Una società a responsabilità limitata, dopo aver trasferito la propria sede legale da Roma a Milano, presentava domanda di concordato preventivo dinanzi al Tribunale di Roma, presso il quale già pendeva il procedimento per la dichiarazione di fallimento introdotto nei suoi confronti da uno dei creditori. Il Tribunale di Roma declinava la propria competenza ritenendo territorialmente competente il Tribunale di Milano: quest’ultimo sollevava d’ufficio regolamento di competenza.
Secondo la Cassazione, durante la pendenza di una procedura di concordato preventivo, non può ammettersi il corso di un autonomo procedimento prefallimentare, che si concluda con la dichiarazione di fallimento (in tal senso, la pronuncia si allinea con quanto deciso da Cass. Civ., SS. UU., 15.05.2015, n. 9936).
Il rapporto fra concordato preventivo e fallimento, infatti, si atteggia come un fenomeno di consequenzialità che determina un’esigenza di coordinamento fra i due procedimenti e che impone la necessità di esaminare dapprima la domanda di concordato e, solo nel caso di mancata apertura dello stesso, quella di fallimento.
Sul piano processuale, inoltre, il rapporto si configura in termini di c.d. continenza per specularità, in quanto la domanda di concordato e l’istanza o la richiesta di fallimento sono iniziative tra loro incompatibili ma dirette a regolare la medesima situazione di crisi. Ne deriva che se i procedimenti sono pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, essi vanno riuniti ai sensi dell’art. 273 c.p.c.; se, invece, i procedimenti pendono di fronte ad uffici giudiziari diversi, trova applicazione il disposto dell’art. 39, comma II, c.p.c..