Nell’ipotesi di fusione per incorporazione, la società incorporante subentra in tutti i rapporti giuridici dell’incorporata, di conseguenza la sentenza pronunciata nei confronti dell’incorporante quando l’azione era stata proposta nei confronti dell’incorporata non determina una violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato sul piano soggettivo.
La Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, con la sentenza n. 21482 del 25 ottobre 2016, ha stabilito che nell’ipotesi di fusione per incorporazione anteriore alla modifica dell’art. 2504-bis c.c. del gennaio 2004, la società incorporata si estingue pur avendosi il proseguimento in capo all’incorporante dei giudizi pendenti nei confronti della stessa, senza alcuna interruzione ai sensi dell’art. 299 c.p.c.
In particolare, nel caso di specie, un istituto bancario aveva ceduto un credito vantato nei confronti di una società ad un’agenzia di factoring, che così se ne era resa cessionaria. In un secondo momento, sia l’istituto cedente, sia l’agenzia cessionaria si sono fusi per incorporazione in una terza società incorporante, che così è subentrata nell’universalità dei rapporti giuridici relativi a tali soggetti.
Ad ogni modo, il debitore ha sostenuto in un giudizio inizialmente instaurato nei confronti dell’istituto bancario la totale insussistenza del credito come conseguenza della nullità di una serie di clausole contrattuali relative al calcolo degli interessi, ed anzi la sussistenza di un proprio credito. A seguito della conferma delle posizioni del debitore da parte sia del Tribunale, sia dei giudici di secondo grado, la società incorporante ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione dell’art. 112 c.p.c. per essere state le domande del debitore accolte nei confronti di un soggetto (successore dell’agenzia di factoring) diverso rispetto a quello contro cui inizialmente la domanda era stata proposta (successore dell’istituto bancario).
Al riguardo, la Cassazione rileva come la sentenza impugnata sia stata emessa semplicemente nei confronti della incorporante, che all’esito delle operazioni di fusione per incorporazione portate a termine è subentrata definitivamente in tutti i rapporti relativi ad entrambe le società incorporate.
In questo contesto dunque, argomenta la Suprema Corte, “non può effettuarsi alcuna distinzione soggettiva nell’ambito dell’unitaria persona giuridica della società che ha incorporato tanto la cedente quanto la cessionaria del credito”. Alla luce di quanto precede, non potrebbe altresì scindersi la legittimazione processuale e sostanziale dell’ incorporante così da riflettere le distinte posizioni dei soggetti incorporati, posto che tale differenziazione si dovrebbe svolgere avendo riguardo a dei soggetti non più esistenti (la disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 2504-bis c.c. contemplava infatti l’estinzione della società incorporata quale naturale conseguenza della fusione).
Ne consegue come nel caso in esame sia da escludere una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sul piano soggettivo, in relazione all’individuazione delle parti processuali.
Come conseguenza della fusione, infatti, la persona giuridica della società incorporante viene sì ad assumere tutti i rapporti giuridici facenti capo alle società incorporate, ma ciò non determina affatto la possibilità di poter dividere l’unitaria personalità giuridica dell’incorporante separando le situazioni in passato facenti capo alle società incorporate, come se l’incorporante svolgesse un mero ruolo di rappresentante di soggetti giuridici diversi e ancora esistenti.
Di conseguenza, la Suprema Corte rigetta il ricorso presentato dall’incorporante, ribadendo l’inammissibilità di una valutazione separata delle posizioni acquisite in quanto successore sia dell’istituto bancario, sia dell’agenzia di factoring.