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Giurisprudenza

Giudicato penale rileva per le sanzioni tributarie, non per l’accertamento

26 Marzo 2025

Angelica Chiara Tazzioli, Dottoranda di ricerca in diritto tributario, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Cassazione Civile, Sez. V, 14 febbraio 2025, n. 3800 – Pres. Bruschetta, Rel. Fuochi Tinarelli

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 3800/2025, la Suprema Corte si è espressa sui presupposti e sui limiti applicativi della novella legislativa recata dall’art. 21-bis del D. Lgs. n. 74/2000, statuendo che il giudicato penale di assoluzione produce effetto esclusivamente sul piano delle sanzioni tributarie, non rilevando, viceversa, in sede di accertamento giudiziale del tributo.

In tale circostanza, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, il Collegio giudicante ha enunciato il seguente principio di diritto: “l’art. 21-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto con l’art. 1, d.lgs. n. 87 del 2024, poi recepito nell’art. 119 T.U. della giustizia tributaria, in base al quale la sentenza penale dibattimentale di assoluzione, con le formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, ha, nel processo tributario, efficacia di giudicato quanto ai fatti materiali, si riferisce, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica, costituzionalmente orientata e in conformità ai principi unionali, esclusivamente alle sanzioni tributarie e non all’accertamento dell’imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio”.

In estrema sintesi, la vicenda esaminata traeva origine dal ricorso avverso l’atto di imposizione che contestava alla società contribuente la contabilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.

Ottenuto il parziale annullamento dell’avviso di accertamento in primo grado, la sentenza veniva riformata dal Giudice di seconde cure facendo applicazione del richiamato art. 21-bis, giacché, parallelamente, il rappresentante legale della società era stato assolto con formula “il fatto non sussiste”.

Tanto premesso, la decisione in commento si pone in continuità con il principio – radicato nella giurisprudenza ante riforma – secondo il quale la sentenza penale, anche irrevocabile e ancorché emessa con formula “il fatto non sussiste”, non esplicherebbe alcun effetto vincolante nel contenzioso tributario se non a fini meramente probatori.

Assumendo, quindi, che il rapporto tra giudizio tributario e processo penale sia tuttora informato al sistema del c.d. “doppio binario”, il Collegio precisa che l’alveo applicativo dell’art. 21-bis del D. Lgs. n. 74/2000 coinvolgerebbe il solo trattamento sanzionatorio, restandone avulso il giudizio sul rapporto tributario.

La soluzione esegetica viene argomentata, da un lato, affermando che soltanto in tal modo verrebbe garantito il diritto alla difesa dell’Agenzia delle entrate, che non partecipa al processo penale; dall’altro, sostenendo che una diversa lettura della norma de qua rischierebbe di minare l’autonomia del procedimento impositivo ovvero la realizzazione della “giusta imposta”, al lume dei principi costituzionali di capacità contributiva e di uguaglianza.

In definitiva, la sentenza n. 3800/2025 si discosta dai suoi precedenti sezionali che, con l’avvento della novella disciplina, avevano oramai superato l’ideale del “doppio binario”, inteso quale principio governante i rapporti tra processo penale e giudizio tributario. 

È dunque auspicabile che la questione sia posta al vaglio delle Sezioni Unite, per comporre i contrasti interpretativi emersi all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 21-bis del D. Lgs. n. 74/2000, in vista di un suo corretto ed uniforme inquadramento esegetico. 

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