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Giurisprudenza

Falsa fatturazione: la Cassazione sull’oggetto dell’imposizione diretta

2 Febbraio 2023

Cassazione Civile, Sez. V, 27 gennaio 2023, n. 2615 – Pres. Luciotti, Rel. Succio

Con l’ordinanza in oggetto, la Corte di Cassazione si è espressa sull’oggetto dell’imposizione diretta nel caso di falsa fatturazione di una società.

In particolare, evidenzia la Cassazione, qualora una società di capitali – o un soggetto contribuente esercente attività di impresa, arte o professione ‒ abbia apparentemente il solo scopo di creare falsa fatturazione attiva e passiva per simulare un volume d’affari, in realtà inesistente, oggetto dell’imposizione diretta non sono i ricavi, pacificamente non esistenti, risultanti della contabilità riconosciuta fittizia, ma il reddito sinteticamente determinato, sulla base dei dati comunque venuti in possesso dell’ufficio e con l’uso di presunzioni, anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, non contemplando le norme sull’imposizione diretta, ispirate all’art. 53 Cost., ipotesi di responsabilità fiscale “oggettiva” sganciata dalla esistenza di un reddito effettivo, e non essendo consentito al giudice tributario, investito del ricorso contro l’accertamento analitico, di procedere di sua iniziativa alla determinazione induttiva dell’utile di gestione.

Sul punto, evidenzia la Cassazione, in tema di imposte sui redditi, per quanto riguarda la falsa fatturazione, l’articolo 14, quarto co., della legge n. 537/1993, laddove stabilisce che nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, primo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, devono ritenersi compresi i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, costituisce non solo interpretazione autentica della normativa contenuta nel citato d.P.R., ma anche criterio ermeneutico decisivo per giungere ad identica conclusione con riguardo alla previgente disciplina degli artt. 1 e 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, stante la sostanziale identità della disciplina in relazione all’individuazione dei presupposti della tassazione.

Di conseguenza, il c.d. “pretium sceleris”, derivante dalla falsa fatturazione, dev’essere considerato come reddito imponibile (anche nel vigore del d.P.R. n. 597 del 1973), e ciò pure se il contribuente sia stato condannato alla restituzione delle somme incassate in modo illecito ed al risarcimento del danno.


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