Nel caso in esame, una società Alfa lamentava di aver subito un pregiudizio diretto dall’incorporazione della propria debitrice, Beta, nella controllante di questa, Gamma, quando l’ultima versava già in stato d’insolvenza. Da un lato, infatti, gli amministratori di Gamma avrebbero inteso indurre Alfa a concludere le attività previste dal contratto di subappalto ed ulteriori lavori in variante, pur conoscendo lo stato patrimoniale del gruppo e anzi, d’altro canto, dolosamente frustrando la possibilità per la subappaltatrice di ottenere il pagamento delle opere svolte con il mezzo dell’operazione straordinaria (su cui i sindaci non avrebbero diligentemente vigilato, ex artt. 2407 e 2043 c.c.), il cui effetto finale sarebbe stato quello di sottrarre la garanzia patrimoniale costituita dal patrimonio della controllata (in tesi solvibile) all’attrice. Alfa subiva così un danno diretto ex artt. 2395 e 2043 c.c., costituito dall’impossibilità di percepire il corrispettivo per i lavori pur eseguiti.
E l’attrice Alfa argomentava la dolosa preordinazione dal fatto che all’attrice fossero stati commissionati ulteriori lavori in variante, nonostante il tardivo deposito del bilancio di Gamma, le difficoltà che la medesima aveva nel pagamento degli stipendi e l’omissione delle situazioni patrimoniali della società coinvolte nella fusione, così rimanendo nascoste le reali condizioni delle stesse.
A fronte di tali prospettazioni, il Tribunale di Milano, Sezione Imprese, ha ritenuto che l’attrice non abbia assolto compiutamente all’onere probatorio richiesto dall’azione aquiliana spiegata avverso i sindaci e gli amministratori.
E, infatti, la fusione – di per sé lecita, non avendo Gamma provveduto ancora a distribuire l’attivo – era sorretta da ragioni non pretestuose ed in parte connesse ad esigenze ristrutturative di gruppo. Del resto, nemmeno la consecuzione eziologica del danno alla condotta pare essere immediata, ostandovi: (i) l’impossibilità, a prescindere dalla fusione, per Beta soddisfare il credito di Alfa, attesa l’ingente debitoria e il patrimonio netto negativo all’epoca dell’incorporazione; (ii) il fatto che Alfa abbia accettato lavori direttamente da Gamma, nell’ultima fase del contratto di subappalto; (iii) l’obbligo in capo all’attrice di eseguire gran parte delle opere poi non pagate derivava direttamente dal contratto di subappalto; (iv) la dubbia idoneità ex se delle condotte omesse dai sindaci ad evitare l’incapienza della controllata prima e della società risultante dalla fusione poi. Infine, un ulteriore elemento in contrasto con la prospettazione di Alfa si rinviene nel fatto che l’operazione di fusione, in cui l’attrice vedeva un asserito beneficio per la controllante, è stata riguardata proprio dalla Curatela fallimentare di Gamma quale atto di nessun interesse per l’incorporante, anzi in danno a sé e ai propri creditori.
In obiter dictum, peraltro, il Tribunale meneghino nota, confermando la corretta impostazione in diritto del ragionamento attoreo con argomento ad adiuvandum, che, laddove si ritenesse (come l’attrice non ha, tuttavia, correttamente fatto) che il pregiudizio patito dall’attrice si identificasse nel dover concorrere per il corrispettivo dell’appalto sul patrimonio di Gamma insieme agli altri debitori di questa, tale sarebbe l’oggetto della diversa azione ex art. 2394 c.c., in quanto tesa a far valere una posizione di svantaggio comune a tutti i creditori di Beta (e, pertanto, la legittimazione attiva verrebbe ristretta al solo Curatore fallimentare).