La circostanza per cui un debito sia sorto nell’ambito dell’attività d’impresa non esclude che lo stesso sia contratto per i bisogni della famiglia e, dunque, che il relativo creditore possa agire esecutivamente sui beni oggetto del fondo patrimoniale, ai sensi dell’art. 170 c.c. Peraltro, in tale ipotesi, la prova dell’inerenza dell’obbligazione ai bisogni familiari non sarà possibile tramite presunzioni, ovvero dall’essere l’attività d’impresa del debitore fonte principale di sostentamento per la famiglia.
Nel provvedimento in esame, la Suprema Corte di trova a vagliare la legittimità di una sentenza di Corte d’Appello, la quale aveva negato l’accoglimento del gravame proposto avverso un provvedimento di rigetto dell’opposizione all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c., giustificata dall’inopponibilità al creditore procedente del fondo patrimoniale costituito sui beni pignorati. In particolare, il credito riguardava una fideiussione prestata in favore della società dal socio, ricorrente in Cassazione.
Nella decisione impugnata, la Corte d’Appello aveva ritenuto che tale obbligazione fosse direttamente ed immediatamente inerente ai bisogni della famiglia, pertanto garantita anche indirettamente dai beni soggetti al vincolo del fondo patrimoniale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 170 c.c., là dove ciò doveva presumersi dalla mancata prova circa l’esistenza di altre fonti di sostentamento per la famiglia, oltre quella derivante dalla partecipazione alla società, garantita personalmente, da parte socio.
La Cassazione, dal canto suo, sottolinea come certamente gravi sul debitore, che si vuole giovare del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo, dimostrare l’estraneità alle necessità familiari degli obblighi assunti e come l’espressione «bisogni della famiglia» debba interpretarsi in senso ampio, tanto da non escludere aprioristicamente che rapporti obbligatori, sorti nel corso dell’impresa o dell’attività professionale, siano rivolti a soddisfare bisogni familiari. Nonostante ciò, argomenta la Corte, l’onere probatorio a carico del debitore non ricomprende assolutamente la dimostrazione di eventuali altre fonti di reddito per la famiglia, ulteriori rispetto all’attività d’impresa in cui è sorta l’obbligazione, al fine di rendere opponibile il fondo al relativo creditore, essendo sufficiente provare come lo scopo dell’obbligazione apparisse estraneo ai bisogni della famiglia al momento in cui fu contratta, il che rappresenta l’id quod plerumque accidit in caso di fideiussione del socio verso la società. Su queste basi la Suprema Corte perviene all’accoglimento del ricorso ed alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, che senza prove specifiche era giunta, invece, all’opposta conclusione.