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Editoriali

Fondi attivisti, governo societario e mercato finanziario

21 Ottobre 2019

Marco Maugeri

Professore ordinario di diritto commerciale, Università Europea di Roma

Di cosa si parla in questo articolo

1. Negli ultimi tempi l’attenzione per il fenomeno dell’«attivismo societario» ha assunto un rilievo sempre crescente sia nella stampa specializzata sia nel dibattito scientifico. E come inevitabilmente accade per ogni fenomeno potenzialmente idoneo a modificare la fisionomia della grande impresa, la crescente emersione dei fondi attivisti ha comportato una polarizzazione ideologica che vede schierati: da un lato, coloro che salutano con favore le campagne attiviste in quanto capaci di “sbloccare” valore latente in società mal gestite; dall’altro, coloro che criticano tali campagne considerandole iniziative volte unicamente a incrementare il prezzo di mercato delle azioni nel breve termine al costo di una distruzione di valore nel medio e lungo periodo.

2. Ma cos’è l’attivismo societario? L’espressione include in realtà un insieme di condotte eterogenee. Nella sua versione più tradizionale, l’attivismo consiste nell’assunzione di partecipazioni di minoranza nel capitale di una società quotata al fine di indurre cambiamenti rilevanti nelle strategie o nel perimetro di consolidamento dell’impresa e di vendere successivamente le azioni a premio rispetto al costo iniziale dell’investimento (A.Engert). Le potenziali target vengono normalmente selezionate sulla base di criteri quali la cattiva performance rispetto ai concorrenti (segnalata da utili e quotazioni in costante calo), la liquidità in eccesso (che spinge il fondo a reclamare la distribuzione di un dividendo straordinario o la delibera di un programma di buy-back), l’esistenza di rami d’azienda o partecipazioni valorizzabili separatamente mediante scissione. Non mancano ipotesi nelle quali il fondo promuove una campagna di sensibilizzazione del management sui temi ambientali e l’interesse degli stakeholders (c.d. fattori “ESG”: “Environmental, Social and Governance”): l’attivismo, allora, da “societario” diviene “sociale”. Altre volte il fondo utilizza la propria quota per frustrare un’operazione straordinaria (votando contro una delibera di fusione/scissione o negando la propria adesione a un’o.p.a. al fine di impedire all’offerente il raggiungimento della soglia prefissata). Indipendentemente dagli obiettivi perseguiti, la condotta del fondo attivista segue un modello tipizzato. Il fondo preferisce infatti, di solito, tentare inizialmente un confronto “dietro le quinte” con gli amministratori della target (inviando lettere e chiedendo incontri). Ove tale confronto non dia esito positivo, il fondo attinge all’arsenale di strumenti che la legge mette a disposizione dei soci: dalla richiesta di integrazione dell’o.d.g. di assemblee già convocate (art. 126-bis t.u.f.) alla domanda di convocazione di una nuova assemblea (art. 2367 c.c.); dalla presentazione di una lista di minoranza in sede di rinnovo del consiglio di amministrazione (art. 147-ter t.u.f.) alla organizzazione di una sollecitazione delle deleghe di voto (art. 136 ss. t.u.f.). Spesso l’attivazione di tali strumenti è preceduta dalla pubblicazione di un documento (c.d. “White Paper”) recante l’illustrazione delle debolezze dell’attuale gestione dell’emittente e le misure da intraprendere per incrementare il valore di mercato delle azioni.

3. A questa tipologia di attivismo, la quale presuppone l’esercizio di diritti amministrativi inerenti alle azioni (e che viene definita come «shareholder activism»), se ne contrappone un’altra la quale consiste nell’assumere posizioni «corte» sui titoli di una società (essenzialmente tramite vendite allo scoperto) e nell’allestire una campagna pubblica volta a denunziare comportamenti illeciti degli amministratori, il più delle volte concernenti una falsa o lacunosa rappresentazione dei dati di bilancio. In questo caso, l’attivista non interviene nel merito della gestione, né intende esercitare i diritti di socio. Il suo guadagno deriva piuttosto dalla riduzione del prezzo delle azioni causata dall’avvio della campagna e dalla divulgazione al mercato della notizia relativa alla consumazione di presunti illeciti del management. Si discorre, allora, di «investor activism» (B.Graßl).

4. L’ordinamento non disciplina direttamente l’attivismo. Esistono tuttavia regole che condizionano il successo di una campagna attivista e che si trovano per lo più allocate nel diritto del mercato finanziario. Si tratta, in primo luogo, delle norme in materia di trasparenza degli assetti proprietari. Il superamento della soglia minima iniziale del 3% (o del 5% nel caso delle PMI) del capitale con diritto di voto comporta, infatti, l’obbligo per l’acquirente di darne comunicazione alla Consob e alla società emittente. E nell’ipotesi di superamento della soglia del 10% l’acquirente ha l’obbligo di rendere noti gli obiettivi che vuole perseguire nei sei mesi successivi, esplicitando in particolar modo l’esistenza di accordi con terzi e le sue intenzioni in ordine alla nomina e alla revoca degli organi sociali della target. Simili obblighi di trasparenza consentono alla società “bersaglio” di allestire misure di reazione ove la campagna sia ostile. Inoltre, essi determinano un immediato aumento del prezzo delle azioni che rende più difficile all’attivista consolidare la partecipazione nella target. Ciò spiega perché spesso l’attivista assuma l’iniziativa solo dopo aver preventivamente “sondato” il campo contattando altri azionisti significativi (per lo più istituzionali) e verificandone informalmente il sostegno alla propria campagna. Tale interlocuzione potrebbe integrare tuttavia la fattispecie dell’«azione di concerto» rilevante ai fini della disciplina dei patti parasociali e dell’o.p.a. obbligatoria: un elemento dissuasivo, questo, che rende più rare in Italia forme di coordinamento in cui l’attivista “guida” altri investitori nell’attacco alla target (secondo la tecnica nota negli Stati Uniti come “wolf-pack”).

5. È però dalla disciplina europea degli abusi di mercato (contenuta nel Regolamento n. 596/2014, c.d. “MAR”) che derivano i principali rischi per le iniziative dei fondi attivisti. Per quanto concerne l’attivismo “societario”, infatti, poiché la decisione del fondo di avviare la campagna costituisce informazione price sensitive, il successivo rastrellamento di azioni in borsa prima che il mercato sia a conoscenza dell’iniziativa dell’attivista potrebbe ricadere nel divieto di insider trading, anche se al riguardo sembra invocabile l’esenzione prevista dall’art. 9, par. 5, MAR (M.Maugeri). D’altro lato, l’eventuale interlocuzione con soci della target prima di aver dato disclosure al programma di attivismo si traduce nella disseminazione selettiva dell’informazione privilegiata concernente quel programma e nel conseguente rischio di violare il divieto di comunicazione illecita sanzionato dall’art. 10 MAR. Egualmente incisive sono le barriere erette da MAR alla tecnica dell’«investor activism» (consistente, come si è visto, nell’assumere posizioni corte e speculare sul ribasso delle azioni provocato dall’annuncio di irregolarità gestorie o contabili dell’emittente). Infatti, la pubblicazione da parte del fondo della propria analisi critica sull’impresa potrebbe integrare astrattamente una fattispecie di manipolazione del mercato sia sotto il profilo della diffusione di informazioni false o fuorvianti (cfr. l’art. 12, par. 2, lett. d, MAR), sia perché recante una valutazione viziata da conflitto di interessi, a meno che l’esistenza di tale conflitto sia stata contemporaneamente comunicata al pubblico dal fondo «in modo corretto ed efficace» (cfr. l’art. 12, par. 1, lett. c, MAR).

6. Le poche considerazioni che precedono sono forse sufficienti a cogliere la complessità del fenomeno e, soprattutto, la sua intrinseca ambivalenza assiologica. Le richieste dei fondi attivisti possono essere orientate infatti unicamente al breve termine (M.Lipton). In questa dimensione temporale, il fondo esercita una indebita pressione sulle scelte manageriali allo scopo di generare immediata liquidità, senza preoccuparsi delle conseguenze negative di medio e lungo periodo. I fondi attivisti possono inoltre avere interessi in conflitto con quelli della target e dare luogo a nuovi, specifici costi di agenzia (J.C.Coffee). Ma non può contestarsi che i fondi attivisti siano in grado di esercitare anche un ruolo benefico per il mercato (L.A.Bebchuk-A.Brav-W.Jiang; N.Gantchev-M.Sevilir-A.Shivdasani). Da un lato, essi fungono da operatori “specializzati” nel governo societario in quanto, elaborando proposte da sottoporre al voto degli investitori istituzionali tradizionali, contribuiscono ad amplificare il potere di voto di questi ultimi e così a mitigarne i problemi di azione collettiva (R.J.Gilson-J.N.Gordon; S.Alvaro-M.Maugeri-G.Strampelli). Dall’altro, le campagne attiviste accendono un faro su condotte gestorie negligenti degli amministratori, costringendo l’emittente a informare compiutamente il mercato in ordine ai propri piani futuri: ciò che consente a tutti i soci di assumere decisioni consapevoli in materia di voto (voice) e di negoziazione della partecipazione (exit). Da tale ambivalenza dipende, in conclusione, anche il delicato compito di un ordinamento moderno: individuare norme che riescano nell’obiettivo di selezionare le iniziative “inefficienti”, in quanto distruttive di ricchezza, da quelle meritevoli di essere promosse perché idonee a creare valore nel medio e lungo termine.

 

Per riferimenti essenziali sul tema v.: S.Alvaro-M.Maugeri-G.Strampelli, Investitori istituzionali, governo societario e codici di stewardship. Problemi e prospettive, Quaderno giuridico Consob n. 19, Gennaio 2019; L.A.Bebchuk-A.Brav-W.Jiang, The Long-Term Effects of Hedge Fund Activism, in 115 Colum. L. Rev. 1085 (2015); J.C.Coffee, The Agency Cost of Activism: Information, Leakage, Thwarted Majorities, and the Public Morality, ECGI Law Working Paper, November 2017; A.Engert, Shareholder activism in Germany, ECGI Law Working Paper, August 2019; N.Gantchev-M.Sevilir-A.Shivdasani, Activism and Empire Building, ECGI Finance Working Paper, September 2018; R.J.Gilson-J.N.Gordon, The Agency Costs of Agency Capitalism: Activist Investors and the Revaluation of Governance Rights, in 113 Colum. L. Rev. 863 (2013); B.Graßl, Shareholder Activism und Investor Activism, in AG, 2017, 49 ss.; M.Lipton, Dealing with Activist Hedge Funds and Other Activist Investors, 26 gennaio 2017, disponibile sul https://corpgov.law.harvard.edu/; M.Maugeri, Offerta pubblica di acquisto e informazioni privilegiate, in Riv. dir. comm., 2018, I, 267 ss.

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