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Fondi di investimento e imputabilità della prestazione d’imposta

4 Marzo 2024

Rosamaria Nicastro, Di Tanno Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema della separazione patrimoniale dei fondi di investimento rispetto all’obbligazione tributaria d’imposta.


La normazione domestica è storicamente caratterizzata dal principio della soggettivazione[1]; la soluzione di questioni che vedano coinvolte entità prive di “soggettività giuridica” quali i Fondi di investimento, sta, quindi, mettendo a dura prova i vari organi giudiziari investiti, tra i quali anche gli organi di giustizia tributaria, i quali stanno producendo provvedimenti dai contenuti più vari il cui risultato ultimo spesso collide proprio con la ratio della disciplina degli stessi.

Segnatamente uno dei maggiori problemi, in ambito tributario, rileva allorquando nella fase esecutiva l’ente creditore proceda nei confronti della SGR (soggetto dotato di legittimazione processuale oltre che di autonoma soggettività) al fine di recuperare somme che a titolo di tributi siano espressione della capacità contributiva di uno dei Fondi dalla SGR medesima gestiti[2], senza che venga considerata in alcun modo la separazione patrimoniale che di per sé costituisce elemento identificativo nella disciplina di riferimento.

Come noto la disciplina dei fondi è principalmente contenuta nel Testo Unico della Finanza (D.Lgs. n. 58 del 1998, con successive modificazioni “ TUF”).

I fondi comuni fanno parte della più ampia categoria degli “organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr)”; la loro promozione, istituzione ed organizzazione è compito di società a ciò autorizzate, denominate Società di gestione del risparmio (SGR); a tali società è riservata la gestione del patrimonio dei fondi “di propria o altrui istituzione” e perciò esse possono assumere tanto la veste di “società promotrice” (con compiti limitati alla promozione, istituzione ed organizzazione del Fondo, nonché all’amministrazione dei rapporti con i partecipanti), quanto quella di “gestore” (col compito di gestire il patrimonio del Fondo provvedendo ai relativi investimenti).

Per quello che qui interessa – , giova anzitutto richiamare il disposto: dell’art. 1, comma 1, lett. j), del citato TUF che definisce il Fondo come: “il patrimonio autonomo, suddiviso in quote istituito e gestito da un gestore“, e dell’art. 36, comma 4, che prevede che ciascun Fondo comunecostituisce patrimonio autonomo, – distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società“.

Fermo il precedente della Corte di Cassazione[3] che si è pronunciata sulla mancanza di soggettività dei Fondi di investimento e rilevato che detta impostazione ha sostenuto molteplici pronunce in ambito tributario[4] che hanno identificato nella SGR non solo il legittimato processuale ma anche il soggetto passivo di imposta, pare intravvedersi nella varietà delle sentenze del panorama giurisprudenziale tributario, la valorizzazione ora di un elemento ora di altro senza una complessiva ricostruzione sistematica che, comunque, preservi la funzione dei Fondi nel rispetto dei principi della disciplina tanto civilistica quanto pubblicistico-tributaria.

Invero, ciò che soprattutto caratterizza il patrimonio del Fondo è la sua esclusiva destinazione allo scopo d’investimento finanziario per il quale è stato costituito, e che perciò ne rappresenta la principale ragion d’essere; da ciò quindi, discende l’impossibilità che quel medesimo patrimonio funga, al tempo stesso, anche da garanzia a beneficio di creditori della società di gestione (SGR) o creditori di altri distinti Fondi dalla medesima SGR gestiti e, quindi, di altri soggetti estranei all’anzidetta destinazione[5].

La naturale resistenza di carattere storico mostrata da molteplici sentenze rese in ambito tributario ad una ricostruzione almeno “sostanzialmente” slegata dal tema puro della soggettività giuridica quale parametro di identificazione o imputazione di effetti giuridici appare, ormai, anacronistica a fronte, invece, della evoluzione normativa imposta, se non altro, dalla necessità del mercato finanziario principalmente di tenere il passo di tutti gli altri Paesi in questo settore evoluti (inclusi quindi, quelli di common law).

Uno sforzo interpretativo, che non stravolga quanto si è andato affermando ed affinando in materia di soggettività, da parte della giurisprudenza e della dottrina, ma che d’altro canto consenta alle norme in materia, contenute nel TUF, di essere coerentemente implementate ed integrate nel tessuto giuridico tributario, quindi, si impone come necessario[6].

Questo sforzo di sintesi può trarre ampio sostegno nei contenuti della sentenza n. 5850/2023 (R.G. 21906/2019) del Tribunale di Milano (Relatore Mambriani) che con una pronuncia, resa in ambito civilistico in materia di impugnazione delle delibere assembleari,[7] offre spunti ricostruttivi utili anche per le questioni di natura tributaria.

Il Tribunale di Milano in particolare – per quanto utile alle osservazioni delle presenti note, e cioè all’esame della questione della conciliabilità del difetto di soggettività del Fondo con la imputabilità sostanziale allo stesso, dei tributi – ha affermato che pur avendo “la Corte di Cassazione, nell’ambito di una ricostruzione che vede il Fondo di investimento come patrimonio separato della SGR negato la soggettività giuridica di quest’ultimo, tuttavia, ne ha riconosciuto le peculiarità laddove ha distinto tra proprietà in senso sostanziale, posta in capo ai partecipanti al Fondo, e proprietà in senso formale riconducibile alla SGR.”

Il Tribunale ha quindi, inquadrato i confini della proprietà meramente formale rilevando che essa è meramente formale in quanto è svuotata di gran parte di quella sostanza – la signoria del volere nell’interesse proprio – che caratterizza la proprietà come abitualmente conosciuta ed in quanto la gestione dei beni inclusi nel Fondo, da parte del “proprietario” formale degli stessi (la SGR), è vincolata nel fine, nel metodo e nelle responsabilità in favore di coloro che hanno fornito i mezzi per l’acquisto dei beni (i partecipanti al Fondo).

La proprietà meramente formale della SGR è quindi, connotata e ricostruita dal Tribunale in chiave essenzialmente obbligatoria a scopi eminentemente funzionali, quali consentire agevolmente il traffico giuridico, massimizzare le possibilità di profitto per partecipanti non in grado di gestire investimenti quali quelli descritti nel regolamento, aprire il mercato interessato dal regolamento ad investimenti che solo la raccolta attraverso i fondi può consentire.

Il requisito della pura formalità della proprietà dei beni appartenenti al Fondo in capo alla SGR trova secondo il Tribunale significativa prova nell’inserimento, nel comma 4 dell’art. 36 TUF, delle parole “delle obbligazioni contratte per conto del Fondo, la SGR risponde esclusivamente con il patrimonio del Fondo medesimo” confermando quindi che il patrimonio è “proprio” del Fondo, non dunque della SGR.

Altro elemento sostanziale a sostegno della proprietà formale (o potremmo dire degradata) della SGR dei beni appartenenti al Fondo, il Tribunale lo rinviene nella L. n. 183 del. 12.11.2011 (c.d. “Legge di stabilità 2012”) laddove è previsto all’art. 6 comma 1 (“Disposizioni in materia dismissioni dei beni immobili pubblici”) che: “Il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato a conferire o trasferire beni immobili dello Stato … ad uno o più fondi di investimento immobiliare, ovvero ad una o più società …”;. e al comma 8-bis: “I fondi istituiti dalla società di gestione del risparmio del Ministero dell’economia e delle finanze possono acquistare beni immobili ad uso ufficio di proprietà degli enti territoriali …”.

Infine ulteriore elemento il Tribunale lo rinviene nel testo del D.Lgs. n. 47 del 2012 che ha introdotto il comma 6-bis dell’art. 57 TUF, così prevedendosi la possibilità che i fondi comuni di investimento siano ammessi alla procedura di liquidazione coatta amministrativa indipendentemente dalla SGR che li gestisce.

Si tratta di tre previsioni che, a detta del Tribunale di Milano, tutte univocamente si pongono nel senso di riconoscere autonomia patrimoniale – dunque capacità di essere titolare di diritti sostanziali – ai fondi comuni di investimento”: mediati dalla proprietà meramente formale della SGR.

La SGR, dunque, quale proprietario meramente formale – che nel rapporto di imposta, in forza di legge, è legittimato ad adempiere[8] (il soggetto prestatore) non è centro di imputazione della capacità contributiva, né il soggetto in capo al quale si radica l’obbligazione tributaria giacché solo al Fondo a cui i beni appartengono sostanzialmente può riferirsi il titolo, il presupposto e la causa della prestazione patrimoniale (imposta).

Come noto le fondamentali manifestazioni della soggettività giuridica si raccolgono intorno alle due distinte figure: quella della capacità giuridica e quella della capacità di agire. La identificazione del soggetto giuridico si rende necessaria ai fini dell’attuazione della norma sia essa tributaria o non tributaria ma, altro è disporre della soggettività giuridica che consente di agire nel mondo giuridico e che è attribuita alla SGR ed altro è avere la capacità giuridica tributaria cioè la capacità e, quindi l’onere di essere soggetto al tributo che non può non essere riferibile al Fondo.

Del resto, l’alternatività tra soggettività giuridica e autonomia patrimoniale perfetta, tutta basata sul latente assunto che solo ed esclusivamente il soggetto può essere il termine di situazioni giuridiche attive o passive, non trova ormai più riscontro nella realtà giuridica e fattuale e deve essere radicalmente ridimensionata in favore di una concezione secondo cui le categorie evocate non solo non sono distanti, ma addirittura si pongono in relazione di interscambiabilità[9].

Il rapporto tra SGR e Fondo è dunque specialmente regolato dalla legge e sono proprio la perfetta autonomia patrimoniale che lo caratterizza ex lege ed il potere gestorio pure stabilito ex lege in capo alla SGR, con la mediazione del regolamento, che ben giustificano l’affermazione di una imputazione diretta in capo al Fondo delle posizioni giuridiche attive e passive che di quella gestione sono il risultato effettuale.

Individuato il “soggetto”/ patrimonio autonomo sul quale incombe l’obbligazione, meno controversa ne risulta la correlata legittimazione processuale, la quale ex art. 36, comma 1 TUF va senz’altro attribuita alla SGR che, assunto l’ufficio di gestore del Fondo, acquisisce la correlativa funzione di esercizio dei diritti e di adempimento degli obblighi imputabili al Fondo medesimo.

Essere capace di realizzare il fatto giuridico tributario (il presupposto di imposta) non significa affatto dover avere la capacità assolvere agli obblighi tributari[10]. La capacità giuridica tributaria è la capacità di essere soggetto al tributo, solo la capacità di agire anche ai fini fiscali è attitudine ed essere soggetto agente nella fase di attuazione del tributo.[11]

Il soggetto capace di realizzare il fatto giuridico tributario (presupposto di imposta) può non avere capacità di agire e, quindi, può non essere un soggetto giuridico, mentre solo il soggetto obbligato (legittimato ad adempiere) – che sia o meno tributario – dovrà avere anche quella capacità.

Il legittimato all’adempimento (la SGR) non può essere sfornito dei canoni propri della soggettività giuridica, ma il presupposto, il titolo o la causa della prestazione imposta non sono necessariamente giuridico-soggettivi.

Generalmente il centro di imputazione della capacità contributiva è anche il soggetto, ma questa correlazione diventa, nel nostro ordinamento, sempre meno indefettibile come dimostra la disciplina in esame.

In una fattispecie impositiva relativa ad un reddito riferito ad una entità priva di soggettività (il Fondo) il legittimato all’adempimento (la SGR) è tenuto non certo perché manifesti quella capacità contributiva in proprio ma in ragione di un presupposto giuridico ulteriore ed extratributario quale il rapporto di gestione[12].

Il legittimato ad adempiere costituisce lo strumento necessario connaturato alla situazione non soggettiva, ad esprimere il presupposto giuridico. Nella fattispecie impositiva relativa ad una manifestazione di capacità contributiva non soggettiva il legittimato all’adempimento non coincide con il “contribuente” ma la sua capacità di agire diventa strumento di attuazione della relazione giuridica tra il legittimato stesso e la situazione giuridico-economica assoggettata al tributo.

Il reddito del quale il prestatore (la SGR) non può certo disporre nel proprio interesse ma del quale in forza di legge deve disporre nell’interesse dei partecipanti al Fondo deve essere a questo imputato [13].

Se quindi il legittimato ad adempiere non può essere identificato con il contribuente, ma il contribuente, per quanto entità non soggettivata è altri (cioè il Fondo)[14] l’ordinamento non può consentire che non vengano apprestati gli strumenti necessari affinché il contribuente venga posto nelle condizioni di poter assolvere alle proprie obbligazioni tributarie (correlate alla manifestazione della propria capacità contributiva), per il tramite della SGR, senza che vengano violate le norme che disciplinano gli istituti ed in primis quella della separazione patrimoniale[15].

Invero, il panorama giurisprudenziale offre pronunce che nei loro effetti violano il principio di separazione patrimoniale; alcuni giudici con ricostruzioni assai rigide e per nulla rispettose della ratio delle norme sono giunti ad affermare la riferibilità del debito tributario, in via principale, alla SGR (non essendo il Fondo dotato di soggettività propria) o a sostenere la coobbligazione solidale della SGR con il Fondo per i debiti a questo riferibili.

Al numero di queste rigide letture appartiene quella fornita dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 1653/2023 e quella fornita dalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 7116/2023.

La Corte di Appello di Milano con la sentenza menzionata, resa nell’ambito di un procedimento di opposizione ad un pignoramento presso terzi operato da Agenzia delle Entrate Riscossione per la soddisfazione di crediti tributari riferibili all’IMU, ha ritenuto che la SGR vada identificata quale il “soggetto debitore” nelle obbligazioni tributarie riferibili a beni appartenenti a fondi dalla stessa gestiti.

I Giudici, qualificano la SGR quale “contribuente“-“debitore” con un percorso interpretativo di rigidissimo approccio meramente letterale. La Corte, infatti, facendo riferimento al testo dell’art. 36, comma 4, del TUF secondo cui “delle obbligazioni contratte per conto del Fondo la società di gestione risponde esclusivamente con il patrimonio del Fondo medesimo” ritiene che l’espressione “contratte si pone come allusivo alle sole obbligazioni di fonte contrattuale (…) sicché non sembra potersene predicare l’operatività anche rispetto ad obbligazioni aventi la propria fonte esclusivamente nella legge quali le obbligazioni tributarie”.

Nella lettura fornita dal Tribunale, quindi le obbligazioni connesse ad atti di autonomia privata sarebbero imputabili, quanto agli effetti obbligatori, al Fondo, mentre, invece, quelle discendenti dalla legge, quali quelle tributarie sarebbero imputabili alla SGR e detta interpretazione si fonderebbe sul tenore testuale dell’art. 36, comma 4 TUF il quale prevede che la SGR risponde con il patrimonio del Fondo solo delle obbligazioni “contratte“ mentre non vi è specificazione alcuna nella norma circa la imputabilità delle obbligazioni non frutto di autonomia negoziale bensì discendenti direttamente da obblighi di legge.

La lettura delle norme proposta con detta sentenza oltre ad essere foriera di potenzialmente dannosissimi effetti economico-finanziari in danno delle SGR, contrasta a livello sistematico con tutti i principi della disciplina dei Fondi in primo luogo con quello di separazione ed autonomia patrimoniale poi con i principi in materia di imposizione giacché trasla l’onere economico di un tributo espressivo della capacità contributiva di un centro di imputazione (quale il Fondo) su un soggetto (la SGR) che con il primo ha un mero rapporto di funzione (prestatore del pagamento) ma certo con i beni cui è connesso il tributo non ha un rapporto di signoria piena (essendo proprietario meramente formale dei beni).

L’interpretazione della Corte di Appello, poi mostra le sue crepe laddove solo si analizzi l’evoluzione della norma in discorso.

Il testo a cui fanno riferimento i Giudici è quello della versione risultante dalle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 44 del 4 marzo 2014, quel testo costituisce evoluzione della precedente versione dal seguente tenore: “delle obbligazioni contratte per suo conto, il Fondo comune di investimento risponde esclusivamente con il proprio patrimonio”.

La modifica (peraltro introdotta con il mezzo inappropriato della decretazione d’urgenza)[16] che ha condotto da detto testo a quello successivo oggetto di esame nella sentenza del Tribunale di Milano rispondeva alla sola esigenza di prendere atto dell’intervento del Giudice di legittimità (Cass. 16605/2010) in tema di soggettività dei fondi, senza che al termine “contratte” previsto sia nella vecchia versione che nella nuova venisse attribuito alcun significato in termini di selezione delle tipologie di obbligazioni assunte dalla SGR ma pur sempre gravanti sul Fondo.

Pare avere pretermesso la Corte la considerazione che i tributi appartengono sì alla categoria delle obbligazioni ma di quelle ascrivibili all’ampio genus delle prestazioni patrimoniali imposte che non necessitano della manifestazione di volontà del soggetto obbligato da un lato ma che mai possono prescindere dal nesso di riferibilità delle stesse alla manifestazione di capacità contributiva che le legittima.

Ora, in disparte la evidente erroneità dell’ultima sentenza citata resta la considerazione che la SGR stante la sua veste di proprietario meramente formale dei beni può costituire centro di imputazione meramente formale del tributo (appunto prestatore) mentre il centro di imputazione sostanziale deve essere identificato nel Fondo da essa amministrato.

Da questa impostazione sembrava aver preso le mosse anche la Suprema Corte con la sentenza n. 7116/2023; i Giudici di legittimità dedicano la prima parte della motivazione della sentenza alla ricostruzione giuridica della fattispecie, rilevando infine[17] che l’attività svolta dalla SGR è qualificabile quale svolgimento di una “funzione” rivestendo essa un ruolo in virtù del quale è tenuta al pagamento dell’imposta.

Dalla corretta impostazione che quindi, quello svolto dalla SGR è sostanzialmente corrispondente all’assolvimento di un ufficio, la Suprema Corte, poi, però, contraddittoriamente conclude che la SGR è tenuta al pagamento dei debiti relativi al Fondo pur quando abbia cessato di gestire lo stesso e quindi abbia smesso di svolgere detto ufficio o funzione.

La progressione argomentativa sostenuta dalla Corte Suprema appare contraddittoria giacché lo svolgimento di un ufficio o di una funzione non radica l’imposizione sul soggetto prestatore essendo indubitabile che permane la divaricazione tra il centro di imputazione della obbligazione (in capo a chi manifesti la capacità contributiva) e il soggetto prestatore, che però al momento della manifestazione della pretesa non abbia più alcun rapporto con l’oggetto che quella pretesa sostanzia.

Appare quindi, senz’altro condivisibile l’impostazione di partenza fornita dalla Corte Suprema: cioè quello svolto dalla SGR pare essere assimilabile ad un negozio di funzione al pari di quello svolto dai curatori di eredità giacenti ad esempio a cui è rimessa l’amministrazione dei beni compresi nell’asse ereditario la cui titolarità non è ancora conosciuta.

L’espletamento di detto tipo di funzioni atte a supplire alla carenza di soggettività (connessa ad esempio nel caso di eredità giacente alla mancata attribuzione dei beni dell’asse ereditario) certo non consente che il curatore sia identificato quale soggetto passivo del tributo e tantomeno, nel caso in cui amministri due eredità giacenti che sia legittimato o possa essere posto nelle condizioni di far fronte ai debiti di un coacervo con i debiti di altro coacervo da lui stesso amministrato.

In sintesi, a livello sistematico, procedendo dalla qualificazione dell’attività svolta dalla SGR quale negozio di funzione (ed essendo qualificabile la SGR quale soggetto prestatore legittimato ad adempiere), vincolato, nel fine, nel metodo e nelle responsabilità tale per cui l’intestazione in capo alla stessa dei beni appartenenti al Fondo è meramente formale (perché priva della signoria del volere nell’interesse proprio), si perviene alla conclusione che con riferimento ai beni del Fondo, la SGR ai fini tributari, non possa essere qualificata quale soggetto passivo di imposta ex se (come tale debitore principale e neppure coobbligato in solido) essendo essa il mero soggetto di attuazione della relazione giuridica tra il Fondo e la situazione giuridico-economica assoggettata al tributo così preservandosi, il principio di separazione patrimoniale che connota l’istituto.

 

[1] A. AMATUCCI, Il regime tributario dei fondi comuni di investimento mobiliare, in Boll. trib., 1984, 421; E. BELLI CONTARINI, Fondi comuni di investimento mobiliari nazionali, società di investimento a capitale variabile (Sicav) e soggettività tributaria, in Riv. dir. trib., 1994, 1121, per il quale il fondo sarebbe in grado di adempiere al dovere di contribuzione in quanto centro autonomo d’imputazione giuridica: esso, infatti, «nonostante la rimborsabilità ad libitum delle quote riconosciuta ai singoli partecipanti, è pur sempre dotato di autonomia patrimoniale; lo stesso è munito, altresì, di autonomia gestionale, ovverosia decisionale, sebbene gli organi che pongono in essere gli atti a lui (al fondo) riferibili siano gli stessi della società di gestione»; F. BOSELLO, Aspetti fiscali dei fondi comuni di investimento, in Dir. prat. trib., 1984, 73; G. FALSITTA, Lineamenti del regime fiscale dei fondi comuni di investimento mobiliare aperti, in Rass. trib., 1984, p. 1, secondo cui «i fondi si configurano come dei patrimoni separati e personificati, destinati in via esclusiva all’esercizio di attività commerciali, in quanto tali ricadenti puntualmente nell’ampia previsione contenuta nella lettera b) dell’art. 2 del D.P.R. n. 598/1973; tant’è che può affermarsi che, nell’assenza di una espressa presa di posizione a questo riguardo, in sede di elaborazione della normativa, in un sistema quale quello italiano, sarebbe fuori discussione l’applicabilità, ai fondi, della disciplina prevista dall’art. 2 del decreto IRPEG». A favore della soggettività dei fondi d’investimento ai fini delle imposte dirette anche A. GIOVANNINI Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, 409 ss. per il quale, anche senza tenere in considerazione il disposto normativo che statuisce l’autonomia patrimoniale dei fondi, «l’imposizione sostitutiva (prevista –lo ricordo nuovamente- per i fondi mobiliari e per quelli immobiliari) attesta la loro soggettività, vuoi dal punto di vista della realizzazione della materia imponibile, vuoi da quello dell’imputazione dell’obbligazione d’imposta». 20 Cfr. F. GALLO, I soggetti del libro primo del codice civile e l’Irpeg: problematiche e possibili evoluzioni, in Riv. dir. trib., 1993, 347.

[2] Ai sensi dell’Art. 73, comma 1, lett. c), del gli OICR residenti nel territorio dello Stato (sia mobiliari che immobiliari) sono inclusi tra i soggetti passivi dell’IRES. I fondi immobiliari non sono soggetti IVA tali essendo, invece, ai sensi dell’art. 8, comma 1, D. Lgs 351/2001 le SGR. Mancano, invece, chiari riferimenti normativi sulla identificazione dei Fondi quali soggetti passivi ai fini delle imposte locali cosicché le maggiori problematiche attengono proprio alla riscossione di detto tipo di tributi.

[3] Corte Cass. 15/7/2010 n. 16605

[4] Ex multis Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Toscana, sent. n. 126/2023, Commissione Tributaria Regionale delle Lombardia, sent. n. 1148/2022, Commissione Tributaria Regionale della Liguria, sent. n. 51/2022, Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 62/2021, Commissione Tributaria Regionale della Campania, sent. n. 150/2020 e Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sent. n. 3290/2020.

[5] Tribunale di Milano sent. n. 7232/2016 pubblicata il 10 giugno 2016 .

[6] In ambito civilistico numerosi studiosi si sono prodotti in detto sforzo interpretativo, tra i tanti: FERRO LUZZI, Un problema di metodo: la “natura giuridica” dei fondi comuni di investimento (a proposito di Cass. 15 luglio 2010, n. 16605), in Rivista delle Società, 2012, pag. 751; CALICETI, Vecchie e nuove questioni in tema di fondi comuni di investimento, in Rivista di diritto civile, 2012, II, pag. 219, LAMORGESE, I fondi comuni di investimento non hanno soggettività giuridica, in I Contratti, 2011, pag. 27; BASILE “La soggettività dei fondi comuni di investimento: appunti a margine della pronuncia del Tribunale di Milano” in Rivista di Diritto Bancario, 2017, pag. 125

[7] La pronuncia si pone nel solco di altre del medesimo Tribunale , medesima Sezione , ci si riferisce in specie alla sentenza n. 7232/2016 (R.G.19175/2012), pubblicata il 10 giugno 2016 in questa Rivista il commento di P. BASILE La soggettività dei fondi comuni di investimento :appunti a margine della pronuncia del Tribunale di Milano, ott.- dic. 2017, 125

[8] C.M. BIANCA, Diritto Civile, L’obbligazione, Giuffrè, 1990, pag. 274 e segg.

[9]P. BASILE “La soggettività dei fondi comuni di investimento: appunti a margine della pronuncia del Tribunale di Milano” cit. che lucidamente afferma: “La soggettività inizialmente adombrata dalla Corte di Cassazione parrebbe infatti attenere alla capacità d’agire di una determinata entità patrimonialmente tangibile, e non già alla sua idoneità a costituire legittimo centro di imputazione di rapporti giuridici e, perciò stesso, titolare di obblighi e diritti (trattasi, in tal caso, della capacità giuridica dell’entità, anche sul piano processuale). Da questo angolo visuale risulta indifferente che il fondo comune di investimento sia autonomo centro di imputazione, ovvero un (non autonomo) centro di imputazione per mezzo di altro soggetto. Ed è il regime patrimoniale fissato dalla legge – come conferma, indirettamente, la stessa sentenza della Cassazione – a determinare che gli effetti dell’azione del gestore, posta in essere per conto di un distinto e separato compendio patrimoniale (pertanto autonomo), siano imputabili a quello specifico “sacco di denaro” .

[10] Ed infatti l’art. 73 del TUIR individua tra i soggetti passivi ai fini Ires al comma 1, lett. c) anche gli OICR.

[11] Così, G. INGROSSO, Istituzioni di diritto finanziario, II, Le entrate dello Stato – imposte e tasse – entrate patrimoniali, Napoli, 1937, 17. Nei medesimi termini, A. D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1972, 109, per il quale “la capacità giuridica tributaria nel nostro ordinamento, come in quello di altri Stati, non coincide con la capacità giuridica del diritto privato (o di altri rami del diritto), e ciò nel senso che, mentre tutte le persone fisiche e collettive, giuridicamente capaci secondo il diritto privato, sono, senz’altro, tali anche per il diritto tributario, quest’ultimo, invece, attribuisce la capacità di essere soggetti passivi di imposta anche ad unioni di persone o a complessi di beni sforniti, secondo il diritto privato, di capacità giuridica”. Secondo l’Autore la configurabilità di una soggettività tributaria svincolata dai canoni di diritto comune discendeva dai peculiari scopi della normativa fiscale volta a garantire l’imposizione di qualsivoglia situazione economica espressiva di capacità contributiva e la centralità dalla stessa accordata al presupposto oggettivo rispetto a quello soggettivo. C. LAVAGNA, Teoria dei soggetti e diritto tributario, in Riv. dir. fin.Sc. Fin., 1961, 3ss.; Id., Capacità di diritto pubblico, in Enc. Dir., vol. VI, Milano, 1960, p. 97-98. Più di recente M. NUSSI L’imputazione del reddito nel diritto tributario, Padova, 1996, 35

[12] In questi termini P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 2002, 190.; L.V. BERLIRI, Della cosiddetta capacità di diritto tributario, in L’imposta di R.M., Incontri e scontri di dottrina e giurisprudenza, Milano, 1949, 426; sul punto anche A. FALZEA Capacità giuridica, in Enc. Dir., VI, Milano, 1960, 17, il quale criticava l’idea di una soggettività tributaria speciale, ritenendo che il rapporto giuridico d’imposta non potesse costituirsi che, sia pure in riferimento ad un patrimonio autonomo, in capo ai soggetti titolari del patrimonio medesimo.

[13] S. FIORENTINO, Contributo allo studio della soggettività tributaria, cit., 86 ss; Id., Riflessioni in tema di soggettività tributaria: il pensiero di Amatucci e la problematicità di questioni ancora attuali, in AA. VV., Dal diritto finanziario al diritto tributario, Studi in onore di Andrea Amatucci, II, sez. II, Bogotà-Napoli, 2011, 305ss.

[14] 65 Così A. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1972, 109G. A. MICHELI, Soggettività tributaria e categorie civilistiche, in Riv. dir. fin., 1977, 431,

[15] Così, A. BALLANCIN Riflessioni sulla acquisita soggettività tributaria, in Argumentum, Revista di Dereito n. 14 -2013-Unimar, A. FALZEA, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, 43ss), in tal senso M. BASILE – A. FALZEA, Persona giuridica, Diritto privato, in Enc. Dir., vol XXXIII,Milano, 1983, 249ss., S. FIORENTINO, Contributo allo studio della soggettività tributaria, Napoli, 2000, 31.

[16] GENTILONI SILVERI, Limiti di responsabilità patrimoniale nei fondi di investimento. Novità recenti: tra giurisprudenza e legislazione, nota a Cass., 15 luglio 2010, n. 16605, in Banca, borsa e tit. di cred., 2011, II, 423 ss

[17] Corte Cass. n. 7116/2023 punto 4.1.”Tali ultime ricostruzioni, in particolare, colgono alcuni aspetti del fenomeno e, in alcuni casi, ben giustificano il ricorso alla figura del patrimonio separato, ma non giungono a definire l’ integralità del fenomeno, rappresentata dall’appartenenza funzionale dei beni, come se fosse stata tipizzata per legge una specifica ipotesi di proprietà nell’ interesse altrui, che non è assimilabile semplicemente ad un diritto soggettivo, ma, piuttosto, ad una funzione (…)”.

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