Con riferimento agli effetti della sottoposizione a sequestro preventivo di beni ricompresi nel patrimonio di una società ammessa alla procedura di concordato preventivo e, in particolare, dei riflessi che il provvedimento penale riverbera sul giudizio di omologazione, la Corte di Cassazione ha affermato che “in tema di concordato preventivo con cessione totale dei beni, la fattibilità giuridica del piano costituisce presupposto di ammissibilità della proposta; ne consegue che quando, a carico della società proponente, sia stato disposto un sequestro preventivo di beni destinato, secondo il regime di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, alla confisca, è sempre necessario ottenere dal giudice penale la cessazione del vincolo cautelare e, in mancanza, restando sottratto al giudice della procedura concorsuale ogni potere di sindacare la legittimità del provvedimento, la proposta va dichiarata senz’altro inammissibile”.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto il sequestro preventivo giuridicamente “impeditivo della liquidazione dei beni nei tempi previsti dalla proposta”, giudicando infondati i rilievi dei ricorrenti basati sul principio secondo cui “la confiscabilità è esclusa dall’appartenenza della cosa a persona estranea al reato”, da intendersi come concetto inclusivo dell’esistenza, sull’oggetto del sequestro, di diritti reali di garanzia a favore di terzi.
Secondo la Corte, il principio sopra enunciato è in primo luogo inconferente, in quanto da riferirsi esclusivamente alla fattispecie di confisca facoltativa e non a un sequestro preventivo finalizzato, come nel caso in oggetto, alla confisca obbligatoria ai sensi del D.Lgs. 231/2001. Inoltre la Suprema Corte, in continuità con la propria giurisprudenza, ha ritenuto irrilevante, ai fini del giudizio di omologazione del concordato preventivo, l’esistenza di diritti reali di terzi sui beni oggetti di sequestro in quanto tale verifica “spetta – in ogni caso – al giudice penale e non al giudice fallimentare” (cfr., sul punto, Cass. SS.UU. Pen., 11170/2014).