Le Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamate a pronunciarsi su di un regolamento di giurisdizione, ai sensi dell’art. 41 c.p.c., ritornano sulla natura essenzialmente privatistica della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Difatti, come già affermato in passato (Cass., Sez. U, 24 novembre 2015, n. 23849; Cass., Sez. U, 27 maggio 2009, n. 12247), l’amministrazione straordinaria è una procedura liquidatoria che riguarda imprese private e che si attua secondo i principi, ed in parte, le regole delle procedure concorsuali, laddove l’intervento e la gestione da parte della pubblica amministrazione è giustificato esclusivamente dal fatto che, in ragione delle dimensioni della impresa sottoposta alla procedura in esame, la sua liquidazione possa produrre effetti rilevanti nell’ambito del settore produttivo nazionale, così come riguardo ai livelli occupazionali. In ogni caso, quindi, non entrano in gioco interessi direttamente rilevanti sul piano pubblicistico, in quanto la liquidazione riguarda beni che appartengono all’impresa privata e non già alla pubblica amministrazione.
In particolare, per quanto di rilievo nel caso portato all’attenzione della Corte, i contratti di cessione dei beni della società sottoposta ad amministrazione straordinaria “sono a tutti gli effetti dei negozi di diritto privato stipulati dai commissari per conto della impresa, ancorché a seguito di una fase procedimentalizzata in cui interviene la pubblica amministrazione che deve dare il suo consenso all’atto liquidatorio; detti contratti, non suscettibili di essere equiparati e tanto meno assimilati ai contratti ad evidenza pubblica, sono pertanto assoggettati alla disciplina privatistica”.
Nel caso di specie, inoltre, la società ricorrente aveva chiesto, con ricorso al TAR, il riconoscimento della propria qualità di cessionaria di un ramo di azienda appartenuto alla società in amministrazione straordinaria e poi assegnato ad un altro ente, che aveva presentato un’offerta migliorativa. La ricorrente impugnava il provvedimento del Ministero dello Sviluppo Economico con il quale il Commissario Straordinario era stato autorizzato a sospendere la procedura di cessione, ormai conclusa, nei propri confronti, chiedendone l’annullamento, oltre al risarcimento del danno in forma specifica. Con ciò, aveva evidentemente azionato una pretesa fondata sulla lesione di un diritto soggettivo, rilevante ai fini dell’applicazione del consolidato principio di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, basato sull’individuazione del petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (Cass., Sez. U, 21 maggio 2014, n. 11229; Cass., Sez. U, 11 ottobre 2011, n. 20292).
Ne consegue l’affermazione, da parte delle Sezioni Unite, della giurisdizione del giudice ordinario non solo in forza della natura contrattuale dell’attività posta in essere dal Commissario Straordinario, ma anche del diritto soggettivo azionato dalla società ricorrente, così come, del resto, espressamente previsto dal dettato normativo secondo cui “contro gli atti ed i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria è ammesso ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati” – art. 65 del d.lgs. n. 270 del 1999.