Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ribadisce il consolidato principio secondo cui: “In tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta)”.
Il caso oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione trae origine dal ricorso ex art. 160 e 186-bis l. fall. promosso da una società, a cui tuttavia era stata negato l’accesso alla procedura di concordato preventivo in continuità aziendale indiretta, con cessione a terzi dell’affitto di azienda da liquidare, con conseguente dichiarazione di fallimento della stessa.
La Suprema Corte, nel ribadire principi di diritto ormai consolidati quanto ai confini del sindacato giudiziale di fattibilità giuridica ed economica del piano, ha precisato altresì che tali principi “vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis I.fall., laddove la rigorosa verifica della fattibilità “in concreto” presuppone un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa, in un contesto in cui il “favor” per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano l’attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale”.
Proprio in questa logica – chiarisce la Corte – il tribunale ha il compito “di controllare la corretta predisposizione dell’attestazione del professionista, in termini di completezza dei dati e di comprensibilità dei criteri di giudizio, rientrando tale attività nella verifica della regolarità della procedura, indispensabile a garantire la corretta formazione del consenso dei creditori”.