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Giurisprudenza

Fallimento omisso medio e risoluzione del concordato preventivo

17 Ottobre 2024

Cassazione Civile, Sez. I, 06 giugno 2024, n. 15862 – Pres. Massimo Ferro, Rel. Francesco Terrusi

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 06 giugno 2024, n. 15862 (Pres. Massimo Ferro, Rel. Francesco Terrusi), si è pronunciata in tema di insinuazione al passivo conseguente alla pronuncia di fallimento c.d. omisso medio, quando era possibile la risoluzione del concordato preventivo omologato.

Delle interferenze fra procedure di composizione della crisi se ne discuterà ampiamente nel quadro dell’attuale Codice della Crisi riformato dal correttivo ter, nel corso del prossimo webinar organizzato dalla nostra rivista il prossimo 14 novembre 2024 “Il correttivo al Codice della Crisi: novità per i creditori bancari – Decreto Legislativo 13 settembre 2024 n. 227”.

Nel caso di specie, un creditore si era visto rigettare gran parte dell’importo richiesto in ammissione al passivo fallimentare, sul presupposto che parte del credito era un debito preconcordatario (falcidiato al 15% nella procedura di concordato) e che il creditore non aveva richiesto la risoluzione del concordato nei termini.

In base agli artt. 184-186 L.F., l’omologazione del concordato rende parzialmente inesigibili i debiti concordatari, e l’inesigibilità può venir meno solo:

  • in caso di annullamento o risoluzione del concordato
  • se interviene il fallimento, quando ancora non era decorso il termine per i creditori per la proposizione dell’istanza di risoluzione del concordato.

La Corte richiama preliminarmente il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite n. 4696/2022, per cui “in tema di insinuazione al passivo conseguente alla pronuncia di fallimento c.d. omisso medio, se il fallimento è stato dichiarato quando era ancora possibile la risoluzione ex art. 186 L. fall. del concordato preventivo omologato, il creditore istante non è tenuto a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi di cui all’art. 184 L. fall., posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile; al contrario, l’effetto esdebitatorio – parziale – non viene meno laddove il fallimento sia stato dichiarato quando il termine per richiedere la risoluzione del concordato omologato era già scaduto”.

Nel caso di specie, tuttavia, sottolinea la Corte, tale principio non giova certo al creditore ricorrente, posto che la dichiarazione di fallimento è avvenuta omissio medio anni dopo la scadenza del termine di cui all’art. 186, terzo comma, L.F., e su iniziativa di un creditore diverso da quello che aveva avanzato l’istanza di risoluzione già ritenuta infondata.

In tale condizione, secondo la Corte, non può sostenersi che la dichiarazione di fallimento contenesse implicitamente la necessaria previa risoluzione del concordato: l’effetto esdebitatorio (parziale) conseguente all’omologazione, non viene infatti meno in casi simili, perché, scaduto il termine per la risoluzione del concordato (o rigettata la relativa domanda), il debitore continua a essere obbligato all’adempimento delle obbligazioni così come derivanti dal piano; sicché si riapre solo lo scenario delle possibili iniziative dirette a farne accertare l’insolvenza, secondo quanto per confermato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4696/2022.


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