Con la sentenza in commento la Cassazione è nuovamente[1] tornata ad affrontare le complesse problematiche derivanti dall’applicazione nell’ordinamento interno dei principi di diritto formulati dalla Corte di Giustizia con la sentenza Taricco[2].
In specie, la pronuncia in esame giunge ad affermare la non attuabilità dell’obbligo di disapplicazione enucleato dalla sentenza Taricco soffermandosi su due profili specifici, in parte già valorizzati nella precedente sentenza della Cassazione 2210/2016, che insistono, da un lato, sul giudizio in ordine alla gravità delle frodi in relazione alle quali andrebbe disapplicata la disciplina nazionale della prescrizione e, da un altro lato, su considerazioni di ordine intertemporale, in merito alla disapplicazione della disciplina nazionale sulla prescrizione a seconda che, in base ad essa, la prescrizione sia già maturata, ovvero il suo termine sia ancora pendente.
In primo luogo – con riferimento alla tematica in ordine al concetto di ‘gravità’ della frode – la Corte ribadisce la difficoltà di delinearne una nozione precisa, tale da consentire l’operatività dell’obbligo di disapplicazione della disciplina prescrizionale interna.
A tale riguardo, infatti, la Corte evidenzia come la mancata previsione di una soglia di gravità minima in cui il reato debba concretizzarsi ai fini della disapplicazione della prescrizione chiami il giudice nazionale “in sostanza a una valutazione d’impatto delle disposizioni di riferimento che esula dal caso concreto a lui affidato”, ponendolo di fronte ad un compito interpretativo di non facile soluzione.
In secondo luogo, venendo alle problematiche di diritto intertemporale, la Corte formula due importanti precisazioni.
In primis, si rileva che qualora sia già intervenuta una declaratoria di prescrizione e tale statuizione risulti coperta da giudicato “sarebbe inaccettabile, anche sotto il profilo giuridico, che la prescrizione del reato (che risulta a sua volta decorsa, come si è detto, già prima della sentenza impugnata, in base alla legislazione nazionale e al diritto vivente) possa oggi essere vanificata per effetto di un’interpretazione sopravvenuta dell’art. 325 del TFUE […]”.
Più in generale, poi, la Corte sottolinea come l’operatività della disapplicazione enucleata nella sentenza Taricco vada limitata alle sole ipotesi in cui “non è ancora intervenuta la prescrizione”.
In tal senso, afferma la Cassazione, sussisterebbe “una sorta di ‘diritto quesito’ dell’imputato all’estinzione del reato per il quale fosse già intervenuto il termine di prescrizione, diritto che non appare pregiudicabile per effetto di una forma atipica di ius superveniens come quella introdotta dalla Corte lussemburghese con la più volte citata pronunzia. In tal senso, appare ragionevole sostenere che la disapplicazione degli artt. 160 e 161 cod. pen., per assicurare la tenuta dei principi ispiratori del sistema penale nazionale (a cominciare dall’art. 25, comma 2, Cost.) e al tempo stesso il rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea (art. 117, comma 1 Cast.), debba valutarsi rispetto ai fatti non ancora prescritti alla data della pubblicazione della sentenza Taricco (3 settembre 2015) [sic], fra i quali non rientra il caso in esame”.
[1] Si veda Cassazione Penale, Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 2210.
[2] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, procedimento C-105/14.