Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore ai sensi dell’art. 146, comma 2, 1. fall., il danno derivante dalla mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore, non può essere liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare.
Il suddetto criterio, secondo la Cassazione, può essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa. A tal fine, tuttavia, il ricorso ad esso deve essere giustificato dalle circostanze del caso concreto risultando, quindi, logicamente plausibile, nonché dall’allegazione da parte attorea di un inadempimento dell’amministratore che, almeno astrattamente, sia causalmente idoneo a porsi quale nesso rispetto al danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo (in questo senso già Cass. Sez. U. 6 maggio 2015, n. 9100).
Ritenuta fondata l’adozione del criterio in esame ai fini della liquidazione equitativa del danno, la Corte precisa però che non è possibile valorizzare, quale ulteriore voce del pregiudizio sofferto dall’ente l’illegittima sottrazione delle somme corrispondenti agli utili non distribuiti ai soci.
La Corte, accogliendo il motivo di ricorso avverso la sentenza di merito, sottolinea che il diritto del socio alla distribuzione dell’utile, seppur astrattamente insito nello status di socio, non implica che questi ne possa disporre senza che intervenga l’apposita delibera. In assenza di quest’ultima rientra pur sempre nei poteri dell’assemblea, in sede di approvazione del bilancio, la facoltà di disporne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società, determinando, quindi, l’acquisizione a patrimonio sociale di dette risorse.
Di conseguenza, facendo gli utili parte del patrimonio sociale fin quando l’assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la sottrazione indebita di tali utili ad opera dell’amministratore lede il patrimonio sociale (Cass. 28 maggio 2004, n. 10271).
La Corte, pertanto, osserva che laddove il danno derivante dalle condotte inadempienti dell’amministratore sia quantificato mediante il suddetto parametro dello sbilancio fallimentare, la valorizzazione, quale ulteriore voce di danno, dell’illegittima sottrazione delle somme corrispondenti agli utili non distribuiti ai soci genererebbe una illegittima duplicazione del risarcimento in quanto la differenza tra passivo ed attivo sociale già ricomprende tale perdita.