[*] 1. La MiFid2 e gli obblighi informativi
Come acutamente sostenuto dai primi commentatori della Mifid 2[1] in ordine alla logica che muove l’intervento normativo comunitario, la tutela dell’investitore “… non passa più solo tramite una disciplina della trasparenza delle informazioni, ma attraverso una declinazione dettagliata degli obblighi comportamentali dell’intermediario nei confronti dell’investitore”[2]. Essa, inoltre, non si limita “… all’imposizione di una regolamentazione del rapporto intermediario – investitore, ma viene portata all’interno dell’assetto organizzativo dell’intermediario con una serie di vincoli tesi ad assicurare che la tutela dell’investitore”[3].
Il passaggio dalla trasparenza al sistema del c.d. “governo dei prodotto” non è, tuttavia, immediato, ma irto di difficoltà, che tenteremo, nelle pagine che seguono, di esporre. Il nuovo sistema, infatti, impone all’intermediario una serie complessa di adempimenti e di presidi lungo tutta la catena del valore del prodotto finanziario, dalla sua creazione alla sua distribuzione che, in definitiva, tutelino la centralità dell’interesse del potenziale cliente-investitore.
La disciplina dei mercati finanziari ante MiFID1 si limitava a disporre che l’intermediario nell’offerta di servizi finanziari fornisse agli investitori tutte le informazioni rilevanti perché gli stessi potessero giungere ad una decisione d’investimento adeguata alle loro esigenze. Con la Direttiva 39/2004/CE del 21 aprile 2004 (la c.d. MiFID1[4]) si è previsto il principio generale che, nella prestazione dei servizi, gli intermediari debbano agire in modo da servire al meglio gli interessi dei loro clienti, prevedendo tuttavia, una serie di obblighi comportamentali a carico dell’intermediario nei confronti dell’investitore, esauriti i quali, si dava amplia facoltà all’intermediario. La materia relativa al governo dei prodotti è prevista in modo articolato nella MiFID 2[5]. Essa si evince nel considerando 71, da quale si ricavano i principi generali della nuova disciplina[6], nell’articolo 16, paragrafo 3, relativo ai requisiti organizzativi, nell’articolo 24, sui principi di carattere generale e d’informazione del cliente ed, infine, all’articolo 9, relativo agli obblighi delle imprese di investimento che nominano agenti collegati. Per completare il quadro, occorrerà, inoltre, attende l’atto delegato della Commissione, che modificherà o sostituirà la Direttiva 2006/73/CE e le condizioni di esercizio dell’attività delle imprese d’investimento nonché la definizione di taluni termini ai fini della MiFID.
Soccorrono, nel frattempo, il Consultation Paper Consultation Paper ESMA/2014/549, relativo a MiFiD 2 e MiFIR del 22 maggio 2014 e, il successivo Finale Report ESMA/2014/1569 – ESMA’s Technical Advice to the Commission on MiFID II and MiFIR del 19 Dicembre 2014, pubblicati dall’ESMA[7] in relazione alle modifiche della Direttiva Attuativa della MiFID. In merito, è naturalmente opportuno ricordare che la Commissione potrà scegliere soluzioni diverse nell’adozione degli atti delegati da quanto indicato dall’European Securities and Markets Authority (di seguito ESMA) e, pertanto, le considerazioni di seguito svolte basandosi sui testi dell’ESMA dovranno essere rivalutate alla luce degli atti delegati.
Ciò premesso, con riferimento a quanto rappresentato, concentreremo la nostra attenzione sui principi relativi all’obbligo da parte dell’intermediario di conoscere le caratteristiche ed i bisogni della clientela (c.d. know your client) e di conoscere i prodotti offerti alla clientela stessa (c.d. know your product). Tali principi sono stati affermati di recente dall’ESMA che, nell’orientamento numero 2,18 ha così previsto: “Le imprese di investimento devono avere politiche e procedure adeguate atte a consentire loro la possibilità di comprendere i dati essenziali sui loro clienti, nonché le caratteristiche di strumenti finanziari disponibili per tali clienti”. Essi, inoltre, sono altresì rintracciabili all’art. 21 del Decreto Legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), nell’art. 27 del Regolamento recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari adottato con delibera n. 16190/2007 ed in alcune pronunce dei Tribunali.
2. Il principio del “Know your client” (conosci il tuo cliente)
Premettiamo che la necessità della conoscenza del proprio cliente, anche occasionale, formalmente documentata, si è sviluppata all’interno di una quadro normativo in continua evoluzione che ha tentato di fornire risposte alle esigenze più varie, sociali, finanziarie, strutturali patrimoniali, di efficienza dei mercati, nonché di sicurezza individuale e collettiva. In tale ambito ritroviamo norme che vanno dalle linee guida imposte alle banche dal Comitato di Basilea, all’antiriciclaggio, alla tutela del risparmiatore richiesta per l’investimento in strumenti finanziari , con l’obbligo di determinare il profilo di rischio del cliente, al sistema dei pagamenti, alle conseguenze dell’applicazione del Modello organizzativo richiesto dal d.lgs 231/2001 e successive modificazioni ( ultima delle quali il d.lgs 3/8/2009), al contrasto all’antiterrorismo, alla norma sull’uso del contante e degli assegni, alla stessa regolamentazione della Banca d’Italia nelle Istruzioni di Vigilanza nel rispetto della sacralità del principio della “sana e prudente gestione”[8]. Il tutto, peraltro, opportunamente si riconduce alla logica che l’intermediario (bancario o meno) non può non conoscere il proprio cliente e valutarlo sulla base dei rischi che lo stesso presenta e che si riflettono sulla sua gestione[9].
Per ora premettiamo che all’interno della categoria generale dei clienti si individuano i cosiddetti clienti al dettaglio, cui appartengono non solo i consumatori, cioè le persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, ma anche altri soggetti (micro-imprese, enti senza finalità di lucro, artigiani e professionisti) che si caratterizzano per la piccola dimensione e per una scarsa competenza in materia finanziaria. L’accertamento della qualifica può rivelarsi difficile poiché alcuni clienti, come gli artigiani e i professionisti, si distinguono spesso per la commistione fra attività imprenditoriale e personale, interagendo con la banca anche per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale svolta[10]. Dalla necessità di conoscenza alla formalizzazione degli elementi oggettivi e soggettivi che portano a soddisfare questa esigenza, scaturiscono le normative interne a ciascun intermediario dirette a regolamentare le proprie interrelazioni con la clientela.
Concentriamoci, per adesso, sugli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario che intenda offrire propri servizi d’investimento[11] alla clientela al dettaglio. Le modalità ordinarie utilizzate dagli intermediari finanziari, sono i questionari, ovvero, dei prospetti di domande, generalmente stampate su un foglio o modulo, con spazi vuoti per le risposte. Il questionario propone in genere una successione ordinata di quesiti il cui contenuto verbale, il loro formato e posizione all’interno del questionario, l’ordine delle alternative presentate, il loro bilanciamento, la presenza di assunzioni implicite, la scelta tra domande aperte e chiuse, costituiscono fonti di variabilità dei risultati. Proprio per questo, le tecniche sviluppatesi nella raccolta delle informazioni prescrivono domande semplici, obiettive ed interessanti per limitare al massimo i rifiuti e garantire la conseguenzialità delle risposte e di inserire una domanda filtro per capire quanto l’intervistato sia competente sull’argomento in questione.
Naturalmente non sono escluse altre modalità di raccolta delle informazioni, ma i questionari hanno l’indubbio vantaggio di poter, quando accuratamente preparati, raccogliere tutte le informazioni necessarie, intendendo con necessarie, le informazioni richieste dalle varie normative che coprono l’area della prestazione dei servizi d’investimento dalle norme “antiriciclaggio” a quelle di trasparenza e previste dalla normativa sulla privacy ecc, nonché quelle più direttamente utilizzabili per comprendere la tipologia d’investimento più adatta al cliente stesso. Nell’ambito dei questionari, pertanto, vengono generalmente poste delle domande al fine di comprendere gli obiettivi dell’investimento, la situazione reale del patrimoniale del cliente, la conoscenza specifica e l’esperienza in prodotti finanziari del cliente stesso[12].
L’Esma ha dettato precisi orientamenti in materia[13]. Le imprese di investimento, “devono applicare politiche procedure che consentano loro di raccogliere e valutare tutte le informazioni necessarie al fine di effettuare una valutazione dell’ade-guatezza di ciascun cliente. Le imprese, ad esempio, posso utilizzare questionari compilati dai loro clienti o durante le discussioni con loro[14]”. Alle stesse imprese di investimento, comunque, spetta l’onere di “garantire che siano opportunamente studiati tutti gli strumenti impiegati del processo di valutazione dell’adeguatezza”[15]. Ciò, vuol dire, in altri termini, che l’intermediario deve prestare estrema cura evitando “ad esempio, le domande non formulate in modo da condurre cliente verso un tipo di investimento specifico”[16]. Anche l’Associazione Bancaria Italiana (in seguito ABI) ha prodotto una propria linea guida sulle modalità di raccolta delle informazioni tramite questionario[17].
Più complessa la questione nella raccolta delle informazioni nel caso di prodotti complessi. In effetti, interpretando la comunicazione della Consob numero 0097996 del 22 dicembre 2014, appare chiaro che in sede di collocamento di prodotti complessi, gli intermediari non potranno utilizzare le informazioni acquisite, esclusivamente attraverso procedure standardizzate[18], ne segue, dunque, che i questionari andranno certamente affiancati con informazioni desumibili mediante tecniche c.d. indirette, ovvero, al di fuori del canale del questionario. Ma come si fa in tal caso a determinare quali informazioni sono necessarie e, soprattutto, pertinenti per delineare se l’investimento offerto è adeguato al profilo del cliente?
Di massima, potremmo ritenere che le informazioni devono tener conto del tipo di strumento finanziario offerto in collocamento proposto o, comunque, dell’operazione che l’impresa può raccomandare o acquistare. Quindi, va tenuto conto della complessità e del livello di rischio che si associano al prodotto, della natura e della portata del servizio che l’impresa può offrire e, infine, dalla natura dalle esigenze ed alle caratteristiche del cliente[19].
Nella sostanza, dunque, la portata delle informazioni che l’intermediario deve raccogliere va proporzionata opportunamente, tenendo conto delle conoscenze e delle esperienze del cliente, della sua situazione finanziaria e dei suoi obiettivi di investimento. In particolare, con riferimento alla natura del servizio da prestare, si può distinguere: “in caso di servizi di consulenza in materia di investimenti le imprese dovrebbero raccogliere informazioni sufficienti al fine di valutare la capacità del cliente di comprendere i rischi di natura di ogni strumento finanziario che l’impresa intende raccomandare; nell’ipotesi, invece, di servizi di gestione di portafogli poiché le decisioni in materia di investimenti sono adottate dall’impresa per conto del cliente, il livello di conoscenza ed esperienza del cliente per quanto riguarda tutti gli strumenti finanziari che possono comporre portafoglio, può essere meno dettagliato del livello che il cliente dovrebbe avere in caso di servizi di consulenza in materia di investimenti. … Le imprese dovrebbero acquisire una comprensione e una conoscenza molto chiara del profilo di investimento del cliente.” [20]
Oltre alle informazioni, di volta in volta fornite dal cliente, si è detto che gli intermediari devono utilizzare anche le informazioni già in loro possesso, ma nasce la questione di quali possano essere le informazioni a cui l’intermediario potrà fare correttamente riferimento? Certamente, valgono le informazioni acquisite in forza delle eventuali relazioni precedenti in essere col cliente, come quelle, ad esempio, risultanti dal contratto di conto corrente, o da quello di mutuo.
Delle informazioni disponibili vanno, peraltro, prese in considerazione solo quelle oggettive ed affidabili, come l’età ed eventuali impegni finanziari del cliente[21]. A tal proposito, Assogestioni, ritiene nelle sue “Linea Guida sugli obblighi di valutazione di adeguatezza e appropriatezza dell’SGR”, che incombe l’obbligo in capo agli intermediari di tenere “ aggiornate le informazioni acquisite dal cliente ed a tale scopo fanno sottoscrivere un impegno a comunicare tempestivamente ogni variazione delle comunicazioni fornite”. Tuttavia, a pare di Assogestioni,“Ove il cliente non comunichi tali variazioni, le società hanno diritto di fare affidamento su informazioni in possesso, a meno che esse non sia manifestamente superate, inesatte o incomplete”. Tale posizione non è però del tutto convincente[22].
Mentre, infatti, il rifiuto da parte del cliente di fornire le informazioni richieste dall’intermediario, deve, ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. a), del Regolamento Consob del 29 ottobre 2007 n. 16190[23] risultare dal contratto o da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore, la Cassazione Civile, sezione I, numero 6376 del 30 marzo 2015, ha precisato che l’assenza di informazioni provenienti cliente, ai sensi del citato articolo 28, non legittima alcun automatismo della valutazione dell’operazione richiesta, così come non è sufficiente la mera dicitura liberazione adeguata, senza motivazione specifica delle ragioni che sconsigliano investimento, cui deve seguire la richiesta scritta del cliente di dare ugualmente corso all’operazione. L’eventuale rifiuto del cliente di fornire informazioni sull’adeguatezza, non impedisce all’intermediario di prestare servizi diversi da quelli di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli.
Soccorrono, infine, anche le sentenze della Cassazione numero 1376/2016 e numero 2535/2016, dove viene ribadito che l’obbligo di informazione articolo 28 regolamento intermediari, vecchio testo, e obbligo di informazione circa adeguatezza di cui all’articolo 29 del regolamento intermediari, costituiscono un tutt’uno, ovvero, “un unitario obbligo di diligenza”. In particolare, per la Cassazione “… a nulla rileva che il cliente avesse senza esperienza di prodotti “, infatti,“… la banca avrebbe dovuto spiegare meglio ossia maniera analitica, l’eventuale inadeguatezza dell’operazione finanziaria”. Tuttavia, per la prestazione di questi altri servizi, come potrà l’intermediario valutare, che il servizio offerto sia appropriato[24] alle esigenze del cliente?
Sul punto fanno gioco, anche in questo caso, alcune recenti ed illuminate pronunce di alcuni Tribunali italiani. In particolare, dalla sentenza del 15 novembre 2012 del Tribunale di Padova si evince che, “il rifiuto del cliente di fornire dati sull’esperienza in investimenti in valori mobiliari e sugli obiettivi di investimento, comporta per la banca l’obbligo di attestarsi, nella valutazione del proprio investitore e dell’adeguatezza dell’operazione, sul livello minimo di esperienza e di rischio e sui criteri di massima cautela, a meno che, da altri elementi in suo possesso la banca non ricavi un diverso profilo di esperienza e di rischio”. Sempre nel 2015, il Tribunale di Bari[25] ha disposto che “l’intermediario finanziario non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento nel caso in cui investitore nel contratto-quadro si è rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, nel qual caso l’intermediario deve comunque compiere una valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte notizie di cui egli sia in possesso (come ad esempio, l’età, la professione, la presumibile posizione al rischio alla luce delle operazioni pregresse abituali, la situazione di mercato)”. Peraltro, ad integrazione di quanto affermato nella sopracitata sentenza, la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 16 settembre 2015, ha precisato che “… Qualora tali elementi non siano sufficienti esso dovrà operare utilizzando criteri estremamente prudenziali prescegliendo investimenti finalizzati alla conservazione, adatti ad un investitore con scarse conoscenze tecniche e bassa propensione al rischio”.
Tutto quanto sopra premesso, sembra confermare che, a carico all’intermediario, soggiace un obbligo di informazione continua che, deve comunque precedere temporalmente l’offerta di servizi d’investimento, in modo tale che il gap informativo, normalmente riscontrabile tra l’intermediario ed il cliente, venga attentamente monitorato dall’intermediario e superato attraverso un continuo scambio di comunicazioni tra le parti. La Cassazione Civile, con l’oramai nota sentenza numero 17340 del 25 giugno 2008, ha sostenuto che “fermo l’obbligo l’intermediario di fornire un investitore informazione adeguata in concreto tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente e, a fronte di un’operazione adeguata può darvi corso soltanto seguire un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui si è fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.
La sentenza della Cassazione Civile numero 17726 del 26 agosto 2014, precisa, altresì, che, “la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di prodotti finanziari formulate in modo riassuntivo genetico, nella quale egli affermi di aver ricevuto un’informazione completa sulle caratteristiche, non vale ad esonerare da responsabilità la banca che non abbia offerto prova rigorosa di aver adempiuto agli obblighi informativi inerenti anche le ragioni della ritenuta inadeguatezza dell’operazione”.
Il quadro così sommariamente delineato alla luce delle norme in vigore, non sembra essere smontato dalla MiFid 2. Infatti, si può, senza dubbio di essere smentito, affermare che viene mantenuta impostazione generale, con un rafforzamento anzi nelle modalità di valutazione dell’adeguatezza. In particolare, dovrà essere evidenziata la tolleranza al rischio del cliente e la capacità dello stesso di sostenere perdite. L’articolo 25 della Mifid 2, prevede, infatti, che l’intermediario ottenga dal cliente informazioni in merito alle sue conoscenze ed esperienze, alla sua situazione finanziaria, alla sua capacità di sostenere perdite e, di tolleranza al rischio ed ai suoi obiettivi di investimento.
In particolare, anzi, la crescente dipendenza investitori dalle raccomandazioni personalizzate si è tradotta in sede di Mifid2 in un rafforzamento delle norme di comportamento, con particolare riguardo alla crescente complessità del servizio di consulenza in materia di investimenti e degli strumenti finanziari oggetto di raccomandazioni[26]. Il set informativo minimo da offrire, sarà pertanto distinto a seconda che la consulenza sia fornita su base indipendente o meno, se la consulenza è basata su un’analisi del mercato ampia o più ristretta delle varie tipologie strumenti finanziari se, infine, la banca (o l’impresa di investimento) fornirà ai clienti la valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari ad essi raccomandati.
Più in generale, dal considerando 71 della Mifid II si evince che, le imprese di investimento devono agire nel migliore interesse del cliente, che devono comprendere le caratteristiche degli strumenti finanziari offerti e/o raccomandati, nonché istituire strumenti efficaci per identificare la categoria del cliente alla quale fornire prodotti e servizi i quali, peraltro, dovranno essere concepiti rispondere alle esigenze di un determinato mercato di riferimento di clienti finali, adottare provvedimenti che garantiscano strumenti finanziari siano distribuiti al mercato di riferimento per i quali sono concepiti e, di esaminare regolarmente identificazione mercato di riferimento ai prodotti che offrono il loro rendimento.
3. Il principio del “know your product” (conoscere il prodotto venduto)
Prima di addentraci nell’analisi che segue, si premette che tra struttura finanziaria e rischiosità di un prodotto non sussiste una reale corrispondenza biunivoca: è possibile, infatti, riscontrare sul mercato prodotti complessi caratterizzati da livelli di rischiosità contenuti e prodotti semplici con rischiosità elevate; tuttavia, si ritiene che la comprensibilità della struttura finanziaria di un prodotto finanziario possa rappresentare il presupposto per la comprensibilità del rischio d’investimento sotteso da parte di un investitore al dettaglio e delimitare il fenomeno di acquisti non consapevoli. In tal senso va interpretata la disciplina che segue, che prende le mosse da una serie di raccomandazioni che, di volta in volta, suggeriscono comportamenti mirati alla riduzione delle aree di rischio, sul presupposto (secondo noi inesatto) che esso derivi dalla complessità del prodotto offerto e, quindi, dalle difficoltà di comprensione del cliente del prodotto stesso.
Già nell’agosto del 2013, in un bell’articolo sulla rivista Bancaria l’allora commissario della Consob, Vittorio Conti, ebbe modo di rilevare che, con riferimento all’attività di vigilanza dell’autorità, “… viene superato il riferimento esclusivo al momento della vendita. L’attenzione delle Autorità si estende ai maker oltre che ai distributor e l’invito rivolto agli operatori attivi del settore della consulenza diventa “know your client and know the product” con,“il sistema delle tutele che si dispiega lungo tutta le filiera del processo di generazione del valore associato alla prestazione dei servizi di investimento: dal momento della progettazione del prodotto, alla identificazione del segmento di clientela a cui è destinato”[27].
Nel citato articolo, in particolare, si faceva riferimento alla “product intervention” prevista tra le righe della MiFID Review (nello specifico gli artt. 31 ESMA powers to temporaly intervenue, e 32 product intervention by competent authorities) ed alla possibilità che l’ESMA e le Autorità nazionali proibiscano o decidano di restringere il marketing, la distribuzione e la vendita di particolari strumenti finanziari[28].
In effetti, nella direttiva dell’Unione Europea 2004/39/CE (conosciuta anche come direttiva MiFID)[29] non si contiene un vero e proprio principio di know your product in capo agli intermediari finanziari, ma solo un generale obbligo di informativa agli investitori delle caratteristiche degli investimenti proposti. In particolare, all’articolo 19, paragrafo 3, si prevede che ai clienti (o potenziali clienti) vengano fornite, in una forma comprensibile, informazioni appropriate “… sugli strumenti finanziari e sulle strategie di investimento proposte (…) cosicché si possono ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari che vengono loro proposti, nonché i dischi ad essi connessi e, di conseguenza, possono prendere decisioni in materia di investimento con cognizione di causa”.
Tale disposizione è, poi, ripresa all’articolo 31 del regolamento intermediari citato, che prevede che gli intermediari stessi forniscano ai clienti potenziali una descrizione generale della natura e degli strumenti finanziari trattati tenendo conto della classificazione del cliente[30]. Peraltro, la descrizione deve essere tale da illustrare le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri di tale tipo di strumento con dettaglio capace di consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate[31]. Di particolare rilevanza nell’individuazione del contenuto del principio di know your product, c’è la comunicazione Consob del 2 marzo 2009[32]. In essa viene posta l’attenzione al collocamento dei prodotti illiquidi, ovvero, di quei prodotti che, per loro natura, determinano ostacoli o limitazioni allo smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole, a condizioni prezzo significative, ossia pari da riflettere direttamente indirettamente una pluralità di interessi inammissibili. Per questi tipi di prodotti vengo specificate le regole di condotta e le relative cautele che l’intermediario deve seguire nell’offerta.
Nella commercializzazione di un prodotto illiquido l’intermediario è tenuto a valutare la compatibilità dei singoli strumenti inseriti nel catalogo di prodotti, avuto riguardo alla loro complessiva morfologia, con le caratteristiche ed i bisogni della clientela a cui si intende offrirle e, ad approfondire, la scelta di un determinato target di clientela, selezionando per questa i prodotti da distribuire. Attenzione massima deve, peraltro, essere riposta alla costruzione di meccanismi di incentivo della struttura aziendale incaricata della commercializzazione del prodotto che garantiscano che tali meccanismi non risultino contrapposti al miglior interesse del cliente. Le cautele nella politica commerciale devono, poi, essere accompagnate da idonee misure di trasparenza del prodotto.
In primo luogo, la scomposizione delle diverse componenti che concorrono complessivo esborso finanziario sostenuto dal cliente per l’assunzione della posizione nel prodotto illiquido, distinguendo il fair value dai costi, poi le informazioni connesse alle modalità di smobilizzo delle posizioni sul singolo prodotto, con evidenziazione delle eventuali difficoltà di liquidazione connessa funzionamento dei mercati di scambio e di conseguenti effetti in termini di costi. Ad arricchire il set informativo, si richiede di fornire il confronto con prodotti semplici, noti, liquidi ed a basso rischio. Nella rendicontazione periodica, infine, l’intermediario deve aver cura di fornire informazioni dettagliate sui prodotti.
Sotto l’aspetto della correttezza, appare indispensabile che l’intermediario si doti di strumenti di determinazione del fair value, basati su metodologie riconosciute e diffuse sul mercato e, altresì, proporzionate alla complessità del prodotto[33], come che gli intermediari che si rendano disponibili all’acquisto dei prodotti con criteri di pricing correnti con quelli adottati in sede di classamento o vendita al cliente e che, infine, i criteri per la determinazione delle condizioni da applicare alle operazioni di acquisto e vendita siano fissati ex ante e in maniera rigorosa. A chiosa, il sistema informativo aziendale, perché assicuri la correttezza dell’intermediario, dovrà essere predisposto per consentire ex post un’agevole e precisa ricostruzione dell’attività svolta dall’intermediario con riferimento all’offerta di che trattasi. Le predette cautele nella politica commerciale e, le cennate misure di trasparenza del prodotto, nonché i presidi di correttezza, non sono, tuttavia, sufficienti.
In effetti, la predetta comunicazione Consob del 2 marzo 2009 prevede che, nel collocamento di prodotti illiquidi dovrà essere sempre verificata l’adeguatezza[34] o, se del caso, appropriatezza degli investimenti per il cliente. Andranno, pertanto, sempre tenute in conto le peculiari caratteristiche di prodotti illiquidi, specie se caratterizzati da profili di complessità, opportunamente, raffrontandoli al grado di conoscenza ed esperienza finanziaria del cliente[35]. Nell’ipotesi poi di servizio di consulenza o di gestione di patrimoni, l’intermediario dovrà addirittura dotarsi di procedure che consentano l’effettiva valutazione dell’adeguatezza del prodotto illiquido, tenendo conto dei diversi fattori che possono incidere sul livello di costo dello strumento (spread denaro e lettera) e dell’holding period, dovendosi ritenere naturalmente inadeguate tutte le operazioni di strumenti illiquidi per quella la clientela avesse dichiarato un orizzonte temporale inferiore alla durata del prodotto[36].
La comunicazione sugli illiquidi è stata poi integrata dalla comunicazione Consob del 22 dicembre 2014 sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail, che traspone in Italia l’Opinion dell’Esma/2014/146, sulle specifiche cautele ed i presidi organizzativi volti ad assicurare la cura dell’interesse della clientela in sede di distribuzione dei prodotti finanziari complessi, emanata il 7 febbraio 2014[37], e l’Opinion Esma/2014/332 sulle attività utili ad assicurare la cura dell’interesse degli investitori e ad evitare prassi pregiudizievoli nelle fasi di ideazione di prodotti strutturati e di commercializzazione degli stessi, emanata il 27 marzo 2014[38]. Per inciso, segnaliamo che le raccomandazioni in parola si applicano ai servizi e attività di investimento con esclusione della gestione di portafogli, della gestione di sistemi multilaterali di negoziazione, di gestione collettiva del risparmio e, infine, di esecuzione di ordini[39] effettuata sulla base di un contratto tra l’intermediario del cliente che consenta la trasmissione di ordini di negoziazione ad una determinata trading venue, utilizzando l’infrastruttura l’identificativo dell’intermediario stesso.
Le raccomandazioni discorso si applicano, invece, alla sottoscrizione ed al collocamento di prodotti finanziari emessi dalle banche[40] e da imprese di assicurazione, alla commercializzazione di quote o azioni di OICR gestiti da terzi, nonché, infine, alla commercializzazione di quote di OICR propri[41].
L’Opinion del 7 febbraio 2014 individua particolari prodotti per i quali intermediario deve usare una particolare attenzione nell’offerta al cliente, ovvero, i prodotti complessi, cioè quelli che incorporano strumenti finanziari derivati, che hanno sottostanti difficili da osservare, che non utilizzano indici standard, o presentano significative barriere all’uscita, o che comportano meccanismi complessi per la restituzione del capitale o per la percezione di rendimenti, che includono meccanismi di protezione del capitale investito parziali o condizionati. In buona sostanza, rientrano nella categoria certamente le obbligazioni callable, perpetue e subordinate, i c.d. CoCo Bonds, tutti gli strumenti finanziari derivati, i credit Linked notes, e gli ABS.
La nozione è ricavata per differenza dalla Mifid 2004/39/CE, direttiva di primo livello. All’articolo 19, comma 6, si menzionano, in relazione al servizio di execution only, gli strumenti finanziari non complessi come le azioni quotate, le obbligazioni[42], gli strumenti del mercato monetario, titoli di credito non strutturati le quote OICVM.
Ad integrare la sommaria casistica interviene la direttiva, di secondo livello, 2006/73/CE che, oltre prodotti sopra indicati, definisce prodotti non complessi anche quelli che soddisfano congiuntamente i seguenti criteri: non siano strumenti derivati, esiste la possibilità di uscita all’investimento a condizioni ragionevoli, non comportano alcuna passività effettiva o potenziale per il cliente superiore al costo d’acquisto e, vi siano disponibili informazioni sulle caratteristiche del prodotto idonee a garantire al cliente al dettaglio medio una decisione informata sulla decisione o meno di investimento. In buona sostanza, i prodotti complessi, proprio per via della loro natura di non essere immediatamente comprensibili dal un risparmiatore medio, prima di essere distribuiti, necessitano di un’accurata due diligence dell’intermediario distributore e di una valutazione delle sue caratteristiche e delle componenti di rischio mercato, di credito e di liquidità.
Secondo l’Opinion del 7 febbraio, qualora, dall’analisi condotta dall’intermediario, emerga che un determinato prodotto non possa soddisfare al meglio interessi dei clienti, ovvero, che non sono disponibili informazioni sufficienti a valutare le principali caratteristiche di rischio di un prodotto e relativi rischi generali, gli intermediari stessi dovrebbero astenersi dal venderlo e non farne consulenza[43].
A vigilare sull’osservanza degli intermediari, l’Opinion citata chiama in causa le autorità nazionali competenti, che devono prestare particolare attenzione alle procedure interne e ai sistemi di controllo delle imprese di investimento, in particolare, “quando l’intermediario presenta un alto numero di clienti che si rifiutano di fornire informazioni in merito alla propria esperienza e conoscenza in materia di investimenti”.
È evidente che il sistema disegnato, determina una forte attenzione da parte di presidi organizzativi interni e dei controlli esterni. In particolare, richiede preparazione competenza da parte dei soggetti responsabili processo decisionale di formazione del personale distributivo coinvolto, nella confezione del materiale pubblicitario della prestazione servizio alla clientela, un controllo attento del rischio. Essa necessita, inoltre, di una corretta classificazione clientela, anche in termini di discriminazione per l’effettuazione del servizio di consulenza o meno alla vendita di determinati prodotti complessi a determinati segmenti di clientela. Il sistema prevede un attentissimo monitoraggio dei conflitti d’interesse e del sistema di incentivi[44]. A tal proposito, con riferimento ai prodotti complessi, si parla di adeguatezza rafforzata, intendendo la necessità di verificare di identificare nel continuum, gli obiettivi di investimento irrazionalista del cliente, l’orizzonte temporale desiderato, la capacità del cliente di far fronte agli impegni assunti di supportare eventuali perdite, specie in caso di effetto leva, la comprensione da parte del cliente del possibile impatto dei costi sul rendimento il prodotto, la conoscenza ed esperienza del cliente di verificare la comprensione di rischi associati all’investimento. Va da sé che in tal caso la raccolta delle informazioni sul cliente dovrà di necessità evitare meccanismi di auto-valutazione[45]. Nella vendita di prodotti complessi, l’Opinion in discorso dà inoltre indicazioni sulle modalità di valutazione anche della appropriatezza; nell’uso del questionario, infatti, si dovrà evitare lunghe e complicate descrizioni di catalogo seguite dalla richiesta al cliente di dichiarare che si è compreso (o no) la relativa rischiosità.
La citata Opinion del 7 febbraio interviene, infine, anche in tema di trasparenza prevedendo che qualsiasi comunicazione, anche di carattere pubblicitaria, che abbia ad oggetto prodotti complessi, per essere corretta chiara e non fuorviante deve, in ogni caso, includere l’ammontare complessivo dei costi associati all’investimento, la scomposizione delle singole voci di costo ed di valore del prodotto, nonché le eventuali prospettive, nell’ipotesi in cui il cliente intenda disinvestire.
Devono essere, inoltre, illustrati chiaramente i limiti dell’eventuale garanzia o protezione del capitale, l’impatto dell’eventuale componente derivativa e della leva finanziaria, nonché le possibilità di riportare perdite. L’opinion del 27 marzo prende in considerazione i prodotti strutturati suggerendo agli intermediari comportamenti più idonei, ovvero, delle good practies da adottare per favorirne e garantire il corretto collocamento al retail. Da monitorare, secondo l’Esma, sono molteplici aree, che vanno dalla fase della strutturazione del prodotto complesso a quella della distribuzione. I requisiti generali di organizzazione dovrebbero definire, dunque, tutti i passaggi che portano alla costruzione del prodotto, circoscrivere, in particolare, i ruoli, le responsabilità, i poteri del personale coinvolto, nonché assicurare che l’alta direzione assuma la piena responsabilità della strutturazione dell’emissione. Si prevede, peraltro, che si abbia un controllo costante dei processi citati da parte delle funzioni di controllo interno, con particolare riguardo alla funzione di compleance[46].
Lo strutturatore (o arranger)[47] dovrà assicurare il prodotto sia coerente con necessità di investimento, la conoscenza ed l’esperienza del target di clientela identificato. Va da se che ciò presuppone che la scelta sottostante sia guidata da una effettiva richiesta del mercato e non, come purtroppo sembra essere avvenuto troppo di frequente in questi ultimi anni, da esigenze interne di collocazione di passività[48].
Pertanto, dovrebbe essere sempre assicurato l’interesse del cliente evitando conflitti di interesse, utilizzando strumenti di valutazione alle statistiche sempre verificabile da parte di terzi indipendenti. Una particolare attenzione è dedicata alla evidenziazione del valore del prodotto alla data di emissione ed alla trasparenza sui costi. L’Opinion dell’Esma prescrive di utilizzare metodi di valutazione standard e comunemente accettati mercato e dare, per la valutazione di pricing del prodotto complesso, le stesse metodologie utilizzate per la valutazione del portafoglio di intermediari dovrebbero offrire agli investitori la possibilità di disinvestire prima della scadenza, mostrandone costi condizioni, in particolare, rendendo noto al cliente finale costi di un’eventuale riscatto/rimborso rispetto la scadenza naturale.
L’attività dello strutturatore non si esaurisce alla fase del collocamento, ma prevede, altresì, una fase di monitoraggio nel tempo. A tale soggetto è fatto carico, infatti, di raccogliere ( costantemente ) informazioni sulle performance assicurate dai prodotti strutturati collocati, e sul funzionamento delle procedure attivate, in collaborazione, naturalmente con la funzione di compleance. Esso altresì dovrebbe, poi, effettuare un test sul prodotto per verificare come lo stesso avrebbe performato nel passato, nonché effettuare simulazioni per controllare, sulla base degli scenari disponibili, il probabile andamento futuro in termini di rischio-rendimento[49]. Dei test andrebbe conservata traccia documentale, da rendere disponibili su richiesta dell’Autorità di vigilanza.
L’Opinion Esma del 27 marzo in parola, prevede, anche una intensa collaborazione tra gli strutturatori ed i distributori. In primo luogo, il distributore dovrebbe essere in grado di comprendere le caratteristiche essenziali del prodotto, con particolare riguardo ai meccanismi di remunerazione, ai rischi ed alle possibilità di intaccare il capitale investito. Esso dovrebbe, peraltro, definire assieme allo strutturatore il target di mercato, che individuando i soggetti a cui va collocato prodotto, è importante proprio perché consente definire le più appropriate modalità di distribuzione e di pubblicità del prodotto strutturato, segnalando i segmenti di clientela cui dovrebbe essere precluso l’accesso a prodotto. Ulteriori obblighi informativi sono previsti a carico dei distributori di informarsi sulle caratteristiche dei prodotti da distribuire, dovrebbero verificare con attenzione la documentazione fornita dallo strutturatore accertandosi, in primo luogo, della completezza e della comprensibilità dell’investitore finale attivandosi naturalmente per ogni utile ed opportuna integrazione.
Con la comunicazione sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail del 22 dicembre 2014 n. 0097996, la Consob ha esaminato gli orientamenti Esma citati ed ha individuato tre elementi sistematici della nozione di complessità: la presenza di elementi opzionali, condizioni e meccanismi di amplificazione del sottostante (cosiddetto effetto leva nella determinazione del play-off del prodotto); la limitata osservabilità del sottostante, con conseguente difficoltà di valorizzare lo strumento; la mancanza o difficoltà di liquidabilità dell’investimento.
Così facendo, individua una serie di prodotti “a complessità molto elevata”, inclusi in una lista (grey list), in relazione ai quali intermediari sono chiamati alla attenta applicazione delle Opinion dell’ Esma del febbraio e del marzo 2014[50]. In particolare, sono prodotti complessi: (i) prodotti finanziari derivanti da operazioni di cartolarizzazione di crediti o di altre attività (ad esempio Asset Backed Securities); (ii) prodotti finanziari per i quali, al verificarsi di determinate condizioni o su iniziativa dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale; (iii) prodotti finanziari credit linked (esposti ad un rischio di credito di soggetti terzi); (iv) strumenti finanziari derivati[51], di cui all’art. 1, comma 2, lettere da d) a j) del TUF, non negoziati in trading venues, con finalità diverse da quelle di copertura; (v) prodotti finanziari strutturati, non negoziati in trading venues, il cui pay-off non rende certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente; (vi) strumenti finanziari derivati, di cui all’art. 1, comma 2, lettere da d) a j) del TUF diversi da quelli di cui al punto iv; (vii) prodotti finanziari con pay-off legati ad indici che non rispettano gli Orientamenti ESMA del 18 dicembre 2012 relativi agli ETF; (viii) obbligazioni perpetue; (ix) OICR c.d. alternative; (x) prodotti finanziari strutturati, negoziati in trading venues, il cui pay-off non rende certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente; (xi) prodotti finanziari con leva maggiore di 1; (xii) UCITS di cui all’art. 36 del Regolamento UE n. 583/2010, nonché polizze di ramo III o V con analoghe caratteristiche.
La stessa Consob ha tenuto a precisare come la lista dei prodotti finanziari complessi non possa in nessun caso considerarsi esaustiva, ma, piuttosto, esemplificativa. Infatti, avuto riguardo al continuo processo di innovazione finanziaria, non può che essere compito del singolo intermediario definire una gamma prodotti ed individuare strumenti o prodotti con livelli di complessità analoghi o superiori a quelli indicati dall’Autorità. Occorre, quindi, che l’intermediario nell’ambito della definizione della propria politica commerciale, anche in relazione alla specifica e concreta articolazione dei propri servizi d’investimento, proceda all’analisi dei principali elementi che possono caratterizzare tali prodotti finanziari complessivi.
Rispetto all’elenco generale dei prodotti finanziari complessi sopra riportata (e fatta salva, come già detto, l’autonoma valutazione e classificazione da parte dell’intermediario dei prodotti finanziari complessi), la Consob ne ha individuato alcuni che si distinguono per la loro rischiosità che sono considerati prodotti finanziari di particolare complessità.
Rientrano tra i Prodotti Finanziari di Particolare Complessità: i. prodotti finanziari derivanti da operazioni di cartolarizzazione di crediti o di altre attività; i prodotti finanziari per i quali, al verificarsi di determinate condizioni o su iniziativa dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale; iii. prodotti finanziari credit linked; iv. strumenti finanziari derivati di cui all’art. 1, comma 2, lettere da d) a j) del TUF non negoziati in trading venues, con finalità diverse da quelle di copertura; v. prodotti finanziari strutturati, non negoziati in trading venues, il cui pay-off non rende certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente.
La classificazione fatta come fatta non è, tuttavia, esaustiva. Per quantificare il grado di complessità di ciascun prodotto, l’intermediario, pertanto, dovrà provvedere a individuare i principali elementi di complessità finanziaria di ciascun prodotto offerto[52]. La Comunicazione citata ha segnalato alcuni elementi di complessità che, di seguito, ci si limita a riportare:” (i) presenza di elementi opzionali (relativi ad uno o più fattori di rischio), condizioni e/o meccanismi di amplificazione dell’andamento del sottostante (effetto leva) nella formula di determinazione del pay-off del prodotto finanziario, e/o (ii) limitata osservabilità del sottostante (ad es. indici proprietari, portafogli di crediti cartolarizzati, asset non scambiati in mercati trasparenti) con conseguente difficoltà di valorizzazione dello strumento, e/o (iii) illiquidità (ad es. strumento non negoziato su alcuna trading venue) o difficoltà di liquidabilità dell’investimento (ad es. assenza di controparti istituzionali di mercato, alti costi di smobilizzo, barriere all’uscita) . In tale prospettiva, la negoziazione in trading venues può risultare una modalità di contenimento dei fattori di complessità rappresentati dall’illiquidità del prodotto”.
Per questi prodotti, la Consob raccomanda espressamente che non siano né consigliati né distribuiti in via diretta alla clientela retail, in quanto tali prodotti non possono essere considerati adatti alle caratteristiche di tali clienti. Tuttavia, qualora l’intermediario, sotto la propria responsabilità, disattenda la predetta raccomandazione “in quanto ritenga, a seguito delle valutazioni effettuate in coerenza con quanto previsto al paragrafo n. 14 dell’Opinion dell’ESMA “MiFID practices for firms selling complex product” , che il prodotto in concreto si presti alla realizzazione degli interessi della propria clientela e che siano disponibili informazioni sufficienti a valutarne le principali caratteristiche ed i relativi rischi, esso sarà comunque chiamato ad adottare … cautele in grado di contenere in maniera sostanziale l’innalzato rischio di non conformità”. Ovverosia, sarà necessaria per poter procedere al collocamento, un’accurata due diligence[53] dell’intermediario distributore sui prodotti da offrire alla clientela, con valutazione separata delle sue principali caratteristiche e delle componenti di rischio mercato, di credito, di liquidità.
La Consob richiede, peraltro, che i vertici aziendali adottino “una specifiche motivata decisione sulla commercializzazione di queste tipologie prodotti”, decisione che dovrà essere adottata dopo aver coinvolto gli organi e le funzioni di controllo, le quali dovranno rilasciare pareri sui profili di loro competenza. L’intermediario dovrà, inoltre, provvedere a segnalare al cliente che la Consob non ritiene adatto alla clientela dettaglio il prodotto finanziario distribuito e offerto e la funzione compliance dovrà controllare e vigilare sull’effettivo rispetto delle regole di condotta da parte intermediario in ogni fase del processo connesso all’investimento prodotto di che trattasi.
Una particolare attenzione è dedicata dalla comunicazione Consob in discorso alle operazioni su iniziativa del cliente. In via generale, qualora l’intermediario accerti in conformità a quanto previsto dal 14 di l’opinion ESMA “MIFID practices for frims selling complex product”, che in concreto, il prodotto richiesto non possa soddisfare al meglio l’interesse del proprio cliente e/o che, rispetto al prodotto (sia esso “in catalogo”, ovvero, forniti dal collocatore stesso) che fuori catalogo, manchino comunque le informazioni sufficienti a valutare le principali caratteristiche ed i rischi connessi, esso dovrà evitare di prestare consigli su quel prodotto o, addirittura, venderlo. In generale, tuttavia, va evidenziato che le misure indicate dalla Consob dovranno essere lette in funzione dell’effettiva relazione intercorrente con il cliente; così, ad esempio, le operazioni poste in essere in assenza di attività di consulenza, come prevede la MIFID, sottoposte alle regole sulla appropriatezza.
[*] Le opinioni espresse sono a titolo personale e non riguardano la Consob, Autorità presso cui il dott. Franza lavora.
[1]Il 12 giugno 2014 sono state pubblicate in gazzetta ufficiale dell’Unione Europea le nuove disposizioni riguardanti la regolamentazione dei mercati degli strumenti finanziari, ovvero, la Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (MiFID II); e il Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (MiFIR). Gli Stati membri adottano e pubblicano, entro il 3 luglio 2016, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva. Essi applicano tali misure a decorrere dal 3 gennaio 2017, fatta eccezione per le disposizioni che recepiscono l’articolo 65, paragrafo 2, che si applicano a decorrere dal 3 settembre 2018. Le disposizioni contenute nel Regolamento si applicano dal 3 gennaio 2017 ad eccezione di alcune norme che si applicano immediatamente dopo l’entrata in vigore del regolamento e dal 3 gennaio 2019.
[2]La Product Governance nel nuovo regime MiFID 2, Silvia Morlino, Socio, Studio Legale Tributario – In Diritto Bancario, Aprile 2015
[3]Per un analisi dettagliata si veda Andrea Perrone, Servizi d’investimento e regole di comportamento dalla trasparenza alla fiducia, Banca Borsa e Titoli di Credito, 2015, 1, I, 23
[4]Sulla Mifid e sulla relativa normativa di attuazione cfr. AA.VV., La MiFID in Italia, a cura di L. Zitiello, Torino, 2009; AA.VV., Strumenti finanziari e regole MiFID, a cura di F. del Bene, Milano, 2009; E. Guerinoni, La nuova disciplina dei contratti di investimento, Milano, 2008. V. inoltre S. Bastianon, L’integrazione dei mercati finanziari in Europa: la MiFID e la recente normativa italiana di recepimento, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2008, 255 ss.; F. Durante, Con il nuovo regolamento intermediari, regole di condotta “flessibili” per la prestazione dei servizi di investimento, in Giur. mer., 2008, 628 ss.; F. Regaldo, La responsabilità delle banche nel collocamento di obbligazioni ai risparmiatori. Una comparazione tra Italia e Regno Unito in seguito all’adozione del sistema MIFID, in Dir. banca merc. fin., 2009, 211 ss.; A. A. Rinaldi, Il decreto Mifid e i regolamenti attuativi: principali cambiamenti, in Società, 2008 12 ss.; V. Roppo, Sui contratti del mercato finanziario, prima e dopo la MIFID, in Riv. dir. priv., 2008, 485 ss.; V. Sangiovanni, Informazioni e comunicazioni pubblicitarie nella nuova disciplina dell’intermediazione finanziaria dopo l’attuazione della direttiva MIFID, in Giur. it., 2008, 785 ss.; Id., La nuova disciplina dei contratti di investimento dopo l’attuazione della MIFID, in Contratti, 2008, 173 ss; Id., Gli obblighi informativi delle imprese di investimento nella più recente normativa comunitaria, in Dir. com. scambi int., 2007, 363 ss.
[5]Alberto Rasi, ESMA: le linee guida per l’esternalizzazione della funzione di Compliance in relazione alla MiFID (27 luglio 2012) e Alberto Rasi, ESMA: Linea guida sui “Requisiti della funzione di Compliance” nella MiFID (6 luglio 2012).
[6]Dal Considerando 71 della MiFID 2 si evincono i principi generali della nuova disciplina: – l’intermediario deve comprendere le caratteristiche degli strumenti finanziari offerti o raccomandati e deve istituire politiche specifiche per identificare la categoria di clienti alla quale fornire i prodotti e i servizi; – l’intermediario che realizza strumenti finanziari garantisce che tali prodotti siano concepiti per rispondere alle esigenze di un determinato mercato di riferimento di clienti finali ed adotta tutte le misure necessarie per garantire che gli strumenti finanziari siano distribuiti al mercato di riferimento individuato; – l’identificazione del mercato di riferimento dei prodotti offerti e il loro rendimento devono essere soggetti ad una procedura di riesame su base regolare; – l’intermediario quando offre o raccomanda ai clienti strumenti finanziari che non ha proceduto a realizzare deve disporre di meccanismi adeguati per ottenere e comprendere le informazioni relative al processo di approvazione del prodotto, compreso il mercato di riferimento identificato e le caratteristiche del prodotto; l’intermediario che offre o raccomanda un prodotto realizzato da imprese non soggette ai requisiti in materia di governo dei prodotti o da imprese di paesi terzi deve disporre di meccanismi adeguati per ottenere informazioni sufficienti sul prodotto; la disciplina sul governo dei prodotti si aggiunge e non sostituisce gli obblighi dell’intermediario relativi all’informativa ai clienti, all’adeguatezza e appropriatezza, all’identificazione e gestione di conflitti di interesse ed agli incentivi.
[7]L’ESMA è l’acronimo inglese per l’ Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, è un organismo dell’Unione europea che, dal 1º gennaio 2011, ha il compito di sorvegliare il mercato finanziario europeo. Le raccomandazioni della Commissione condensate nella comunicazione del 27 maggio 2009 – sollecitata dagli esiti del Rapporto de’ Larosiere – si sono concretizzate, principalmente, “nella trasformazione dei Comitati di Livello 3 nelle tre Autorità europee di vigilanza (ESA’s) , cui sono state trasferite le competenze dei primi e attribuite nuove e rilevanti funzioni. L’istituzione delle tre ESA, è stata accompagnata dall’elaborazione di un corpus unico di norme per garantire un’applicazione coerente e uniforme delle stesse. L’adozione della direttiva 2010/78/UE del 24 novembre 2010 (cd. “Omnibus”) costituisce infatti il framework della nuova struttura, in cui si inscrivono i regolamenti UE n. 1093/2010, n. 1094/2010 e n. 1095/20104, istitutivi delle nuove autorità di vigilanza preposte al settore bancario (EBA), delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e degli strumenti finanziari (ESMA)”.“… Oltre alla elaborazione di norme vincolanti volte a “stabilire coerenti, efficienti ed efficaci pratiche di vigilanza”, il Regolamento istitutivo dell’ESMA, al fine di migliorare la convergenza delle prassi di vigilanza in seno allo European System of Financial Supervisors (ESFS), codifica gli ulteriori strumenti attribuiti all’Autorità, quali l’emanazione di misure di soft law, linee-guida e raccomandazioni da veicolare alle autorità nazionali o direttamente agli attori dei mercati finanziari.” V. Colantuoni, “Le funzioni di regolazione della Consob nella nuova governance europea, Paper AIR, novembre 2013. Vedi anche, “Nuovi regolatori e vecchi principi nel diritto dell’UE. Poteri e limiti delle autorità europee di vigilanza finanziaria”, comunicazione di Marta Simoncini, Convegno “Parlamenti nazionali e Unione europea nella governance multilivello”, maggio 2015, Camera dei Deputati, Roma.
[8]La nuova disciplina dei servizi di pagamento, Autori Vari, G Giappichelli Editore Torino, 2011.
[9]Banche e Responsabilità Civile, Antonio Scarpa e Giuseppe Fortunato, Giuffrè Editore, 2013.
[10]Vedi per i clienti professionali, Allegato III, Regolamento recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari (adottato con dalla Consob con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 e successivamente modificato con delibere n. 16736 del 18 dicembre 2008 e n. 17581 del 3 dicembre 2010).
[11] Alla luce della definizione legislativa, per servizi e attività di investimento si intendono: “a) negoziazione per conto proprio; b) esecuzione di ordini per conto dei clienti; c) sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente; c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente; d) gestione di portafogli; e) ricezione e trasmissione di ordini; f) consulenza in materia di investimenti; g) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione” (art. 1 comma 5 TUF).
[12]Per una analisi generale, vedi, “ Metodologia della raccolta di informazioni. Osservazione, questionari, interviste e studio dei documenti” Autori e curatori Jean-Marie De Ketele , Xavier Roegiers , Livia Cadei, 2013.
[13]Le istituzioni comunitarie possono emanare due tipi di atti non vincolanti: le raccomandazioni ed i pareri. La raccomandazione ha il preciso scopo di obbligare il destinatario a tenere un determinato comportamento considerato più rispondente alle esigenze comuni. Il parere tende a fissare il punto di vista dell’istituzione che lo emette in ordine ad una specifica questione. Premesso che sia per le raccomandazioni che per i pareri le istituzioni comunitarie hanno una competenza generale, entrambi gli atti non sono sottoposti ad alcuna forma particolare, fatta eccezione per alcuni pareri per i quali il Trattato CE prevede una motivazione espressa (v. Motivazione degli atti comunitari): ad esempio art. 226 del Trattato CE, in base al quale è richiesto il parere motivato della Commissione, qualora questa ritenga che uno Stato membro non abbia adempiuto agli obblighi ad esso derivanti in base al Trattato istitutivo. Sia le raccomandazioni che i pareri possono avere come destinatari gli Stati membri, ovvero le altre istituzioni comunitarie o, ancora, i soggetti di diritto interno degli Stati membri.
[14]Esma, Orientamenti, orientamento numero 2, Paragrafo 20.
[15]Esma , Orientamenti, orientamento numero 5, paragrafo 41.
[16]In tal senso, più in generale, la cassazione civile, sezione I, sentenza 15 febbraio 2016 numero 25 35, nella parte in cui precisa che il modulo prestampato firmato non costituisce dichiarazione confessoria, ma era formulazione di un giudizio. In mancanza di prova della diligenza Banca, posta a suo carico, questa sarà tenuta anche al risarcimento degli eventuali danni (oltre che alla restituzione del capitale investito male).
[17]“Linee Guida” ABI, Orientamenti ESMA sull’adeguatezza del 20 dicembre 2013.
[18]In particolare, il Tribunale di Roma, sez II, sentenza n.23717 del 25 novembre 2015, ha precisato che la dichiarazione cliente che afferma “di essere in possesso di specifica competenza ed esperienza in materia di strumenti finanziari derivati ai sensi e per gli effetti dell’articolo 31 del regolamento Consob” ha funzionamento accessoria considerando le caratteristiche del cliente e l’assunzione da parte dell’intermediario di funzioni di consulenza e assistenza, che determina il riconoscimento del difetto di competenza in capo al cliente. In materia di consulenza finanziaria cfr. V. Sangiovanni, Aspetti contrattuali della consulenza finanziaria, in Contratti, 2010, 175 ss; A. Sciarrone Alibrandi, Il servizio di “consulenza in materia di investimenti”: profili ricostruttivi di una nuova fattispecie, in Dir. banca mer. fin., 2009, 383 ss.
[19]Esma, Orientamenti, orientamento numero 4 paragrafi 31 e 39.
[20]Esma, Orientamenti, orientamento numero 3, paragrafo 35.
[21]Tribunale di Bari, sentenza numero 2635 del 12 giugno 2015.
[22]In materia di adeguatezza delle operazioni finanziarie si confrontino cfr. F. Greco, Intermediazione finanziaria: rimedi ed adeguatezza in concreto, in Resp. civ. prev., 2008, 2556 ss.; V. Sangiovanni, Informazione sull’adeguatezza dell’operazione finanziaria e dovere di astenersi, in Corr. giur., 2009, 1257 ss.; Id., Operazioni inadeguate e doveri informativi dell’intermediario finanziario, in Giur. comm., 2009, II, 557 ss.; Id., Inadeguatezza della operazione finanziaria, risoluzione del contratto per inadempimento e risarcimento del danno, in Corr. giur., 2006, 1569 ss.
[23]Il Regolamento recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in materia di intermediari (c.d. regolamento intermediari) è stato adottato dalla Consob con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 e successivamente modificato con delibere n. 16736 del 18 dicembre 2008, n. 17581 del 3 dicembre 2010, n. 18210 del 9 maggio 2012 e n. 19094 dell’8 gennaio 2015.
[24]Per valutare l’appropriatezza l’intermediario deve chiedere al cliente informazioni riguardanti la sua conoscenza ed esperienza circa il tipo di strumento o servizio proposto o richiesto. Più precisamente, deve chiedergli quali sono i tipi di servizi, operazioni e strumenti finanziari con i quali ha dimestichezza, la natura, la dimensione e la frequenza delle operazioni finanziarie realizzate in passato, il livello di istruzione e la professione svolta. In linea di massima un prodotto è appropriato se il cliente ha conoscenze ed esperienza sufficienti per comprendere i rischi connessi al prodotto stesso. Se l’intermediario ritiene non appropriato l’investimento deve avvertirci.
[25]Tribunale di Bari, Sezione quarta 12 giugno 2015, numero 2695.
[26]Già nella direttiva 2004/39/CE, la prestazione della consulenza in materia di investimento è stata considerata come un servizio di investimento soggetto a specifiche norme di autorizzazione e di comportamento. La Mifid2, la definisce come la “… prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’impresa di investimento, riguardo a uno o più operazione relative a strumenti finanziari” (articolo 4, comma 1, numero 4).
[27]Citazione tratta da “La tutela del consumatore-risparmiatore: una sfida ancora aperta”, Bancaria, Agosto 2013.
[28]Si segnala, in materia, la complessa attività sulla definizione all’esercizio dei poteri di product intervention ai sensi Mifid 2 e Mifir (8317/16) in carico all’Esma e alle autorità nazionali.
[29]La MiFID 1 (ovvero, Markets in Financial Instruments Directive) 2004/39/CE, è stata emanata dal Parlamento europeo nel 21 aprile 2004. A tale direttiva è seguita la direttiva 2006/73/CE, attuativa della prima. Entrambe, sono state recepite dall’Italia nel 2007.
[30]I servizi del mercato finanziario, 331 I quaderni di giurisprudenza commerciale, Giuffe, 2013.
[31]in materia una particolare rilevanza ha la comunicazione della Consob numero 00904 30 del 24 novembre 2015 sulla prestazione di servizi e delle attività di investimento, nonché dei servizi accessori a seguito del recepimento in Italia della BRRD (Comunicazione sul bail in). Infatti, a seguito dell’emanazione dei decreti legislativi numero 180 e 181 del 16 novembre 2015, la Consob ha ritenuto necessario che gli intermediari, in applicazione del dovere di diligenza, correttezza e trasparenza imposti dalla disciplina in materia di servizi di investimento forniscano agli investitori informazioni appropriate circa le novità introdotte, che li pongono in condizione di assumere con consapevolezza l’ investimento e riconsiderino le proprie procedure per la formulazione dei giudizi di adeguatezza e appropriatezza al fine di valutare l’ eventuale impatto sulle stesse dell’innovazione introdotte.
[32]Comunicazione relativa al dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi.
[33]Il fair value è il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili. Il comma 3 dell’art. 2427-bis c.c. indica la metodologia di calcolo del fair value Il fair value di una attività per la quale non esistono transazioni comparabili è attendibilmente quantificabile quando sia la variabilità nella fascia dei valori delle stime di fair value ragionevoli non è significativa (cioè si possono quantificare ammontari ragionevoli del fair value dell’attività in un campo di valori abbastanza ristretto e le probabilità delle diverse stime entro un campo di valori può essere attendibilmente valutata e utilizzata per effettuare la quantificazione dell’importo.
[34]In tema di adeguatezza nella direttiva MIFID cfr. L. Frumento, La valutazione di adeguatezza e di appropriatezza delle operazioni di investimento nella Direttiva Mifid, in Contratti, 2007, 583 ss.; V. Sangiovanni, Operazione inadeguata dell’intermediario finanziario fra nullità del contratto e risarcimento del danno alla luce della direttiva MIFID, in Contratti, 2007, 243 ss.; F. Sartori, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive MiFID, in Riv. dir. priv., 2008, 25 ss
[35]Vedi in merito, “Livello 3 MiFID. Prime riflessioni alla Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009”, di Luca Carlando, Rivista di Diritto Bancario, Aprile 2009.
[36]I Contratti derivati e tutele dell’Acquirente, Francesco Vitelli, GIappichelli Editore, Torino, 2013.
[37]La Opinon citata, in inglese “Mifid praticties for firm selling complex products”, fornisce talune raccomandazioni agli intermediari circa le regole di condotta da osservare nella commercializzazione di prodotti di complessi, ovverosia di prodotti privi dei criteri di complessità ai sensi dell’articolo 19, comma 6, della Mifid e dell’articolo 38 della direttiva 2006/73/C e.
[38]In inglese, Opinon sulle “Structured Retail Products – Good Practices for product governance arrangiaments”.
[39]Nell’attività di mera esecuzione o ricezione di ordini, l’intermediario finanziario è svincolato dal rispetto sia del principio di adeguatezza sia della regola di appropriatezza. Più specificamente “gli intermediari possono prestare i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione trasmissione ordini, senza che sia necessario ottenere le informazioni o procedere alla valutazione di cui al capo II, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) i suddetti servizi sono connessi ad azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato, o in un mercato equivalente di un Paese terzo, a strumenti del mercato monetario, obbligazioni o altri titoli di debito (escluse le obbligazioni o i titoli di debito che incorporano uno strumento derivato), OICR armonizzati ed altri strumenti finanziari non complessi); b) il servizio è prestato su iniziativa del cliente o potenziale cliente; c) il cliente o potenziale cliente è stato chiaramente informato che, nel prestare tale servizio, l’intermediario non è tenuto a valutare l’appropriatezza e che pertanto l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle relative disposizioni. L’avvertenza può essere fornita utilizzando un formato standardizzato; d) l’intermediario rispetta gli obblighi in materia di conflitti di interesse.
[40] Le stime elaborate da Prometeia, e riferite al periodo 2002 – 2009, indicano che nel 2009 i ¾delle attività finanziarie complessive delle famiglie italiane sono intermediati dal canale bancario, sebbene tale percentuale sia in calo rispetto all’inizio del periodo, una percentuale inferiore al 15% da quello postale, ed una quota intorno al 7% dalle reti dei promotori finanziari.
[41]In merito, il problema di se le obbligazioni subordinate siano da considerarsi “strumenti complessi” anche se non incorporano particolari strutture. Nelle risposte Consob del 22 giugno 2015 si può leggere che “la presenza della mera clausola di subordinazione non implica di per sé la riconduzione delle obbligazioni (subordinate) nell’ambito dei prodotti a complessità molto elevata di cui all’elenco dei prodotti ad elevata complessità della comunicazione complessi. Peraltro le obbligazioni subordinate sono considerate strumenti complessi ai fini dell’opinion. In tale prospettiva, in linea con le indicazioni fornite La citata opinion, gli operatori dovranno dunque prestare la massima attenzione nelle fasi distribuzione delle obbligazioni subordinate nei confronti della clientela dettaglio.
[42]Tra, queste, le obbligazioni garantite (anche covered bond) che si basano sulla garanzia implicita che sta alla base della loro emissione. In altre parole, emettendo obbligazioni di questo tipo per finanziare un progetto (ad esempio la costruzione di un edificio), i frutti derivanti da questo progetto e le sue attività possono essere messi in liquidazione dai possessori di obbligazioni in caso di mancato rimborso di queste. Caratteristiche:- meno rischiosi delle obbligazioni non garantite con caratteristiche simili; – ed hanno un tasso di interesse più basso.Le obbligazioni garantite hanno tipicamente i più alti rating creditizi; la maggior parte di esse hanno rating AAA.
[43]Si tratta di un vero e proprio screening teso a verificare la coerenza del prodotto con il proprio target di clientela.
[44]L’art. 26, lettera c) del Regolamento Intermediari definisce il “Cliente” come la persona fisica o giuridica alla quale l’intermediario presta servizi di investimento o servizi accessori. Per individuare le diverse classi in cui possono essere classificati i clienti della Banca, bisogna ricorrere alla combinazione fra le definizioni contenute nell’articolo 6, comma 2- quater, comma 2-quinquies e comma 2-sexies del TUF e quelle dell’articolo 26, lettere d) ed e) del Regolamento Intermediari. Posto che la definizione della categoria dei “Clienti al dettaglio” si ricava per differenza dei soggetti che non rientrano nelle altre due classi, va precisato che quella dei “Clienti professionali” presenta il maggior grado di dettaglio. In linea generale le tre classi assumono la seguente denominazione: Clienti al dettaglio; Clienti professionali; Controparti qualificate. In funzione della classificazione attribuita alla clientela, la normativa riconosce un livello di massima protezione per i clienti appartenenti alla categoria dei “Clienti al dettaglio” (da ulteriormente classificare a seconda del profilo di rischio) ed un livello minimo per i soggetti appartenenti alle “Controparti qualificate”.
[45]Il concetto emerge dall’art. 28 Adeguata verifica rafforzata, previsto dal dlgs 231/2007 in materia di antiriciclaggio, che vedere che l’intermediario provveda “… a) Identificare e verificare l’identità del cliente tramite documenti o informazioni supplementari b) Identificare e verificare l’identità del titolare effettivo con documenti c) Ottenere informazioni sullo scopo dell’operazione in maniera più rigorosa d) Effettuare un controllo costante per tutta la durata del rapporto/prestazione con una frequenza maggiore rispetto all’ordinario e) Registrare e conservare le informazioni e la documentazione acquisita f) Se il cliente non è fisicamente presente, verificare che il primo pagamento dell’operazione sia fatto tramite conto intestato al cliente presso un istituto di credito.”
[46]Vedi: Banca d’Italia il 12 luglio 2007 nelle “Disposizioni di Vigilanza – La funzione di conformità (compliance); CONSOB (congiuntamente a Banca d’Italia) il 29 ottobre 2007 nel “Regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio”; ISVAP il 26 marzo 2008 nel “Regolamento N. 20 recante disposizioni in materia di controlli interni, gestione dei rischi, compliance (…)”.
[47]Sulla figura dello strutturatore, vedi: “Introduzione alla finanza matematica, derivati, prezzi e coperture”, Riccardo Cesari, Springer 2004. SI tratta, in buona sostanza, del soggetto deputato al disegno di un prodotto finanziario. La figura dell’arranger è comparsa normativamente con i decreti, D.L. 83/2012 (Decreti Sviluppo del governo Monti) e D.L. 145/2014 (Destinazione Italia del governo Letta), poi convertiti in legge, che ha consentito l’emissione di mini bonds e, dunque, un accesso diretto al mercato dei capitali di debito da parte delle PMI, in particolare di quelle aventi un fatturato superiore a 2 milioni di euro.
[48]Per una maggiore analisi, vedi “Il capitale delle banche: Aspetti di gestione e di vigilanza tra crisi e Basilea 3, di Silvana Gervasi, Edizioni Accademiche Italiane, 2014.
[49]Il rapporto tra rischio e rendimento è fondamentale per la valutazione di un investimento finanziario. Esistono degli indicatori in grado di fornirne una misura quantitativa, utile non solo per le considerazioni in merito alla bontà o meno di un singolo investimento ma anche per effettuare comparazioni fra diversi strumenti e soluzioni. Tra quelli più utilizzati, possono essere segnalati il VaR (Value at Risk), l’IR (Information Ratio) e l’indice di Sharpe (Sharpe Ratio). Ognuno si concentra su un particolare aspetto del binomio rischio-rendimento, rispondendo a differenti esigenze di analisi.
[50]Vedi, La distribuzione dei prodotti finanziari complessi. i chiarimenti della Consob in materia di Abs e altri prodotti strutturati, Finance Law Alert, Gennaio 2015.
[51]La materia dei contratti derivati è stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali, cfr. AA.VV., Derivati e swap. Responsabilità civile e penale, a cura di A. Sirotti Gaudenzi, Santarcangelo di Romagna, 2009; M. Aiello, L’operatore professionale: una qualificazione controversa, in Giur. it., 2009, 2713 ss.; F. Autelitano, Il contratto di investimento dell’operatore qualificato, in Contratti, 2009, 869 ss.; C. Brescia Morra, I limiti della responsabilità degli intermediari nei confronti di società che stipulano un contratto di swap dichiarando di essere operatori qualificati, in Riv. trim. dir. econ., 2009, II, 133 ss.; F. Bruno, Derivati OTC e incomprensibile svalutazione dell’autocertificazione del legale rappresentante della società acquirente, in Corr. mer., 2008, 1261 ss.; P. Fiorio, La nozione di operatore qualificato per l’investitore persona giuridica, in Giur. it., 2008, 2241 ss.; D. Magno-S. Dodaro, Operatore qualificato: la Cassazione accoglie la “tesi formalistica” con qualche correttivo, in Società, 2010, 328 ss.; V. Mariconda, Intermediario finanziario non autorizzato e nullità del contratto di swap, in Corr. giur., 2001, 1066 ss.; C. Motti, L’attestazione della qualità di operatore qualificato nelle operazioni in strumenti derivati fra banche e società non quotate, in Giur. it., 2008, 1167 ss.; V. Piccinini, La trasparenza nella distribuzione di strumenti finanziari derivati ed il problema dell’efficacia delle regole informative, in Contr. impr., 2010, 499 ss.; A. Piras, Contratti derivati: principali problematiche al vaglio della giurisprudenza, in Resp. civ. prev., 2008, 2219 ss.; G. Salatino, La diffusione dei contratti di swap nella prassi commerciale italiana: un nuovo scandalo finanziario, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 116 ss.; Id., Contratti di swap. Dall’”operatore qualificato” al “cliente professionale”: il tramonto delle dichiarazioni “autoreferenziali”, in Banca borsa tit. cred., 2009, I, 201 ss.; V. Sangiovanni, Conclusione di contratti derivati e responsabilità degli amministratori, in Società, 2010, 26 ss.; Id., I contratti derivati fra normativa e giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 39 ss.; Id., I contratti di swap, in Contratti, 2009, 1133 ss.; Id., La Cassazione si pronuncia sulla nozione di operatore qualificato del regolamento Consob, in Danno resp., 2009, 1067 ss.; Id., I contratti derivati e il regolamento Consob n. 11522 del 1998, in Giur. mer., 2009, 1516 ss.; Id., Contratti derivati e dichiarazione del rappresentante legale, in Corr. mer., 2008, 41 ss.; Id., Contratto di swap e nozione di operatore qualificato, in Contratti, 2007, 1093 ss.; M. Sesta, L’operatore qualificato del regolamento Consob arriva in Cassazione, in Corr. giur., 2009, 1614 ss.; Id., La dichiarazione di operatore qualificato ex art. 31 reg. Consob. n. 11522/1998 tra obblighi dell’intermediario finanziario ed autoresponsabilità del dichiarante, in Corr. giur., 2008, 1751 ss.; A. Sirotti Gaudenzi, Il contratto di swap: aspetti civilistici e responsabilità degli intermediari, in Foro pad., 2009, II, 51 ss.; R. Tarolli, Trasferimento del rischio di credito e trasparenza del mercato: i credit derivatives, in Giur. comm., 2008, I, 1169 ss.
[52]per quantificare in grado di complessità un prodotto la tecnica finanziaria prevede l’utilizzo di specifiche check list. Nel rinviare a più specifica trattazione, si evidenzia che occorre naturalmente far riferimento ad alcuni elementi segnaletici quali, ad esempio, l’eventuale presenza di garanzia esborso, condizioni rimborso, natura dei rischi, di identificabilità meno di sottostanti, la presenza di strumenti composti, le eventuali correlazioni tra sottostanti, la esoticità o meno dei pay off, il rischio di credito (esposizione verso terzi ovvero vincolo di subordinazione).
[53]Dalla due diligence, senz’altro, deve emergere la natura del prodotto, i benefici e di rischi annessi, il segmento di clientela a cui si confà il prodotto, le eventuali possibili criticità da segnalare al cliente. Più in generale, la due diligence va estesa a tutto il catalogo di prodotti distribuiti dall’intermediario, tenendo in conto sia di portafogli esistenti (per i quali dovrà certamente stimarsi rendimento atteso) che sulla portafoglio target di tutti i prodotti complessi che l’intermediario intende offrire. Per ciascun prodotto essa dovrà verificare la natura dei rischi e la compatibilità con la distribuzione ai segmenti di clientela coprendo le varie fasi che vanno dalla produzione della commercializzazione del prodotto finanziario.