Con la sentenza resa lo scorso 2 luglio (causa C-231/2019) la Corte di Giustizia UE è intervenuta ancora una volta sul trattamento IVA dei servizi resi ai gestori collettivi del risparmio. Come noto, i servizi di gestione relativi ai fondi comuni di investimento soggiacciono ad una specifica previsione di esenzione ai sensi dell’art. 135, par. 1 g), della Direttiva 112/CE e (per quanto riguarda l’ordinamento italiano) dell’art. 10, comma 1 n. 1, del DPR n. 633/72. Nel corso degli anni si è sviluppato un ampio dibattito giurisprudenziale[1] con riferimento ai servizi di gestione “esternalizzati”, riguardo alle condizioni per applicare l’esenzione in oggetto anche alle prestazioni rese ai gestori da società di advisory.
In particolare, il caso da ultimo scrutinato dai giudici UE riguardava servizi di supporto (analisi dei mercati, monitoraggio delle prestazioni, valutazione dei rischi, controllo del rispetto della normativa ed esecuzione delle operazioni) resi mediante una piattaforma informatica a un gestore[2] che li utilizzava sia per amministrare fondi comuni di investimento che si qualificano come tali ai fini dell’esenzione sia per fondi “non qualificati”. Si ricorda che l’esenzione è accordata dalla Direttiva 2006/112/CE per “la gestione di fondi comuni d’investimento quali sono definiti dagli Stati membri”; per l’effetto, è la normativa della giurisdizione in cui la prestazione si considera effettuata –nella fattispecie quella dello Stato di residenza del gestore cliente (trattandosi di servizi business to business) –a stabilire tale qualificazione; nel caso in esame il gestore, residente nel Regno Unito[3], gestiva per la maggior parte fondi che sulla base della giurisdizione domestica erano “non FCI” (non qualificati) e in minor misura “FCI” (qualificati)[4]. Soltanto i fondi di investimento FCI erano rilevanti ai fini dell’esenzione IVA.
Si poneva quindi il dubbio se, in un simile caso di “uso promiscuo” dei servizi, si dovesse applicare un trattamento unico (di esenzione ovvero di imponibilità) ovvero si dovesse applicare un’aliquota “mista” (ad es. in funzione del valore degli attivi gestiti dal destinatario dei servizi).
La decisione della Corte, in linea con le conclusioni dell’Avvocato Generale depositate lo scorso marzo, è nel senso di ritenere applicabile un trattamento unitario di imponibilità IVA.
Argomentazione fondamentale da cui parte la sentenza è l’inscindibilità della prestazione resa, data dal fatto che il valore del servizio esternalizzato risiede nella fruizione delle diverse funzionalità della piattaforma informatica strumentali all’effettuazione delle operazioni di investimento. La Corte, peraltro, ricorda che si è in presenza di un’unica prestazione sia quando vi è una componente di servizio principale e un’altra accessoria (essendo il trattamento IVA della seconda, per attrazione, lo stesso della prima) sia quando vi sono due componenti entrambe “sullo stesso piano”, strettamente connesse in modo da formare un unicum indissociabile. Nel caso in esame si verifica proprio questa seconda fattispecie in quanto i servizi di analisi di mercato, di monitoraggio delle prestazioni, di valutazione dei rischi di controllo del rispetto della normativa costituiscono fasi successive – ma tutte parimenti necessarie – alle operazioni di investimento. La Corte, d’altra parte, aveva già affermato in passato[5] che l’attività di gestione collettiva comprende anche la custodia/analisi, oltre che la compravendita di titoli, essendo entrambe le componenti parti indispensabili di un’unica prestazione complessa.
Essendovi una prestazione unitaria e inscindibile, l’aliquota da applicare è di conseguenza unica onde evitare una scomposizione artificiale del trattamento IVA[6]. La Corte, peraltro, sottolinea anche come la disciplina IVA permetta di scomporre il trattamento di esenzione/imponibilità in funzione della destinazione del servizio solo in ipotesi previste espressamente dalla normativa, come “le prestazioni di servizi effettuate dalle associazioni autonome di persone che esercitano un’attività esente o per la quale non hanno la qualità di soggetti passivi, al fine di rendere ai loro membri i servizi necessari all’esercizio di tale attività” (art. 132, par. 1, lett. f) della Direttiva 112/2006). Ciò non è invece consentito ai fini dell’esenzione prevista per la gestione collettiva (art. 135, par. 1, lett. g)), che guarda esclusivamente alla natura della prestazione[7].
Premesso che il trattamento deve essere unitario, secondo i giudici esso non può essere determinato in funzione dell’utilizzo prevalente del servizio, a seconda della tipologia di fondi in relazione ai quali viene impiegato. Infatti, posto che nel caso in esame i fondi non qualificati erano preponderanti rispetto a quelli qualificati – di modo che l’esenzione prevista per la gestione collettiva non avrebbe comunque trovato applicazione sulla base di tale criterio di prevalenza – in ogni caso, dato che tutte le componenti del servizio erano sullo stesso piano, non sarebbe stato possibile enuclearne una principale (rispetto ad un’altra accessoria) che potesse determinare il trattamento dell’intera prestazione.
Peraltro, la Corte ricorda[8] che la norma sull’esenzione della gestione collettiva si applica in funzione della natura delle prestazioni – che devono costituire “un insieme distinto, valutato globalmente, destinato a soddisfare funzioni specifiche ed essenziali della gestione di fondi comuni di investimento” – e non in base al prestatore o al destinatario del servizio.
L’esenzione prevista per la gestione collettiva, secondo i giudici, va interpretata in ogni caso restrittivamente[9]. Dunque, non è possibile che ne possa beneficiare, anche in parte, un’attività che includa la gestione di fondi “non qualificati”. La gestione collettiva considerata ai fini qui di interesse deve quindi intendersi “pura” e riguardare solo fondi di investimento qualificati come tali secondo la legislazione del Paese di riferimento (ossia lo Stato del committente dei servizi).
Per queste ragioni, non essendo possibile applicare la norma di esenzione, il trattamento del servizio reso al gestore, mediante piattaforma informatica, è considerato interamente imponibile.
L’aspetto senza dubbio più interessante della pronuncia attiene alle caratteristiche che un servizio esternalizzato deve avere per poter costituire, secondo l’espressione ricorrente (e di non agevole individuazione) formulata dalla Corte di Giustizia e spesso ripresa dall’Agenzia delle Entrate[10], un insieme distinto volto a soddisfare le funzioni tipiche ed essenziali della gestione collettiva e beneficiare quindi dell’esenzione IVA.
Nella fattispecie scrutinata, seguendo le argomentazioni utilizzate dalla Corte, il fatto che il servizio sia indifferentemente utilizzato sia per fondi qualificati che non qualificati, più che dare luogo ad un utilizzo in tutto o in parte incompatibile con l’esenzione, sembra piuttosto incidere sull’intera natura dello stesso, che non risulta essere specifico ed essenziale per la gestione di fondi di investimento qualificati.
Più che sull’impiego concreto o sulle caratteristiche soggettive del destinatario – che come chiarito dalla Corte non sono dirimenti – l’attenzione sembra concentrarsi sull’attività complessiva nel cui ambito è reso il servizio, che finisce per determinare anche la natura – aspetto questo invece fondamentale – della prestazione esternalizzata. Soltanto un’attività di gestione concernente esclusivamente fondi di investimento qualificati, quindi, si connota a tal fine per l’applicazione dell’esenzione alle prestazioni acquisite dai terzi.
D’altra parte, esaminando l’oggetto delle varie componenti del servizio reso tramite piattaforma informatica (analisi dei mercati, monitoraggio delle prestazioni, valutazione dei rischi, controllo del rispetto della normativa ed esecuzione delle operazioni), i giudici non hanno sollevato eccezioni riguardo al fatto che esse si possano configurare come essenziali ai fini della gestione, al pari della compravendita di titoli, tanto da formare oggetto di un’unica prestazione resa per l’attività di investimento del gestore. La tipologia del servizio, pertanto, è astrattamente rientrante nell’oggetto dell’esenzione, a patto che esso sia prestato in un contesto specificamente e univocamente relativo alla gestione collettiva di risparmio, non “inquinato” da altre tipologie di investimento irrilevanti ai fini di esenzione.
Tenuto conto che la definizione di attività di gestione collettiva che rileva ai fini dell’esenzione, come premesso, è rimessa dalla Direttiva 2006/112/CE allo Stato Membro dove rileva l’operazione (è esente “la gestione di fondi comuni d’investimento quali sono definiti dagli Stati membri”), tale aspetto rappresenta indubbiamente un elemento rilevante per l’ordinamento italiano, che a differenza del Regno Unito non contempla fondi non qualificati e manda esente sic et simpliciter “la gestione di fondi comuni di investimento” (art. 10 comma 1 n. 1 del DPR n. 633/1972) che costituiscono OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio) rientranti ai fini regolamentari nelle Direttive AIMF e UCITS[11]. Secondo la definizione del D.Lgs. n. 58/98 (TUF)[12], in particolare, il “fondo comune di investimento” è in ogni caso l’OICR costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore. Non vi sono dunque nel nostro ordinamento fondi di investimento che non si qualifichino come OICR[13] e l’attività (riservata ai sensi del TUF) di gestione collettiva del risparmio (che secondo la definizione normativa è il servizio che si realizza attraverso la gestione di OICR e dei relativi rischi) ha ad oggetto esclusivamente OICR.
Alla luce della natura unitaria e “qualificata” degli OICR gestiti dalle società di gestione del risparmio, i servizi – della tipologia della prestazione oggetto della sentenza in commento – acquisiti all’esterno e impiegati univocamente per la gestione di tali organismi si connotano quindi come rientranti nella nozione di gestione collettiva del risparmio (in outsourcing) esente da IVA; atteso che tutti i fondi di investimento rientrano nella nozione di OICR e di gestione collettiva, nell’ordinamento italiano non sembra dunque potersi verificare una fattispecie analoga a quella considerata dalla Corte[14].
Il principio statuito dai giudici comunitari potrebbe invece assumere rilevanza qualora l’insieme unitario del servizio sia indistintamente utilizzato dalla SGR sia per la gestione di fondi di investimento sia per fornire prestazioni di gestione patrimoniale nell’interesse di singoli investitori. Le operazioni di “gestione individuale di portafoglio”, infatti, a seguito della modifica operata dalla L. n. 228/2012 sull’art. 10 del DPR n. 633/72 sono divenute imponibili.
[1] Corte di Giustizia UE, cause C-275/11, C-169/04.
[2] Si trattava di BlackRock Investment Management Ltd, residente nel Regno Unito.
[3] Ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, del Value Added Tax Act 1994 una cessione di beni o una prestazione di servizi è esente se corrisponde alla descrizione contenuta nell’allegato 9. Il gruppo 5 di tale allegato prevede l’esenzione, in particolare, dei servizi di gestione di un elenco di enti di investimento e di tipi di fondi di investimento determinati aventi determinate caratteristiche. Secondo il giudice del rinvio, tali organismi sono quelli che, nel Regno Unito, devono essere considerati come fondi comuni d’investimento.
[4] Nel testo della sentenza per “FCI” si intende fondi comuni di investimento.
[5] Cfr. sentenza del 19 luglio 2012 (cd “Deutche Bank”) resa nella causa C-44/11.
[6] L’Avvocato Generale aveva peraltro respinto l’ipotesi di un’aliquota mista determinata in funzione della proporzione tra valore dei fondi qualificati e valore di quelli non qualificati in quanto, posto che il rapporto tra le due grandezze non è immutabile, si sarebbe posta la questione di stabilire in che momento effettuare detto calcolo.
[7] Infatti, né l’Avvocato Generale né la Corte ritengono pertinente alla fattispecie la sentenza del 4 maggio 2017 (C-274/15) che verte appunto sull’applicazione del citato art. 132, par. 1 lett. f).
[8] Come già affermato nella causa C-169/04 (cd. “Abbey National”), sent. del 4 maggio 2006.
[9] Cfr. sul punto la sentenza Deutsche Bank.
[10] Da ultimo Ris. n. 61/E/2018.
[11] La AIMFD si occupa dei fondi di investimento alternativi, che si caratterizzano per investimenti altamente illiquidi e si distinguono dagli UCITS (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities), che investono in strumenti finanziari liquidi.
[12] Art. 1, lett. j).
[13] Nel cui ambito sono compresi oltre ai fondi di investimento, mobiliari e immobiliari, anche le SICAV (società di investimento a capitale variabile) e le SICAF (società di investimento a capitale fisso) mobiliari e immobiliari.
[14] L’esenzione dovrebbe comunque applicarsi pure se i servizi sono utilizzati indistintamente per gestire altre tipologie di OICR oppure fondi pensione (la cui gestione è anch’essa oggetto di esenzione).