Il presente scritto si pone l’obiettivo di definire quale sia il concetto di investimento socialmente responsabile e in che cosa consistano i c.d. fattori ESG alla luce del recente intervento dell’autorità europea di vigilanza sui mercati finanziari (ESMA); nell’ambito di un procedimento di consultazione del mercato, quest’ultima ha infatti reso tali fattori, sinora lasciati alla libera determinazione degli operatori, oggetto di una proposta di intervento normativo introducendo così il tema della finanza etica nell’ambito delle direttive MiFID II, UCITS e AIFMD.
A tale proposito pare opportuno anzitutto dare atto di come recentemente, anche a seguito delle crisi che hanno colpito i mercati finanziari, sia stata messa in discussione in qualche modo la finalità degli investimenti finanziari e in particolare se questi debbano essere guidati dalla solo finalità del profitto svincolato dal contesto sociale, ambientale e dalle esigenze dell’individuo.
Si è sempre più configurata, infatti, l’esigenza di coniugare insieme i concetti di etica e di finanza, al fine di orientare quest’ultima alla sostenibilità e responsabilità e di realizzare, di conseguenza, uno sviluppo sostenibile a lungo termine attraverso l’equilibrio ambientale, economico e sociale.
Per realizzare tali obiettivi, è stato più volte affermato che la concezione tradizionale di economia e finanza ben possa convivere con il concetto di investimento socialmente responsabile (c.d. “SRI”); in questo senso, lo sviluppo sostenibile è stato definito come quello che “soddisfa i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai propri” conciliando l’equilibrio dei tre fattori: economico, sociale e ambientale (c.d. fattori “ESG”)[1].
L’acronimo ESG indica i termini Environmental, Social e Governance e identifica le dimensioni ambientale, sociale e di governance che servono a selezionare gli investimenti socialmente responsabili.
In particolare, la dimensione ambientale (Environmental) comprende tutti quei fattori che riguardano il rispetto e la tutela dell’ambiente; la dimensione sociale (Social), invece, riguarda il rispetto dei diritti umani e fondamentali per il lavoratore, la formazione ed educazione professionale dei dipendenti dell’azienda, le best practices in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, in generale, tutto ciò che attiene al rapporto con i propri lavoratori e collaboratori.
La dimensione della Governance, infine, considera tutti gli aspetti circa l’organizzazione e struttura della società, l’adozione di un codice etico ex D.lgs 231/2001, la politica di remunerazione dei dipendenti, ove si inserisce il riconoscimento del diritto di voto agli azionisti sulla politica di remunerazione stessa come fattore di trasparenza, l’esistenza di programmi che possano contrastare la corruzione della società e rafforzarne la reputazione e la fiducia nei dipendenti aumentando la loro credibilità nei confronti degli stakeholder.
L’attenzione nei confronti di tali fattori e di tale tipologia di investimenti è aumentata soprattutto in conseguenza di interventi istituzionali da parte delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea; in particolare, le Nazioni Unite hanno elencato una serie di principi (c.d. “PRI” Principles for Responsible Investments) che si pongono come obiettivi di sviluppo sostenibile costituendo una linea guida per gli investitori che vogliono orientarsi ai fattori ESG[2].
Nella prassi, sono sempre in maggior numero le società orientate agli investimenti che applicano i principi di finanza responsabile nella propria attività, al fine di incrementare il rendimento finanziario a lungo termine attraverso l’adozione dei fattori ESG.
La ratio sottesa a tale scelta da parte delle società di investimento si concretizza, da un lato, nella realizzazione di una finanza sostenibile che possa dare risultati all’impresa stessa nel lungo periodo attraverso il rispetto delle dimensioni ambientale, sociale e di governance, dall’altro quello di attirare il maggior numero possibile di investitori attratti dalla policy della società che applichi tali principi, dato l’interesse sempre maggiore al rispetto delle tematiche supra esposte e alla ormai consolidata esigenza di porre sullo stesso piano etica e finanza.
In tale contesto, si è posta la particolare attenzione della Commissione europea nei confronti della finanza sostenibile; in data 8 marzo 2018 è stato, infatti, pubblicato un piano d’azione (c.d. “Action Plan”) per finanziare la crescita sostenibile che contribuirà a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima e quelli di sviluppo sostenibile indicati nel documento dalla Commissione.
L’ESMA è stata quindi invitata ad offrire alla Commissione un parere tecnico in materia di fattori e rischi di sostenibilità; è stata pertanto aperta una consultazione (più precisamente: una consultazione in materia UCITS – Direttiva 2009/65/CE relativa agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari e in materia AIFMD – Direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi e una consultazione in materia MiFID II – Direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari).
Chiuse tali consultazioni[3], in data 19 febbraio 2019, l’ESMA ha pubblicato il suo technical advice nell’ambito delle rispettive direttive in data 30 aprile 2019.
In tali pareri l’ESMA dà atto dell’importanza sempre più crescente del concetto di economia sostenibile, di investimenti socialmente responsabili comesupra definiti e quindi del peso necessariamente da attribuire ai fattori ESG.
In tale contesto, secondo l’ESMA, gli intermediari finanziari saranno tenuti a chiedere ai propri clienti informazioni sulle loro preferenze ambientali, sociali e di governance e tenerne conto nella valutazione della gamma di strumenti finanziari e assicurativi da raccomandare, sia in sede di strutturazione e selezione della propria gamma d’offerta, che in fase di selezione del prodotto e di valutazione dell’adeguatezza.
In particolare, le principali novità che secondo l’ESMA dovrebbero essere introdotte a livello normativo nell’ambito della direttiva MiFID II, al fine di integrare le variabili ESG nella product governance e nell’adeguatezza, consistono in una serie di adempimenti da parte delle imprese di investimento nei confronti dei propri clienti: innanzitutto, fornire adeguate informazioni per gli strumenti finanziari sostenibili, integrando i fattori ESG nella descrizione generale relativa a natura e rischi degli strumenti finanziari; inoltre, le imprese di investimento che forniscono consulenza finanziaria e gestione del portafoglio sono tenute a rilevare in sede di profilatura le eventuali preferenze ESG dei loro clienti; le imprese di investimento devono quindi tener conto delle preferenze ESG dei clienti nel processo di selezione e verifica dell’adeguatezza dei prodotti finanziari da offrire a tali clienti; infine tali imprese sono tenute a fornire una relazione al cliente che spieghi in che modo la propria raccomandazione soddisfi anche le sue preferenze ESG.
Per quanto riguarda, invece, il documento ESMA che propone modifiche alla UCITS e AIFMD si è posto l’obiettivo principale di chiarire a tutti i gestori di fondi soggetti ai regimi UCITS e AIFMD che devono incorporare i rischi di sostenibilità nelle loro procedure di due diligence e valutare i rischi di sostenibilità derivanti dai loro investimenti insieme a tutti gli altri rischi rilevati come il rischio di mercato, di interesse o di credito.
Le principali modifiche, quindi, che secondo l’advice ESMA dovrebbero essere inserite nelle direttive supra citate, al fine di introdurre un concetto di finanza sostenibile uniforme per tutti i Paesi membri, si sostanziano innanzitutto nel proporre una definizione di investimenti sostenibili che comporti l’informazione al cliente di quali esigenze e obiettivi sostenibili soddisfi il prodotto di investimento, chiarendo la strategia adottata per raggiungerli.
In secondo luogo, andare a determinare il grado di sostenibilità dei prodotti, applicando i criteri e gli obiettivi previsti dalla c.d. “tassonomia sulla sostenibilità” da parte degli operatori di mercato che intendono commercializzare prodotti finanziari o obbligazioni societarie come ecosostenibili.
È necessaria, inoltre, un’inclusione dei fattori ESG nel processo di product governance, grazie all’adozione di procedure in grado di assicurare che per tutto il ciclo di vita dei prodotti, dalla produzione alla distribuzione, siano considerati interessi, obiettivi ESG e caratteristiche dei clienti e caratteristiche e rischi specifici degli investimenti sostenibili, individuando quali fattori ESG siano da adottare nella selezione degli investimenti.
ESMA ha proposto poi quale good practice la raccolta di elementi non finanziari in fase di profilatura della clientela, in particolare per quanto riguarda gli obiettivi di investimento del cliente, integrati con obiettivi ESG.
Gli intermediari dovranno quindi raccogliere informazioni anche in merito alle preferenze del cliente sui fattori ambientali, sociali e di governance, i quali stanno assumendo sempre più importanza nel processo di decision-making degli investitori, al fine di poter fornire prodotti e servizi adatti ai propri clienti.
Inoltre, si ritiene che la mancanza di trasparenza nei confronti degli investitori in merito a quanto costituisca un investimento sostenibile e soprattutto in merito ai benefici ESG derivanti dal progetto finanziato con i fondi degli investitori, sia uno dei fattori determinanti alla base dell’attuale divario di investimenti accusato dall’Europa.
Paiono quindi utili le misure ipotizzate dalla Commissione per prevenire o ridurre fenomeni c.d. di “green-washing” (cioè emissioni che utilizzino l’etichetta senza riprodurne finalità e connotati)[4].
Posto che le rinnovate disposizioni normative, così come delineate dall’ESMA, incentivano l’integrazione della sostenibilità nei sistemi di governance degli intermediari, esse si riflettono anche sui requisiti organizzativi; pertanto, gli intermediari dovranno tenere in considerazione la componente di sostenibilità in processi e procedure organizzative interne, prevedendo specifiche attività e responsabilità in capo agli organi societari e alle funzioni aziendali di controllo.
Di conseguenza, si rende necessario un adeguamento delle strutture di governance per rafforzare il ruolo di indirizzo e monitoraggio del Consiglio di Amministrazione relativamente ai fattori ESG, grazie all’integrazione dei criteri ESG nei processi decisionali dei CdA[5].
Infine, aspetto rilevante è rappresentato dalla necessaria inclusione del rischio di sostenibilità e dei rischi ESG nella definizione e nei processi della politica di Risk Management.
In conclusione, alla luce di quanto esposto, è possibile affermare che negli ultimi tempi il concetto di etica si è sempre più avvicinato a quello di finanza; un numero sempre maggiore di intermediari, infatti, sta adottando i fattori ESG nella scelta ed attuazione delle attività di investimento dichiarando esplicitamente lo svolgimento di un’attività finanziaria “sostenibile” e di investimenti socialmente responsabili.
A tal proposito, gli Organi competenti in ambito nazionale ed europeo si stanno muovendo al fine di fornire a tali concetti una definizione normativa e una regolamentazione che permetta un’applicazione uniforme dei fattori ESG da parte di tutti i soggetti che ne facciano uso affinché la c.d. finanza sostenibile e gli investimenti socialmente responsabili possano diffondersi ed ottenere sempre maggior applicazione. Ciò, come detto, nel rispetto di tutti quelle dimensioni (ambientale, sociale e di governance) che ai tempi attuali non possono più essere ignorate nello svolgimento di un’attività economica che sia responsabile e produttiva di risultati nel lungo termine.
Si attende, quindi, un necessario intervento normativo a livello comunitario in materia, a fronte del recente intervento della Commissione e dei pareri emanati dall’ESMA.
[1] Tale è la definizione ufficiale di sostenibilità elaborata dalla Commissione Brundtland delle Nazioni Unite nel 1987.
[2] A tal proposito, giova segnalare l’esistenza della PRI Association quale rete internazionale di investitori che collaborano al fine di mettere in pratica i PRI elaborati dalle Nazioni Unite; l’obiettivo è quello di far comprendere agli investitori l’importanza di una finanza sostenibile.
[3] Per quanto riguarda la risposta dell’Italia a tali consultazioni, giova precisare che l’ABI e la CONSOB sono intervenute sottolineando come tali misure di SRI implichino un impatto molto importante per il settore degli investimenti. In particolare, l’ABI ha richiesto all’ESMA una maggiore precisione nella definizione dei fattori ESG, per ridurre le incertezze applicative e un’estensione della tempistica di attuazione, in quanto 18 mesi dall’entrata in vigore non appaiono sufficienti per consentire alle Banche di implementare le procedure necessarie e al mercato di sviluppare una adeguata offerta di prodotti ESG.
[4] In particolare, la proposta della CE mira a migliorare il livello di informazioni da fornire ai clienti, prima della prestazione dei servizi di investimento, relative alle caratteristiche ESG dei prodotti finanziari offerti, soprattutto in termini di rischio, e a come questi soddisfino gli obiettivi e le preferenze ESG dei clienti.
[5] È, altresì, stata proposta l’opportunità di istituire un Comitato ad hoc dedicato esclusivamente alla supervisione delle questioni relative alla sostenibilità finanziaria e alla valutazione dei fattori ESG.