33350, in Mass. Giust. civ., 2019.
[8] Così, Trib. Bolzano 8 novembre 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Pavia 26 febbraio 2014, in www.unijuris.it.
[9] In questi termini, si veda Trib. Milano 5 settembre 2014, in www.ilcaso.it e Trib. Treviso, Sez. II, 24 marzo 2016, in Il Fallimentarista.it, 3 giugno 2016.
[10] Così S. Leuzzi, Il credito del subappaltatore di opere pubbliche nel fallimento, in Il Fallimento, 4, 2020, p. 475
[11] M. Attanasio, Procedure concorsuali e appalti pubblici, cit.
[12] Così S. Leuzzi, Il credito del subappaltatore di opere pubbliche nel fallimento, op. cit.
[13] Così, A. Pezzano – M. Ratti, Nuovo codice degli appalti e procedure concorsuali: prime riflessioni, in Il Fallimento, 7, 2016, p. 757 e ss.