Con decisione n. 6168 del 29 novembre 2013 il Collegio di Coordinamento dell’ABF ha affrontato la questione relativa alla responsabilità conseguente all’utilizzo fraudolento di uno strumento di pagamento, derubato al legittimo utilizzatore, con particolare riguarda a fattispecie rispetto cui trova ratione temporis applicazione la disciplina sui servizi di pagamento introdotta dal d. lgs. n. 11/2010.
Per quanto qui maggiormente interessa, si ricorda come l’art. 10, comma 2, d. lgs. n. 11/2010, prevede che “Quando l’utilizzatore dei servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all’articolo 7”.
Secondo il Collegio, tale norma non deve essere intesa nel senso di escludere automaticamente qualsiasi presunzione al riguardo ma, diversamente, che il solo compimento dell’operazione fraudolenta non costituisca “di per sé” e “necessariamente” prova della colpa grave dell’utilizzatore.
L’unica presunzione che appare vietata dalla richiamata disposizione è quella relativa dell’affermazione della colpa grave esclusivamente collegata all’utilizzo della carta; da ciò ne discende, a contrario, che sia invece ammissibile tale presunzione, laddove sussista una serie di elementi di fatto particolarmente univoca e convergente, al punto che possa ragionevolmente ritenersi che l’utilizzo fraudolento sia effettivamente riconducibile sul piano causale alla condotta dell’utilizzatore.
Pertanto, conclude il Collegio, la possibilità giuridica della prova non è connessa al fatto che sia richiesto al prestatore di fornire la prova diretta di comportamenti tenuti dall’utilizzatore che possano qualificare una condotta gravemente colposa, ma almeno una serie convergente ed inequivoca di circostanze di fatto che, essendo note, possano ragionevolmente far presumere l’esistenza del fatto ignoto (id est la colpa grave), ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.