La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, nelle sentenze n. 1138/2/2020 del 17 gennaio 2020 e n. 1207/2/21 del 18 dicembre 2020, si è pronunciata inter alia sulla rilevanza degli sconti infragruppo nella verifica dei prezzi di trasferimento.
La controversia nasce da una contestazione di indeducibilità, ai fini IRES ed IRAP, per gli anni 2013 e 2014, di parte dei costi sostenuti da una società italiana per l’acquisto di prodotti chimici dalla casa madre ungherese.
In particolare, sulla base di apposito contratto, la società ungherese vendeva i prodotti in argomento alla controllata italiana ad un prezzo pre-determinato, cui veniva applicato uno sconto commerciale in fattura.
La controllata italiana predisponeva idonea documentazione a supporto della conformità dei prezzi di trasferimento infragruppo al principio di libera concorrenza, in ossequio al disposto dell’art. 110, comma 7, del D.P.R. n. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, “TUIR”). A questi fini, adottava il c.d. Transactional Net Margin Method (“TNMM”), confrontando il proprio margine operativo (i.e., EBIT/ricavi di vendita) con quello realizzato da società comparabili in circostanze similari.
In sede di verifica, l’Agenzia delle Entrate qualificava lo sconto applicato in fattura dalla casa madre ungherese come sconto “finanziario”, escludendolo quindi dal computo dell’EBIT rilevante ai fini della determinazione del margine operativo. Secondo i verificatori, in estrema sintesi, l’influenza economica – potenziale o attuale – della casa madre sulla propria controllata non avrebbe giustificato l’applicazione, nelle operazioni infragruppo, di uno sconto “commerciale” avente quale finalità quella di stimolare l’acquisto di prodotti.
Il margine operativo della società italiana si riduceva di conseguenza, ponendosi al di sotto del margine operativo mediano delle società terze identificate come comparabili, così che la differenza era ripresa in aumento ai fini IRES e IRAP.
Si riportano nel seguito alcune considerazioni e analisi riguardo la tematica degli sconti infragruppo ai fini della determinazione dei prezzi di trasferimento rilevanti ai fini tributari, per poi esaminare la posizione assunta dai giudici di merito nelle sentenze in commento.
1. Gli sconti “commerciali”
Lo sconto “commerciale” è tipicamente lo sconto che incide sul prezzo della merce, in maniera diretta ed incondizionata, sulla base di specifiche previsioni contrattuali.
Gli sconti commerciali sono rilevanti ai fini IVA, per norma di legge, in quanto riducono direttamente la base imponibile di una cessione di beni, laddove invece gli sconti “finanziari” – di principio – non riducono direttamente la base imponibile, essendo concessi dopo l’emissione della fattura, tipicamente in relazione ad un’anticipazione dei termini di pagamento.
A questo proposito, la sentenza della Corte di Cassazione n. 21182 del 08/10/2014, ex multis, pone due condizioni per identificare gli sconti rilevanti ai fini IVA (sconti commerciali):
– “che venga praticato (…) uno sconto sul prezzo di vendita;
– che la riduzione del corrispettivo al cliente sia frutto di un accordo, sia esso documentale, verbale o finanche successivo, non operando la norma distinzioni di sorta”.
A prescindere dalle valutazioni circa la loro natura, gli sconti (su acquisti) sono contabilizzati come componenti positivi di reddito che concorrono alla determinazione della base imponibile IRES e IRAP e che aumentano la marginalità complessiva.
2. La concessione di sconti infragruppo nella prassi di mercato e la determinazione del valore “normale” rilevante per i prezzi di trasferimento
La pratica di applicare riduzioni di prezzo (o sconti) in favore di soggetti appartenenti al medesimo gruppo è riscontrabile sovente nelle politiche di prezzo dei gruppi multinazionali e nella normale prassi.
Lo sconto è tipicamente concesso in cambio dell’assolvimento di alcune funzioni da parte della consociata, tra le quali – in particolare – la spinta alla vendita dei prodotti. Prezzi più bassi all’acquisto consentono al distributore (infragruppo) di operare sul mercato locale con maggiore competitività commerciale, in particolare qualora l’applicazione di sconti sia pratica ampiamente diffusa nel mercato di riferimento e/o la consociata e/o la casa madre applichino già politiche di sconto nei confronti dei propri clienti – siano essi interni o esterni al gruppo.
L’art. 110, comma 7, del TUIR, nella formulazione attualmente vigente, dispone che i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito.
Nella formulazione vigente negli anni oggetto delle sentenze in commento (2013 e 2014), l’art. 110, comma 7, faceva invece espresso riferimento, per la determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo, al valore “normale” definito dall’art. 9 del TUIR.
L’art. 9 del TUIR prevede che, per la determinazione del valore “normale”, occorre avere riguardo, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, “tenendo conto degli sconti d’uso”, senza eccezioni di sorta e senza distinzioni di natura nominalistica.
La normativa tributaria non prevede quindi alcuna illegittimità degli sconti concessi a società del gruppo.
Tuttavia, le sentenze della Corte di Cassazione n. 7343/2011 e n. 24005/2013 hanno interpretato il riferimento agli “sconti d’uso” di cui all’art. 9 del TUIR in maniera formalistica, per cui devono essere considerati tali unicamente quelli usualmente praticati dal soggetto sui propri listini o sulle proprie tariffe (se esistenti) per le operazioni concluse in condizioni di libera concorrenza, vale a dire per le operazioni economiche concluse con soggetti estranei al gruppo, dovendosi pertanto ritenere esclusi dalla determinazione del valore normale gli sconti concessi in operazioni infragruppo. Di talché, in base a dette sentenze, il valore normale da attribuire alle operazioni infragruppo deve senz’altro tenere conto degli sconti ma solo se gli stessi sono praticati anche a soggetti estranei al gruppo di appartenenza.
L’interpretazione fornita dalle sentenze sopra richiamate non appare applicabile in tutti i casi e fattispecie. L’analisi della conformità degli sconti praticati in favore di consociate (rectius, dei prezzi di vendita praticati) al principio del valore “normale” deve essere svolta, di fatto – prima ancora che alla luce della qualificabilità dei medesimi come “sconti d’uso” – attraverso un’indagine che tenga in considerazione il “ruolo” che tali componenti assumono nella catena del valore di un gruppo, individuando se le riduzioni di prezzo sono effettivamente protese a remunerare funzioni o rischi ulteriori, o comunque diversi, rispetto a quelli assunti dai terzi acquirenti; o sono, diversamente, dovute ad una effettiva differenza nello stadio di commercializzazione in cui le operazioni “confrontate” hanno luogo.
Infatti, a questo proposito, le Linee Guida OCSE, cui il legislatore tributario italiano si è allineato per quanto riguarda la disciplina fiscale dei prezzi di trasferimento infragruppo, ammettono che possa essere riconosciuta al distributore una remunerazione aggiuntiva sotto forma di riduzione del prezzo di fornitura.
In particolare, con riferimento alla remunerazione prevista per i soggetti che svolgono attività di distribuzione, le Linee Guida OCSE 2017 prevedono che “An independent distributor in such a case [ovvero nel caso di svolgimento di attività promozionali e di marketing che generano un beneficio futuro in capo ad altro soggetto del gruppo quale il fornitore del bene] would typically require additional remuneration from the owner of the trademark or other intangibles. Such remuneration could take the form of higher distribution profits (resulting from a decrease in the purchase price of the product), a reduction in royalty rate, or a share of the profits associated with the enhanced value of the trademark or other marketing intangibles, in order to compensate the distributor for its functions, assets, risks, and anticipated value creation” (Linee Guida OCSE, par. 6.78).
L’applicazione di sconti in diminuzione del prezzo (“decrease in the purchase price”), in tali circostanze, è quindi riconosciuta in presenza di un distributore (facente parte di un gruppo) che, nell’espletamento della sua ordinaria attività commerciale, si trova a svolgere anche un’attività promozionale, sostenendo, conseguentemente e in modo diretto, i costi dello sviluppo del mercato in misura superiore agli investimenti di un distributore “indipendente”.
In assenza di obbligazioni contrattuali idonee a prevedere un ristoro dei costi sostenuti per tali attività, deve dunque essere riconosciuta al distributore una remunerazione aggiuntiva sotto forma di riduzione del prezzo di fornitura.
La stessa Amministrazione finanziaria italiana ammette la concessione di sconti infragruppo in simili circostanze, secondo le indicazioni contenute nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 1/E del 15/02/2013. In particolare, il quesito sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione riguardava il riconoscimento da parte di una società italiana di una legittima politica di prezzi di trasferimento basata sugli sconti e protesa a garantire alle proprie controllate estere, incaricate dello svolgimento di un’attività distributiva (cui si affiancava una “imprescindibile funzione di promotion”), una remunerazione minima per tali attività. La risposta fornita, a tal riguardo, rinvia ai generali principi statuiti dalle Linee Guida OCSE, sulla base dei quali – al fine della determinazione del valore normale dei prezzi di trasferimento infragruppo – è sempre necessario tenere in considerazione tutti i fattori di comparabilità tra società appartenenti a gruppi e soggetti indipendenti. Mediante tale richiamo, l’Agenzia riconosce la possibilità di applicare sconti al fine di remunerare le attività ulteriori svolte dalla consociata estera.
E’, quindi, opportuno che una qualsivoglia valutazione sulla congruità degli sconti infragruppo al principio del valore normale sia espressa sulla base di un’accurata analisi economica finalizzata a ponderare l’adeguatezza degli stessi al caso concreto.
Lo sconto concesso ad un’impresa operante in un mercato (quale quello italiano ed europeo) fortemente competitivo sui prezzi, altro non è che uno strumento “commerciale” concesso, e forse addirittura necessario, alla società controllata acquirente per poter competere adeguatamente rispetto ai propri concorrenti. Un margine di sconto in più, può diventare – in tale contesto – il quid “commerciale” che “fa la differenza” rispetto ai competitor.
3. La posizione dei giudici di merito nelle sentenze in commento
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, nelle sentenze in commento, ha accolto i ricorsi della contribuente, annullando i relativi accertamenti ai fini IRES e IRAP.
Preliminarmente, i giudici hanno ritenuto che le argomentazioni dell’Ufficio a supporto della riqualificazione degli sconti, da commerciali a finanziari, fossero viziate di una certa genericità, e prive di argomentazioni circostanziate rispetto a funzioni e rischi rispettivamente assunti dai contraenti di gruppo.
Nel merito, i giudici hanno valorizzato il fatto che i prezzi di trasferimento fossero regolati da un contratto scritto tra le parti, redatto secondo standard di mercato. Non è stata accolta la contestazione dell’Ufficio – non provata – che il contratto non fosse stato oggetto di negoziazione, in quanto è stato ritenuto verosimile che il management della società italiana avesse operato nell’ambito dei propri doveri gestori, alla ricerca della massimizzazione del profitto della società amministrata.
Lo sconto, secondo i giudici, ben può trovare la sua logica – anche infragruppo – in motivazioni di tipo commerciale, come la spinta alla vendita dei prodotti e all’incremento delle quote di mercato, che non possono essere liquidate in via generica. Parimenti, non è rilevante il fatto che la società italiana commercializzi unicamente prodotti a marchio della casa madre estera, e sia l’unica distributrice del gruppo in Italia.
La Commissione ha ritenuto quindi corretta l’affermazione della ricorrente secondo cui la normativa tributaria non prevede alcuna illegittimità degli sconti concessi a società del gruppo che operano in esclusiva, richiamando l’art. 9 del TUIR gli “sconti d’uso” senza eccezioni di sorta.
Nella fattispecie, peraltro, i prezzi di vendita dalla casa madre estera alla consociata italiana, pure al netto degli sconti, sono risultati inferiori ai prezzi minimi quotati sui listini ufficiali, internazionali, dei prodotti oggetto della transazione infragruppo controllata. Dal che si ricava, secondo i giudici, che lo sconto concesso abbia una sua logica per poter competere adeguatamente rispetto ai concorrenti.
Da ultimo, i giudici rilevano che lo sconto commerciale definito in contratto è effettivo ed ha determinato un incremento concreto della base imponibile italiana, circostanza fattuale che toglie – secondo i giudici – senso logico alle argomentazioni dell’Ufficio. Infatti, a prescindere dalla natura dello sconto, è un fatto che lo sconto in argomento sia stato contabilizzato come componente positivo di reddito che ha concorso alla determinazione della base imponibile IRES e IRAP della società ricorrente negli anni oggetto di verifica.
In sintesi, le sentenze in commento confermano la rilevanza degli sconti commerciali praticati in operazioni infragruppo al fine di verificare la conformità dei relativi prezzi di trasferimento ai principi di libera concorrenza, nell’ambito di un’attenta analisi di comparabilità tra operazioni infragruppo e operazioni fra terze parti indipendenti come previsto dalle linee guida dell’OCSE e dell’Amministrazione finanziaria.