1. Con il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, siamo giunti al IV atto della saga legislativa al tempo del Coronoavirus, dopo i decreti “Cura Italia”, “Liquidità” e “Rilancio”.
Il Decreto Semplificazione è stato approvato in Consiglio dei Ministri il 6 luglio 2020 con la formula dubitativa “salvo intese”. A causa del precario accordo politico che lo sorregge, le cose, piuttosto che semplificarsi, potrebbero in realtà complicarsi.
L’art. 44 di questo nuovo decreto – rubricato Misure a favore degli aumenti di capitale –, nell’intento di incentivare l’autofinanziamento delle imprese colpite dall’emergenza sanitaria, prova a snellire la procedura deliberativa degli aumenti di capitale sociale delle PMI con il connesso diritto di opzione.
2. L’art. 44 incide su ben tre disposizioni del codice civile: gli artt. 2368 e 2369 c.c., che dettano regole sulle maggioranze necessarie per deliberare validamente, in prima o seconda convocazione, gli aumenti di capitale sociale nelle s.p.a. e l’art. 2441 c.c., che disciplina il diritto di opzione spettante agli azionisti sulle azioni di nuova emissione.
La norma prevede infatti misure volte a favorire gli aumenti di capitale sociale a pagamento, consistenti da un lato nello snellimento del procedimento deliberativo dell’assemblea straordinaria e, in particolare, nell’abbassamento dei relativi quorum per l’approvazione della proposta di aumento, dall’altro nella facilitazione dell’esercizio del diritto di opzione e dell’eventuale prelazione sull’inoptato.
3. Il comma 1 dell’art. 44stabilisce che, ferma restando la necessità della presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale (affinché possa ritenersi validamente costituita), l’assemblea delle società aperte, in deroga al disposto della seconda parte del comma 2 dell’art. 2368 c.c., delibera con la maggioranza degli intervenuti (anche per delega), anziché con la maggioranza dei due terzi, sui seguenti argomenti:
a) aumenti di capitale sociale da liberare mediante nuovi conferimenti, ex artt. 2440 e 2441 c.c.;
b) modifica dello statuto sociale ed inserimento della clausola che consente nelle società quotate l’esclusione del diritto di opzione nei limiti del 10% del capitale sociale preesistente.
c) delega agli amministratori ad aumentare il capitale, secondo quanto prevede l’art. 2443 c.c.
Il comma 2 dell’art. 44precisa che la predetta maggioranza si applica quand’anche lo statuto vigente prevedesse quorum rafforzati rispetto alla maggioranza assoluta del capitale sociale presente in assemblea (alla stregua dell’art. 83, comma 2, della Direttiva n. 1132/2017/UE).
Il comma 3 dell’art. 44sancisce altresì che, nelle società quotate ed in quelle con azioni ammesse ai sistemi multilaterali di scambio, il diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione può essere escluso nella misura massima del 20% (anziché del 10%) del capitale sociale ante aumento ovvero delle partecipazioni preesistenti, quando le azioni della società sono senza valore nominale. L’esclusione del diritto di opzione, nella percentuale anzidetta, è ammessa anche qualora lo statuto taccia al riguardo, ferme le altre previsioni contenute nel comma 4 dell’art. 2441 c.c.
L’ultimo inciso del comma 3 dell’art. 44 dispone che i termini per la convocazione dell’assemblea chiamata a discutere e deliberare sull’esclusione del diritto di opzione sono ridotti della metà.
Le disposizioni richiamate hanno una vigenza limitata nel tempo, cioè fino al 31 dicembre 2020, data in cui dovrebbe (il condizionale è tuttavia d’obbligo) cessare lo stato di emergenza legato al Covid-19.
4. I primi 3 commi dell’art. 44 recano norme eccezionali di stretta interpretazione e, malgrado le buone intenzioni del legislatore, sollevano dubbi che qui, ovviamente, è possibile soltanto enunciare.
Dal punto di vista testuale, intanto, queste norme si riferiscono esclusivamente alle s.p.a., lasciando completamente scoperta l’area delle imprese esercitate con il modello della “s.r.l.”. Ma possono restare fuori anche le “s.a.p.a.” (sebbene per esse il problema sia meno pressante per il disposto dell’art. 2460 c.c.) e le cooperative.
Il che è strano. In Italia le s.r.l. costituiscono il tipo più diffuso di PMI e, oltretutto, i precedenti provvedimenti legislativi individuano quali destinatarie delle misure di rafforzamento patrimoniale anche le s.r.l., le s.a.p.a., le cooperative e le società europee. Ne deriva, quanto meno, un difetto di coordinamento tra l’art. 44 in parola e l’art. 26 del Decreto Rilancio che, a prima vista, appare irragionevole.
In punto di vertice, del resto, bisogna tener presente che la ratio della disciplina recata dalla disciplina di contrasto al Covid-19 è quella di sostenere l’impresa, incentivandone il rilancio e il riposizionamento sul mercato, indipendentemente dall’aspetto morfologico con cui l’iniziativa economica si estrinseca. L’aumento di capitale è deliberato dalla società, ma la liquidità che con l’operazione affluisce nelle casse sociali serve all’impresa, vale a dire alla prosecuzione dell’attività in vista della produzione o lo scambio di beni o servizi.
5. L’alleggerimento dei quorum assembleari per deliberare gli aumenti di capitale, stando sempre ad un’interpretazione letterale del dato normativo, non pare interessare le società chiuse, nel cui statuto possono essere contemplate maggioranze più elevate di quella richiesta dalla prima parte del comma 2 dell’art. 2368 c.c., vale a dire la metà più uno dell’intero capitale sociale. Senza contare che quest’ultima può rivelarsi percentuale più alta della maggioranza dei partecipanti alla riunione assembleare.
Le società aperte sonoquelle con più di 500 azionisti diversi dai soci di controllo che detengono complessivamente almeno il 5% del capitale (art. 2 bis della Delibera Consob n. 18214 del 9 maggio 2012) ed il cui bilancio d’esercizio supera almeno due dei tre parametri previsti dall’art. 2435 bis c.c. [art. 2, lett. a), ii), della Delibera Consob n. 20621 del 10 ottobre 2018].
La norma speciale, in definitiva, potrebbe concernere in via esclusiva le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante (ex art. 116 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), escludendo dal suo ambito di applicazione le società private e ciò, se fosse fondata questa prima lettura, lascerebbe fuori la maggior parte delle PMI.
6. Gli aumenti di capitale agevolati sembrano testualmente solo quelli da liberare mediante conferimenti in natura o di crediti: è vero che nell’art. 44 è richiamato l’art. 2441 c.c., applicabile anche agli aumenti di capitale liberati mediante denaro, ma forse sarebbe stato meglio un cenno esplicito all’art. 2439 c.c. che fa riferimento ai versamenti dovuti sulle azioni emesse a fronte di conferimenti in contanti.
Possono così sorgere incertezze applicative in caso di un’operazione di aumento di capitale da liberare in contanti. Si tratterebbe di una situazione paradossale, vuoi perché la maggior parte delle azioni di nuova emissione sono statisticamente liberate mediante conferimenti in contanti, vuoi perché la legge (art. 2342, comma 1, c.c.) mostra in via di principio di preferire, per intuibili ragioni, gli apporti in numerario, vuoi ancora perché, se l’art. 44è legato a doppio filo con l’art. 26 del Decreto Rilancio e può concorrere all’ottenimento delle misure ivi stabilite, si paventerebbe il rischio di vanificare le finalità di semplificazione.
La norma, peraltro, sembra non interessare le fattispecie previste dall’art. 2343 ter c.c., sui conferimenti in natura senza relazione (giurata) di stima.
7. Il comma 3 dell’art. 44– a prescindere dalla presenza di una conforme clausola statutaria – consente di aumentare fino ad un massimo del 20% del capitale preesistente, o del numero di azioni senza valore nominale in circolazione, la percentuale delle partecipazioni sui cui ai vecchi azionisti è impedito il diritto di opzione. Questa facoltà continua a valere per le società quotate nei mercati regolamentati, a cui si aggiungono quelle i cui titoli sono scambiati in sistemi multilaterali di negoziazione.
L’art. 2441, comma 4, secondo inciso, c.c. già prevede analoga facoltà, ma solo dietro copertura statutaria e per una percentuale che non può superare il 10% del capitale sociale versato. La regola codicistica, inoltre, non contempla, fra i soggetti che possono sfruttare tale possibilità, le società con azioni che circolano in sistemi multilaterali di scambio, novità introdotta per la prima volta, appunto, dal Decreto Semplificazione.
L’art 44, in linea con l’art. 2441 c.c., non sembra letteralmente invocabile dalle società non quotate o le cui azioni non sono ammesse in sistemi multilaterali di negoziazione. Il che, in un momento di crisi e in un’ottica di incoraggiamento verso forme di investimento alternative al capitale di debito, può forse apparire discutibile, anche perché non favorisce la contendibilità del controllo nelle società chiuse. Resta naturalmente salvo quanto stabilito nei commi 4, parte prima, e 5 dell’art. 2441 c.c.
Il medesimo comma 3 dell’art. 44 non contempla testualmente, a fronte della deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione, che i nuovi sottoscrittori paghino un sovrapprezzo corrispondente al valore di mercato delle azioni emesse, ciò che può trovare una sua giustificazione nella situazione di emergenza in cui interviene l’operazione e per mitigare il rischio di impresa di chi investe proprie risorse in società già colpite da una crisi. Non può comunque escludersi aprioristicamente che il prezzo delle nuove partecipazioni si assesti al di sotto della pari, posto che le azioni scambiate in borsa riflettono le loro oscillazioni, finendo i titoli per incorporare gli eventuali effetti perniciosi di cattive performance di mercato.
8. Il periodo finale del comma 3 dell’art. 44stabilisce che i termini di convocazione dell’assemblea volta a discutere e deliberare sull’esclusione del diritto di opzione nel caso sopra visto sono ridotti alla metà, rispetto al termine di 30 giorni prescritto dall’art. 125 bis, comma 1, d.lgs. n. 58/1998. Il § 1, comma 2, dell’art. 5 della Direttiva n. 36/2007/CE consente, tuttavia, di contenere in 14 giorni antecedenti all’adunanza assembleare il relativo termine di convocazione, sempreché i soci possano votare attraverso l’uso di strumenti elettronici.
La riduzione alla metà dei termini di convocazione dell’assemblea straordinaria, come lascia intendere la collocazione topografica dell’inciso in oggetto e l’uso in esso della parola “argomento” al singolare, appare riferibile soltanto all’assemblea da convocare per deliberare sull’esclusione del diritto di opzione, non anche e più in generale a quella chiamata ad approvare una qualsiasi richiesta di aumento del capitale sociale reale che non sia accompagnata dalla proposta di escludere il diritto di opzione.
9. L’ultimo comma dell’art. 44apporta stabili modifiche ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 2441 c.c., talché, rispetto ai precedenti commi, è norma di più ampio respiro, pur trovando la sua genesi in un frangente critico per l’economia nazionale.
Le novità salienti introdotte dal Decreto Semplificazione sono:
a) la riduzione, in conformità con l’art. 72 della Direttiva n. 1132/2017/UE, di un giorno per l’esercizio del diritto di opzione, che va allora esercitato nel termine di 14 giorni, anziché in quello di 15 giorni, dalla pubblicazione della corrispondente offerta nel competente registro delle imprese e, contestualmente, attraverso un avviso divulgato nel sito internet della società offerente, a condizione che vengano adottate modalità idonee a garantire l’autenticità dei documenti e a conferire data certa alla pubblicazione telematica o, in mancanza (non di sito internet della società, bensì) di tali garanzie, mediante deposito presso la sede sociale;
b) la facoltà, purché lo statuto lo preveda, di estendere la disciplina dell’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione nella misura massima del 10% alle società con azioni scambiate nei sistemi multilaterali di negoziazione, per le quali è possibile fare riferimento ad un prezzo di mercato, che costituisce una conditio sine qua non della validità della proposta di esclusione. In tal caso, troverà applicazione altresì il comma 6 dell’art. 2441 c.c. che impone agli amministratori della società offerente di motivare in un’apposita relazione le ragioni dell’esclusione del diritto di opzione. Con la conseguenza di aprire la strada ad un eventuale sindacato di merito sull’operazione, a differenza di quanto accade per le società quotate, dove l’art. 125 ter, comma 1, d.lgs. n. 58/1998 e l’art. 72, commi 1 bis e 3 del Regolamento Consob n. 11971 del 15 maggio 1999 (c.d. Regolamento Emittenti), intendono la relazione illustrativa in sede di aumento di capitale come mera informativa da rendere al pubblico;
c) la possibilità di calcolare il 10%, o la diversa e minore aliquota ai fini dell’esclusione del diritto di opzione, tenuto conto del numero di azioni emesse, qualora queste siano prive del valore nominale;
d) la soppressione per le società quotate nei mercati regolamentati dell’obbligo, ex comma 3 dell’art. 2441 c.c., a carico degli amministratori di offrire in essi per 5 sedute consecutive i diritti di opzione non esercitati entro il mese successivo alla scadenza del relativo termine (di conseguenza la regola non troverà applicazione neppure per le società con azioni scambiate in sistemi multilaterali di negoziazione);
e) il potere, direttamente collegato all’eliminazione dell’obbligo di cui sopra, di imporre l’esercizio contestuale del diritto di opzione e di quello di prelazione sulle azioni di nuova emissione non sottoscritte che siano quotate in borsa o scambiate in sistemi multilaterali di scambio, indicando il numero massimo di azioni sottoscritte.
10. Si tratta di misure la cui finalità è quella di rendere più agevoli e veloci le operazioni di aumento del capitale sociale destinate a raccogliere sul mercato capitali di rischio necessari per soddisfare il fabbisogno finanziario delle società o che mirano ad incentivare l’afflusso di investimenti nell’attività produttiva delle imprese.
Le nuove regole del comma 4 dell’art. 44- che, come accennato, vanno al di là delle contingenze attuali legate all’emergenza epidemiologica e che dovranno essere applicate in osservanza del principio di paritario trattamento dei soci – hanno in animo di affrancare specie le piccole e medie imprese italiane dalla dipendenza dal canale bancario che in Italia svolge ancora la parte del leone nell’ambito del finanziamento alle imprese.
Quanto invece alle regole emergenziali dei 3 commi precedenti, i troppi dubbi che si addensano su di esse rischiano di comprometterne una serena e fluida applicazione, per quanto limitata essa possa essere, sicché (“salvo intese” permettendo) è auspicabile che in sede di conversione vengano apportate le opportune modifiche.