L’inserimento all’interno del contratto di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (c.d. fideiussione omnibus) delle clausole di reviviscenza, sopravvivenza e rinunzia al termine di decadenza ex articolo 1957 c.c. determina unicamente la nullità parziale del contratto, ai sensi dell’articolo 1419 c.c.
Non vi è prova del fatto che, da un lato, l’intesa lesiva della concorrenza, realizzata attraverso l’uniforme applicazione di tali clausole da parte delle banche nei rapporti con la clientela, sia confluita nel singolo contratto in questione e, dall’altro, che sia stata lesa la libertà contrattuale del fideiussore.
Quest’ultimo, infatti, è in ogni caso vincolato a prestare garanzia nei confronti della banca e non sembra esservi, per lo stesso, possibilità di scegliere una diversa forma contrattuale rispetto alla garanzia fideiussoria.
La pronuncia in esame, invero, dichiara la cessazione della materia del contendere in forza dell’integrale estinzione dell’obbligazione principale a seguito del pagamento da parte di terzi e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo oggetto del giudizio di opposizione.
Tuttavia, al fine di liquidare le spese processuali in virtù del principio della c.d. soccombenza virtuale, il Tribunale di Roma affronta la questione della sorte del contratto di fideiussione omnibus stipulato in conformità allo schema predisposto dall’ABI.
A partire dalla celebre ordinanza della Corte di Cassazione del 12 dicembre 2017, n. 29810 (la quale, è bene ricordare, si è espressa essenzialmente sul profilo pregiudiziale relativo all’applicazione intertemporale della normativa anti-trust), nella giurisprudenza di merito si sono sviluppati diversi filoni volti ad indagare la natura della nullità che colpisce i contratti di fideiussione stipulati a valle dell’intesa anti-concorrenziale illecita. La pronuncia in esame aderisce alla tesi che attribuisce a tale nullità natura di nullità parziale (per argomentazioni contrarie si veda, ex multis, Trib. Salerno del 23/08/2018, n. 3016).