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Giurisprudenza

Gli effetti del successivo fallimento sugli accordi di ristrutturazione

3 Febbraio 2025

Cassazione civile, Sezione I, 17 Dicembre 2024, n. 32996 – Pres. Cristiano, Rel. Pazzi

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, Sezione I, con sentenza del 17 Dicembre 2024, n. 32996 (Pres. Cristiano, Rel. Pazzi), si è pronunciata sugli effetti della dichiarazione di fallimento successiva all’omologazione degli accordi di ristrutturazione, nell’ambito della vecchia legge fallimentare, in relazione ai singoli crediti oggetto di accordo omologato, da ammettere al passivo fallimentare.

Ha quindi enunciato il seguente principio di diritto:

La dichiarazione di fallimento successiva all’omologazione degli accordi di ristrutturazione fa sì che l’attuazione del piano sia resa impossibile per l’intervento di un evento che, sovrapponendosi alla procedura minore, inevitabilmente lo rende irrealizzabile; ne discende il venir meno della causa di risanamento posta a base di ciascuno dei singoli accordi di ristrutturazione dei debiti, cui consegue la loro risoluzione per impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 cod. civ. e la riespansione dell’originaria obbligazione, da ammettere al passivo del fallimento nel suo iniziale ammontare, detratti i pagamenti eventualmente intervenuti e non più revocabili ex art. 67, comma 3, lett. e), l. fall.

La Corte ricorda che l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. presuppone, da un lato, forme di controllo e di pubblicità sulla composizione negoziata (in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione e, dall’altro, effetti protettivi (come i meccanismi di protezione temporanea, e l’esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie).

La legge fallimentare, a differenza di quanto stabilisce per il concordato, non prevede che l’accordo di ristrutturazione debba essere dichiarato risolto per inadempimento: il difetto di una norma procedurale che preveda la risoluzione degli accordi di ristrutturazione non può essere superato attraverso il ricorso alla disciplina concordataria, soprattutto per mancanza di eadem ratio dell’operazione.

L’accordo di ristrutturazione, pur prevedendo la presentazione di un piano che, per essere tale, non può che includere un termine per il suo completo adempimento, non ha organi che, come il commissario giudiziale, siano deputati a sorvegliare esecuzione della procedura e a riferire al giudice ogni fatto da cui possa derivare pregiudizio ai creditori ex art. 185, comma 1, l. fall., o che, come il liquidatore, debbano provvedere con periodicità semestrale a redigere un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni di rilievo del periodo, da comunicare ai singoli creditori, a mente del combinato disposto degli artt. 182, comma 6, e 33, comma 5, l. fall.

Sarebbe infatti impossibile per il creditore monitorare l’esecuzione del piano e assumere l’iniziativa per valutarne la dichiarazione di risoluzione entro un anno dalla scadenza dell’ultimo adempimento: analoghe problematicità incontrerebbe il giudicante nel vagliare una simile domanda, in mancanza di fonti di informazione diverse dallo stesso debitore da cui poter attingere i dati di rilievo.

La risoluzione del concordato, invece, assolve il precipuo scopo di restituire al creditore anteriore la libertà di agire senza i limiti concordatari e per l’intero del suo credito; l’omologazione dell’accordo ex art. 182-bis della medesima legge non determina, invece, un simile effetto vista la mancanza di una norma analoga all’art. 184, c. 1 L.F.; l’accordo rende soltanto non revocabili gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato, e comporta la prededucibilità dei crediti derivanti dai finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione degli accordi e in funzione della domanda di omologazione degli stessi.

Nell’accordo di ristrutturazione non c’è alcuna necessità in sostanza di procedere alla risoluzione dell’intera procedura per inadempimento del debitore, atteso che al falcidia consegue alla conclusione dell’accordo fra singolo creditore e debitore e non costituisce l’effetto generalizzato del provvedimento di omologa per tutti i creditori anteriori all’avvio della procedura.

La dichiarazione di fallimento impedisce l’adempimento degli eventuali accordi di ristrutturazione in precedenza conclusi ed alla base della domanda di omologa ex art. 182 bis L.F.: una chiara prova in questo senso viene, del resto, dal tenore dell’art. 12 L. 3/2012, che, nel disciplinare l’omologazione dell’accordo di composizione della crisi, ha previsto espressamente al suo comma 5 che “la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo“, rendendo esplicito quello che è un effetto automatico ed ineludibile della dichiarazione di fallimento sulla procedura concorsuale in precedenza omologata.

In altri termini, l‘omologazione del concordato non comporta novazione dell’obbligazione anteriore, ma solo l’effetto della parziale inesigibilità del credito.

Nel concordato, una volta che tale parziale inesigibilità sia divenuta definitiva per l’intero decorso del termine entro cui è possibile sollecitarne la risoluzione, il fallimento successivamente intervenuto non potrà che prendere in considerazione il credito nella misura falcidiata: altrimenti anche nel concordato, al pari di quanto avviene negli accordi di ristrutturazione, nel momento in cui il fallimento si sovrappone alla procedura minore rendendola irrealizzabile, perde la sua fonte giustificativa e non vincola oltre i creditori.

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