Il presente contributo analizza la disciplina della “entry tax” in caso di fusione “in entrata” con particolare riferimento alla data di valorizzazione delle attività e passività in ingresso e della retrodatazione fiscale.
Ai sensi dell’art. 166-bis, comma 1, lett. e), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”), rientra nella disciplina della cosiddetta “entry tax” anche l’ipotesi in cui “un soggetto fiscalmente residente all’estero che esercita un’impresa commerciale è oggetto di incorporazione da parte di un soggetto fiscalmente residente nel territorio dello Stato”. Ai sensi del successivo comma 3, lettera e), le attività e le passività del soggetto incorporato non residente devono assumere quale valore fiscale “di ingresso”[1] il relativo valore di mercato, a condizione che lo Stato di provenienza sia uno Stato membro UE o white-list[2].
Nella menzionata norma, però – a differenza di quanto accade in materia di exit tax (cfr. art. 166, comma 7, TUIR) – non viene esplicitato l’elemento temporale connesso alla valorizzazione in ingresso, cioè a quale data debba essere determinato il valore effettivo del patrimonio “immesso” nel territorio italiano.
In relazione a tale aspetto, l’Agenzia delle Entrate:
- con riferimento ad una fusione transfrontaliera “in entrata” di una società lussemburghese incorporata in una società italiana, ha affermato che “il valore di ingresso in Italia corrisponderà a quello di mercato al momento dell’ingresso della società lussemburghese” (Risposta n. 11/2019); e
- con riferimento all’applicazione dell’entry tax a società estere soggette a regime CFC, ha chiarito che “[c]iò che rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 166-bis […] è l’ingresso dei beni nel regime di imposizione italiano ai fini del reddito d’impresa” (Circolare n. 29/E/2022).
Pertanto, il momento di determinazione del valore di mercato coincide con la data di “ingresso”, ai fini fiscali, delle attività e passività in Italia dell’incorporata non residente, e cioè con la data dell’assoggettamento di dette poste patrimoniali al regime impositivo domestico secondo i criteri di determinazione del reddito per le società di capitali nazionali (il riferimento è a soggetti con piena personalità giuridica).
Il valore effettivo delle attività e passività oggetto di incorporazione in caso di fusione transfrontaliera (incorporata UE) o internazionale (incorporata extra-UE) “in entrata” deve pertanto essere quantificato alla data di efficacia fiscale della fusione, poiché è a partire da tale data che, ai fini tributari, i flussi reddituali afferenti all’incorporata non residente acquisiscono rilevanza in capo all’incorporante residente.
Come è noto, nell’ambito della disciplina fiscale delle fusioni, tale data può non coincidere con quella di efficacia giuridica dell’operazione; ai sensi dell’art. 172, comma 9, TUIR[3] è infatti permesso di retrodatare convenzionalmente (entro certi limiti) gli effetti fiscali della fusione, con conseguente anticipazione, mediante fictio iuris, del momento di “confusione” degli accadimenti gestionali e reddituali di incorporante e incorporata.
Come chiarito a più riprese dall’Amministrazione finanziaria, l’art. 172 TUIR non contiene alcuna specificazione sulla residenza fiscale delle società coinvolte nella fusione[4]. Pertanto, la residenza fiscale delle società che partecipano alla fusione non costituisce una restrizione all’applicabilità della retrodatazione degli effetti fiscali, e, più in generale, del regime di neutralità fiscale previsto da tale disposizione[5].
Ciò non significa tuttavia che la retrodatazione fiscale di fusioni “in entrata” sia da considerarsi sempre ammessa. Invero, l’Agenzia delle Entrate – nella Risoluzione n. 69/E/2016 relativa alla versione pro tempore vigente dell’art. 166-bis TUIR – ha sancito la sostanziale equiparabilità degli effetti di un trasferimento di sede sociale estera in Italia a quelli prodotti da una fusione “in entrata”, sancendo dunque un parallelismo ai fini fiscali tra queste due tipologie di operazioni straordinarie[6].
Per ragioni di coerenza sistematica, dunque, si ritiene che la retrodatazione fiscale di una fusione “in entrata” incontri gli stessi limiti applicabili al trasferimento di sede in Italia.
Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria (cfr. Risoluzione n. 9/E/2006 e Risposta n. 460/2019), gli effetti fiscali del trasferimento di sede “in entrata” sono strettamente connessi alla disciplina sulla residenza fiscale. In particolare, l’art. 73, comma 3, TUIR, nella sua attuale formulazione, chiarisce che “[a]i fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta[7] hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale”.
Pertanto, in caso di trasferimento di sede sociale, la retrodatazione della residenza fiscale a partire dal primo giorno del periodo d’imposta del soggetto “ridomiciliato” opera (ope legis) solo se tale trasferimento avviene in continuità giuridica, senza interruzione dell’esercizio e, in particolare, nella prima metà del periodo d’imposta del soggetto trasferito.
Alla luce della suddetta equiparabilità degli effetti fiscali della fusione “in entrata” con quelli prodotti dal trasferimento di sede / trasformazione “in entrata”, si ritiene pertanto che la possibilità di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione di una incorporata non residente in una incorporante residente dipenda dal momento in cui si perfeziona l’operazione, occorrendo in tal senso distinguere a seconda che tale data ricada nella prima o nella seconda metà del periodo d’imposta dell’incorporata[8].
1. Fusione transfrontaliera o internazionale perfezionata nella seconda metà del periodo di imposta
Coerentemente con la predetta tesi, se la fusione (transfrontaliera o internazionale) “in entrata” si perfeziona giuridicamente nella seconda metà del periodo di imposta dell’incorporata, indipendentemente dalla retrodatazione contabile dell’operazione, la retrodatazione fiscale dovrebbe comunque essere preclusa, posto che, in caso di trasferimento di sede, non opererebbe la retrodatazione della residenza fiscale all’inizio del periodo di imposta[9]–[10].
In senso analogo, si sarebbe espressa la stessa Amministrazione finanziaria con la Risposta n. 408/2022, relativa ad un caso di fusione “in entrata” di una società estera per cui si domandava se la verifica dell’applicazione del regime CFC alla stessa ai fini della disciplina dell’entry tax dovesse essere effettuata solo in relazione al periodo di imposta precedente a quello del “rimpatrio”. A tale riguardo, l’Agenzia delle Entrate, rispondendo affermativamente al quesito posto, precisava che “nel caso in cui la fusione transfrontaliera, in continuità giuridica “in entrata”, si perfezionasse nel secondo semestre del periodo di imposta della società estera [incorporata; n.d.a.], si ritiene che, indipendentemente dalla neutralità o meno dell’operazione, non assumerebbe rilievo, ai fini fiscali, l’eventuale retrodatazione contabile della fusione. Pertanto, contrariamente a quanto ipotizzato dall’Istante, qualora la prospettata operazione di fusione si perfezionasse nel secondo semestre del 20nn (ossia, quando sia decorsa la maggior parte del periodo d’imposta), l’ultimo periodo rilevante ai fini della verifica della imputazione per trasparenza dei redditi della controllata estera sarebbe il periodo d’imposta 20nn”.
Da ciò si può evincere come l’Amministrazione finanziaria abbia inteso limitare la retrodatazione fiscale della fusione “in entrata” descritta nell’interpello sulla base degli stessi principi che regolano la retrodatazione della residenza fiscale in caso di trasferimento di sede, in linea con i principi già espressi nella predetta Risoluzione n. 69/E del 2016.
Ove la retrodatazione degli effetti fiscali della fusione sia preclusa (come nel caso affrontato dalla Risposta n. 408/2022), dovrebbe applicarsi la disciplina prevista dall’art. 172, comma 8, TUIR, secondo cui, alla data di efficacia giuridica della fusione si interrompe il periodo di imposta dell’incorporata, che risulterà tassata su base stand-alone sui redditi prodotti fino ad allora. Si produrrebbero sostanzialmente gli stessi effetti che si realizzerebbero in caso di trasferimento di sede con chiusura anticipata dell’esercizio (e conseguente interruzione / chiusura del periodo di imposta[11]).
Nella circostanza in cui la retrodatazione fiscale non sia applicabile, la data di valorizzazione delle attività e passività dell’incorporata non residente che fanno ingresso per la prima volta nel regime impositivo d’impresa italiano dovrebbe coincidere con la data di efficacia giuridica della fusione, poiché a sua volta questa corrisponderebbe con quella di efficacia fiscale dell’operazione, senza che si assista ad una dissociazione tra le due.
Appare altresì rilevante rimarcare come l’interpretazione analogica avallata dall’Agenzia delle Entrate – che crea un parallelismo tra fusione e trasformazione – sia riferita unicamente alla possibilità (o meno) di retrodatare gli effetti fiscali della fusione “in entrata”, senza che la stessa possa essere estesa anche all’individuazione del momento di valorizzazione dei beni in ingresso, il quale, per ragioni di coerenza sistematica, si ritiene rimanga ancorato alla data di efficacia fiscale dell’operazione[12].
Detto altrimenti, il momento di valorizzazione ai fini dell’entry tax coincide con la data di ingresso delle attività e passività del soggetto “impatriato” nel regime di tassazione d’impresa nazionale; nel caso di fusioni “in entrata”, essa combacia con la data di efficacia fiscale della fusione; la stessa può essere anticipata rispetto al momento di perfezionamento giuridico dell’operazione ma – seguendo il ragionamento del Fisco – nei limiti in cui opererebbe la retrodatazione della residenza fiscale per un soggetto non residente che trasferisce la propria sede in Italia; in ogni caso, il momento di valorizzazione “in ingresso” non può mai essere postdatato rispetto alla data di efficacia giuridica della fusione “in entrata”.
Tale conclusione appare coerente anche con la disciplina dettata dal legislatore in materia di exit tax. Infatti, all’art. 166, comma 7, lettera e), TUIR viene specificato che “i redditi di cui al comma 3 sono determinati in via definitiva: […] nel caso di cui alla lettera e) [che riguarda i casi di soggetti che esercitano imprese commerciali, sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato e, inter alia, sono stati oggetto di incorporazione da parte di una società fiscalmente non residente; n.d.a.], nel momento in cui ha effetto l’operazione”.
Tale norma impone dunque la tassazione delle attività “in uscita” secondo un criterio di valorizzazione ancorato temporalmente al momento di perfezionamento giuridico della fusione, che coincide necessariamente con la data di efficacia fiscale dell’operazione[13]. Per ragioni di coerenza sistematica anche la determinazione del momento di valorizzazione “in entrata” dovrebbe pertanto seguire gli stessi principi.
2. Fusione transfrontaliera o internazionale perfezionata nella prima metà del periodo di imposta
Nel caso di fusione (transfrontaliera o internazionale) “in entrata” perfezionata giuridicamente nella prima metà del periodo di imposta dell’incorporata, occorre distinguere due scenari differenti:
- in caso di retrodatazione contabile, anche la retrodatazione fiscale dovrebbe essere ammessa[14], ma, comunque nei limiti del dettato dell’art. 172, comma 9, TUIR (ossia, con retrodatazione limitata alla data in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate o a quella, se più prossima, in cui si è chiuso l’ultimo esercizio della società incorporante[15]). In tal modo la retrodatazione fiscale non risulterebbe in conflitto con i criteri previsti in caso di trasferimento di sede / trasformazione “in entrata”, ritenuti dall’Agenzia delle Entrate applicabili alla luce di una interpretazione sistematica della disciplina fiscale della fusione. Pertanto, il momento di valorizzazione ai fini dell’entry tax dovrebbe coincidere con la data di efficacia fiscale della fusione ex art. 172, comma 9, TUIR, benché questa sia differente dalla data di efficacia giuridica dell’operazione; e
- in caso di mancata retrodatazione contabile della fusione non potrà aversi alcuna retrodatazione fiscale dell’operazione straordinaria[16]. In tal caso valgono gli stessi ragionamenti svolti in precedenza. In particolare, la data di valorizzazione ai fini dell’entry tax dovrebbe coincidere con la data di efficacia giuridica della fusione “in entrata” (coincidente con la data di efficacia fiscale ex art. 172, comma 8, TUIR). Come nel caso di fusione perfezionata nella seconda metà del periodo d’imposta, poiché l’equiparazione sistematica al trasferimento di sede è volta solamente a determinare l’ammissibilità (o meno) della retrodatazione fiscale, anche in questo caso il valore delle attività e passività che fanno ingresso nel regime impositivo d’impresa italiano non deve essere valutato alla data di inizio del periodo d’imposta dell’incorporata estera, ma alla data di efficacia fiscale dell’operazione, che, in tal caso, coincide necessariamente con quella di efficacia giuridica.
Per dovere di completezza espositiva, si ritiene che le conclusioni raggiunte (ammissibilità, seppur in circostanze, come detto, limitate, della retrodatazione fiscale della fusione “in entrata”) non si pongono in contrasto, tra l’altro, con taluni principi espressi dall’Agenzia delle Entrate in riferimento alle fusioni eterogenee domestiche[17] ovvero alle fusioni “in uscita”.
Per quanto riguarda le fusioni eterogenee domestiche, nella Risoluzione n. 22/E/2009 (relativa ad un caso di fusione eterogenea progressiva per incorporazione di s.n.c. in s.r.l.) e nella Risoluzione n. 102/E/2009 (relativa ad un caso di fusione eterogenea regressiva per incorporazione di una s.r.l. in una fondazione) l’Agenzia delle Entrate ha negato la retrodatabilità fiscale delle operazioni per motivi connessi ai differenti criteri quali-quantitativi di determinazione del reddito dei soggetti fusi (come accade, invero, anche nel caso di società di capitali residenti, soggette alle regole di cui al Titolo II, Capo II, e società di capitali non residenti, tassate sulla base delle disposizioni contenute nel Titolo II, Capo IV, TUIR).
A tale conclusione l’Amministrazione finanziaria giunge, tuttavia, non solo mediante un’interpretazione sistematica (di nuovo) incentrata sulla disciplina applicabile alle operazioni di trasformazione[18], ma altresì in relazione a fattispecie difficilmente equiparabili a quelle delle fusioni “in entrata”, nelle quali (fusioni domestiche) i redditi delle società fuse hanno già avuto piena rilevanza fiscale in Italia e, dunque, l’eventuale retrodatazione travolgerebbe modalità di determinazione del carico impositivo già “consolidatesi” in capo ai soggetti fusi.
Detto altrimenti, nel caso di fusioni eterogenee domestiche la retrodatazione avrebbe effetti sulla computazione di redditi risultanti da fatti gestionali già immessi nel regime impositivo domestico; nel caso di fusioni “in entrata” con applicazione dell’entry tax, il problema della retroattività fiscale si porrebbe unicamente per gli accadimenti gestionali altrimenti estromessi dalla potestà impositiva italiana, a cui, su base convenzionale, viene data rilevanza fiscale retrospettivamente e per cui, pertanto, anche in presenza di tale retrodatazione, non si determinerebbe alcun “travolgimento” di modalità di determinazione del reddito già “consolidate” in Italia[19].
In relazioni ad ipotesi di fusioni “in uscita”, dalla lettura della Risposta n. 486/2023 (relativa a un caso di fusione transfrontaliera di un soggetto incorporato residente in un soggetto incorporante residente in un altro Stato membro dell’UE (Francia)) l’Agenzia delle Entrate sembrerebbe avere espresso il principio per cui la retrodatazione fiscale non sarebbe ammessa ove l’operazione abbia effetti realizzativi, cioè nel caso in cui le attività e passività del soggetto incorporato italiano fuoriescono dalla potestà impositiva italiana[20].
Anche in questo caso, come per le fusioni eterogenee, la finalità di tale posizione parrebbe diretta ad evitare effetti asistematici su accadimenti gestionali già soggetti al regime impositivo domestico, ovvero salti di imposta; situazioni, queste, non sussistenti nel caso di fusioni in ingresso.
Da ultimo è importante notare che non permettere la possibilità di retrodatare fiscalmente gli effetti di una fusione “in entrata” potrebbe porre problemi di compatibilità di tale misura con le norme del diritto dell’Unione Europea. Come chiarito dal considerando (2) della Direttiva 2009/133/CE, la normativa fiscale europea in materia di fusioni è stata adottata con il precipuo scopo di uniformare le discipline domestiche degli Stati membri e di rimuovere eventuali ostacoli o distorsioni esistenti all’interno degli ordinamenti nazionali; in tal senso è stato infatti stabilito che “[l]e fusioni […] che interessano società di Stati membri diversi possono essere necessarie e per porre in essere nella Comunità condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per garantire in tal modo il buon funzionamento di tale mercato interno. Tali operazioni non dovrebbero essere intralciate da restrizioni, svantaggi e distorsioni particolari derivanti, in particolare, dalle disposizioni fiscali degli Stati membri”. Pertanto, in mancanza di un motivo imperativo di interesse generale e in assenza dei requisiti di necessarietà e proporzionalità della misura restrittiva, l’impossibilità di retrodatare fiscalmente l’efficacia delle fusioni transfrontaliere “in entrata” potrebbe porsi in contrasto (anche) con la normativa sovranazionale.
[1] Si assume che il soggetto incorporato estero non si qualifichi come controlled foreign company (“CFC”) soggetto a tassazione per trasparenza ai sensi dell’art. 167 TUIR e sia privo di stabile organizzazione in Italia.
[2] Cioè uno Stato che consente un adeguato scambio di informazioni con il nostro Paese, incluso nella lista prevista dall’articolo 11, comma 4, lettera c), del d. lgs. 1° aprile 1996, n. 239.
[3] Laddove viene stabilito che “[l]’atto di fusione può stabilire che ai fini delle imposte sui redditi gli effetti della fusione decorrano da una data non anteriore a quella in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate o a quella, se più prossima, in cui si è chiuso l’ultimo esercizio della società incorporante”.
[4] Cfr., ex multis, Risoluzione n. 470/E/2008 che ha chiarito che “[l]a disciplina nazionale in materia di fusioni nel prevedere un regime di neutralità fiscale con riguardo ai beni delle società incorporate o fuse, non discrimina in merito alla residenza delle società coinvolte” (nello stesso senso anche Risposta n. 873/2021, Risposta n. 65/2023, Risposta n. 294/2023 e Risposta n. 400/2023).
[5] È noto che quando l’operazione straordinaria involge anche soggetti esteri, soprattutto extra-UE, la neutralità dell’operazione presuppone una qualificazione civilistica dell’operazione, secondo l’ordinamento estero, analoga ad una operazione successoria domestica (in tal senso, ex multis, Risoluzione n. 42/E/2008 e Risoluzione n. 470/E/2008).
[6] Il fatto che il ragionamento sistematico adottato dall’Agenzia delle Entrate ai fini fiscali prenda a riferimento la disciplina applicabile alla trasformazione / al trasferimento di sede sociale sembra essere, a ben vedere, coerente anche da un punto civilistico. Invero, come ha rilevato il Consiglio Notarile di Milano nella Massima n. 52 “[o]gni volta che ad una fusione (o scissione) partecipa un soggetto avente forma diversa da quella del soggetto (o da uno dei soggetti) risultante dalla operazione, ciò implica la sua trasformazione (se del caso parziale)”. Ciò dovrebbe valere anche per l’incorporata avente sede sociale e residenza fiscale all’estero (anche quando la sua forma giuridica rientri in una categoria di società di capitali estere sostanzialmente assimilabile a quella dell’incorporante residente), in quanto in tal caso dovrebbe assistersi comunque ad una sua trasformazione, dovuta al mutamento della lex societatis di riferimento, e dunque dall’assoggettamento ad una disciplina giuridica diversa (quella italiana facente capo all’incorporante residente).
[7] Si ricorda che, ai sensi dell’art. 76, comma 2, TUIR, il periodo d’imposta coincide con “l’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente, determinato dalla legge o dall’atto costitutivo. Se la durata dell’esercizio o periodo di gestione non è determinata dalla legge o dall’atto costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo di imposta è costituito dall’anno solare”.
[8] In caso di non coincidenza del periodo di imposta della incorporante con il periodo di imposta della incorporata, ai fini dell’accertamento circa l’occorrenza della fusione nella prima o nella seconda metà del periodo d’imposta, si deve porre riferimento al periodo d’imposta della incorporata non residente, posto che è in relazione a tale società che occorre svolgere ragionamenti sulla sua residenza fiscale, in analogia con i principi applicabili al trasferimento di sede. Sovviene in tal senso anche il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 408/2022, di cui si farà cenno infra, ove si legge che “nel caso in cui la fusione transfrontaliera, in continuità giuridica “in entrata”, si perfezionasse nel secondo semestre del periodo di imposta della società estera […] non assumerebbe rilievo, ai fini fiscali, l’eventuale retrodatazione contabile della fusione”.
[9] In mancanza di retrodatazione contabile, a fortiori, la retrodatazione fiscale non potrà mai operare sulla base dei principi espressi dall’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 405/2019, ove l’Amministrazione finanziaria ha affermato che “si ritiene che non possa operare la retrodatazione fiscale laddove […] i principi adottati per la redazione del bilancio d’esercizio non consentano la retrodatazione contabile dell’operazione” (cfr. in senso analogo anche Risposta n. 486/2023).
[10] Un caso particolare potrebbe essere quello in cui il soggetto estero disponga già, prima del perfezionamento della fusione, di una stabile organizzazione nel nostro Paese, tramite la quale genera la totalità dei propri redditi (i.e. nessuna attività o passività connessa all’head office estero). Tralasciando questioni relative alla possibile residenza fiscale in Italia di tale soggetto estero, la retrodatazione fiscale si dovrebbe considerare ammessa anche se la fusione si è perfezionata nella seconda metà del periodo d’imposta; posto che, in tal caso, la fusione non comporta l’ingresso nel regime impositivo italiano di alcun fatto gestionale “nuovo”, con la conseguente assimilazione della fattispecie in questione, ai fini fiscali, ad una “ordinaria” fusione domestica.
[11] In merito alla possibilità per la società non residente di deliberare, contestualmente al trasferimento di sede, la chiusura anticipata dell’esercizio sociale alla data della delibera, così da evitare la retrodatazione della propria residenza fiscale in Italia, cfr., inter alios, Cristofori G., Il trasferimento di sede in Italia di società di diritto comunitario, in “Contabilità finanza e controllo” n. 6/2003; Gallio F., Il trasferimento della residenza fiscale in Italia secondo l’Agenzia delle Entrate, in “il fisco” n. 7/2006; Righini A., Trasferimento della sede e mutamento della residenza fiscale in corso d’anno, in “il fisco” n. 13/2006; Furian S., Il trasferimento della sede (e della residenza fiscale) in Italia di società di diritto comunitario, in “il fisco” n. 21/2006; Gallio F., Varesano M. e Stevanato D., Trasferimento della sede sociale in Italia e periodo di imposta della società trasferita, in “Dialoghi tributari” n. 5/2008; Piazza M., D’Angelo G. e Valsecchi M., Aspetti fiscali del trasferimento della sede in Italia, in “il fisco” n. 1/2015; Furian S. e Gallio F., Il trasferimento della sede legale di una società all’interno dell’UE, in “il fisco” n. 8/2019.
[12] Questo significa che, in caso di fusione “in entrata” perfezionata giuridicamente nella seconda metà del periodo d’imposta dell’incorporata non residente, il valore delle poste patrimoniali in ingresso in Italia andrà calcolato alla data di efficacia giuridica (e fiscale) dell’operazione straordinaria e non alla ipotetica data di fine del periodo d’imposta dell’incorporata estera, come avviene invece per il trasferimento di sede in Italia. Invero, il passaggio della citata Risposta n. 408/2022 (che purtroppo non brilla per chiarezza), ove si legge che “l’ultimo periodo rilevante ai fini della verifica della imputazione per trasparenza dei redditi della controllata estera sarebbe il periodo d’imposta 20nn”, non dovrebbe essere interpretato nel senso che il periodo di imposta 20nn a cui l’Agenzia pone riferimento è quello che si chiude al 31 dicembre 20nn (assumendo coincidenza di periodo d’imposta con anno solare), quanto piuttosto il periodo di imposta che va dal 1° gennaio 20nn alla data di efficacia giuridica (e fiscale) della fusione, poiché, come detto, in assenza di retrodatazione fiscale, il periodo d’imposta dell’incorporata si interrompe alla data di perfezionamento dell’operazione in ossequio al disposto del citato articolo 172, comma 8, TUIR. In tal senso sarebbe orientata anche la dottrina che è intervenuta a commentare il citato documento di prassi (cfr. Avolio D., Mazzarella G., Piazza M., Tempestini A., L’Agenzia delle entrate rivede la sua posizione sul regime “ad intermittenza” delle CFC, in “il fisco” n. 36/2022, ove si legge che “è opportuno anche menzionare la precisazione secondo cui nel caso di una fusione in ingresso avente effetti giuridici nella seconda parte del periodo di imposta, sarebbe irrilevante ai fini fiscali una eventuale retrodatazione, di talché il periodo con riferimento al quale apprezzare lo status CFC, per riconoscere o meno il regime di cui all’art. 166-bis del T.U.I.R., sarebbe quello in cui avviene l’operazione o, meglio, la frazione di esercizio fino alla data di efficacia giuridica”).
[13] Come si avrà modo di spiegare meglio nel prosieguo, infatti, nei casi di fusioni “in uscita” la retrodatazione fiscale non sarebbe ammessa laddove la combinazione societaria determini l’occorrenza di eventi realizzativi, e dunque in ipotesi di applicazione dell’exit tax.
[14] Sull’ammissibilità della retrodatazione degli effetti fiscali di fusione transfrontaliera “in entrata” perfezionata nella prima metà del periodo d’imposta cfr. anche Varini S., Porcarelli A. e Barbato D., Immigrazione nel territorio dello Stato: nuove disposizioni in tema di entry tax, in “Bilancio e reddito d’impresa” n. 7/2019; Michelutti R., Fusione transfrontaliera in entrata e retrodatazione fiscale, in “Corriere Tributario” n. 36/2010.
[15] Si noti che in caso di non coincidenza degli esercizi di incorporata e incorporante, la retrodatazione fiscale, in ossequio al disposto dal predetto art. 172, comma 9, TUIR, potrebbe essere limitata temporalmente alla data di chiusura dell’esercizio di quest’ultima. In tal caso, nell’ambito di fusioni “in entrata”, si potrebbero creare situazioni in cui la società incorporata continuerà ad essere considerata come fiscalmente non residente per il periodo “interinale” che va dalla data di inizio del proprio esercizio sociale fino alla data di chiusura dell’esercizio dell’incorporante. Tale intervallo temporale costituirebbe autonomo periodo d’imposta in cui il reddito complessivo dell’incorporata non residente sarà computato ai sensi delle disposizioni del Titolo II, Capo IV, TUIR. Dalla data di apertura dell’esercizio dell’incorporante (i.e. dalla data di efficacia fiscale della fusione), invece, i flussi reddituali dell’incorporata, unitamente a quelli dell’incorporante, saranno determinati in modo unitario sulla base degli artt. 81 e ss. TUIR e confluiranno nella dichiarazione dei redditi di quest’ultima (incorporante).
[16] Cfr. le già citate Risposte n. 405/2019 e n. 486/2023.
[17] Come rilevato dalla Massima n. 52 del Consiglio Notarile di Milano, esistono tre categorie di fusioni eterogenee ammesse (a determinate condizioni) dal nostro ordinamento: “(i) fusioni cui partecipano società costituite secondo tipi diversi; (ii) fusioni cui partecipano società causalmente diverse; (iii) fusioni cui partecipano, insieme a società ordinarie, enti diversi dalle stesse”.
[18] Cfr. Risoluzione n. 22/E/2009 ove si legge che “in base ad un’interpretazione logico-sistematica, […] in ipotesi di fusione cui partecipino società di diverso tipo non potrà trovare applicazione la disposizione recata dal comma 9 del medesimo articolo 172 del Tuir, la quale consente, in sostanza, in caso di retrodatazione, una sorta di consolidamento tra i risultati teoricamente attribuibili alle diverse società partecipanti all’operazione, a condizione – tuttavia – che le stesse società siano soggette alla medesima imposta. Un’indiretta conferma a quanto appena sostenuto può essere rinvenuta nell’articolo 170 del Tuir, che regola la disciplina applicabile in ipotesi di trasformazione societaria, secondo cui – ai sensi del comma 2 – “in caso di trasformazione di una società soggetta all’imposta di cui al Titolo II in società non soggetta a tale imposta, o viceversa, il reddito del periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la trasformazione è determinato, secondo le disposizioni applicabili in relazione al tipo di società, in base alle risultanze di apposito conto economico”. La fattispecie rappresentata nell’interpello in esame si sostanzia, infatti, in un’operazione di fusione fiscalmente “eterogenea” in quanto interessa società “fiscalmente” di tipo diverso, perché non soggette alla medesima imposta che implica, dal punto di vista fiscale, una trasformazione – nello specifico cd. “progressiva” – della società incorporata; ne deriva, pertanto, che dovranno trovare applicazione anche le norme fiscali in materia di trasformazione di società”; e Risoluzione n. 102/E/2009 ove, in linea con il precedente documento di prassi, si afferma che “[r]agioni di carattere sistematico inducono, inoltre, a ritenere che la possibilità prospettata dall’istante di retrodatare gli effetti fiscali della fusione, ai sensi del comma 9 dell’art. 172 del Tuir, sia da ritenersi preclusa nel caso in cui, per effetto della fusione, si realizzi anche una trasformazione eterogenea di società commerciale in ente non commerciale. Anche in questo caso, infatti, sembra corretto ritenere che le norme previste in materia di fusioni debbano coordinarsi con la disciplina fiscale propria delle operazioni di trasformazione. In proposito, va considerato che il dettato letterale dell’art. 171, comma 1, lett. b), del Tuir, nel disciplinare il trattamento delle riserve costituite prima della trasformazione di una società soggetta all’Ires in un ente non commerciale, fa riferimento al: “periodo d’imposta successivo alla trasformazione”. Da ciò si evince che la trasformazione sia un evento interruttivo che divide il periodo d’imposta in corso alla data in cui l’operazione produce i suoi effetti giuridici”.
[19] Secondo tale ragionamento non vi sarebbe pertanto alcun problema nel retrodatare gli effetti fiscali di una fusione “in entrata” di un’incorporata estera con stabile organizzazione in Italia. Caso particolare sarebbe invece quello di un soggetto non residente che, nel periodo internale (fino alla data di efficacia giuridica della fusione) abbia prodotto redditi di fonte italiana non di impresa soggetti a potestà impositiva italiana (ad es. royalties o interessi soggetti a ritenuta in uscita a titolo d’imposta). Si ritiene che in tali casi sia comunque ammissibile la retrodatazione fiscale dell’operazione sempre per ragioni di coerenza sistematica, con eventuale “conversione” delle ritenute subite a titolo d’imposta in ritenute a titolo d’acconto, scomputabili in sede dichiarativa dall’incorporante.
[20] Nella predetta Risposta è stato infatti precisato che “considerato che le attività e le passività che prima del perfezionamento dell’operazione fanno parte del patrimonio di BETA [incorporata residente; n.d.a.] confluiranno interamente nel patrimonio della stabile organizzazione che l’incorporante (ALFA [incorporante non residente; n.d.a.]) costituirà in Italia in esito all’operazione di fusione, non si concretizzano i presupposti realizzativi di cui all’art. 166 del TUIR. In presenta di tale riferita circostanza non sussiste la necessità che il periodo di imposta della società incorporata residente (BETA) dal 1° gennaio 2023 alla data di efficacia giuridica della fusione accolga, oltre agli accadimenti gestionali, anche i plusvalori/minusvalori latenti dei beni che non confluiscono nella stabile organizzazione della incorporante non residente. […] Per le motivazioni sopra esposte, si ritiene che la retrodatazione fiscale nel caso di specie, ad esito dell’incorporazione di BETA con la società estera ALFA, potrà concretamente realizzarsi in quanto l’operazione, oltre a qualificarsi sul piano giuridico formale come fusione, non si atteggia sul piano pratico in tutto o in parte quale evento realizzativo ai fini fiscali”. In materia di fusioni transfrontaliere “in uscita”, già in passato la dottrina si era pronunciata sull’ammissibilità della retrodatazione fiscale solo in assenza di fenomeni realizzativi (cfr. Michelutti R., Fusione transfrontaliera in uscita e retrodatazione fiscale, in “Corriere Tributario” n. 39/2010).