La norma dell’art. 2624 cod. civ. (vigente all’epoca dei fatti, poi abrogato dal d. lgs. 61/2002) secondo cui è vietato il contratto di prestazione di garanzie sociali per i debiti personali dell’amministratore, ha carattere imperativo. Sotto il profilo funzionale, la fattispecie persegue la finalità pubblicistica della corretta gestione delle entità patrimoniali della società, sicchè la violazione del bene giuridico tutelato comporta l’invalidità del negozio, riconducibile ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ., alla nullità del medesimo.
Nella fattispecie concreta cui si riferisce il procedimento veniva in rilievo un contratto di garanzia concluso dalla ricorrente cessionaria di un credito vantato da un istituto bancario, e una società in accomandita semplice fideiussore di Tizio, amministratore della stessa.
Il Supremo Collegio afferma, sulla scorta dell’orientamento tradizionale presso la giurisprudenza di legittimità, che il contratto di garanzia concluso in conflitto di interessi dall’amministratore per finalità proprie è da considerarsi nullo (Cass. Civ. 2858/1997; Cass. 4774/1999; Cass. 1228/2000). La Corte chiarisce che l’elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 2624 cod. civ. non è l’effettiva sussistenza, verificata ex post, di un danno patrimoniale, bensì il fatto stesso della conclusione del negozio. L’oggetto della tutela dell’art. 2624 cod. civ. è dunque l’interesse alla corretta gestione e amministrazione della società e all’esatta destinazione dei beni del patrimonio della medesima. Trattandosi di un reato di pericolo presunto, la Suprema Corte ravvisa nella prestazione di garanzie sociali proprio il potenziale abuso che la norma intende prevenire.
Si pone in contrasto con il provvedimento qui massimato Cass. Civ. III Sez. 26097/2016, in cui, identificato il bene giuridico tutelato dalla norma nel dovere di fedeltà e imparzialità degli amministratori (e dunque non un interesse generale di rango pubblicistico), si giunge alla conclusione secondo cui il negozio è annullabile, con l’effetto della rimessione agli organi amministrativi della società della valutazione circa la convenienza di mantenere o meno in piedi l’operazione.