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Green Asset Ratio (GAR): ESG e trasparenza nel mondo bancario

8 Maggio 2023

Vincenzo M. Dispinzeri, Partner, Grimaldi Alliance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il c.d. Green Asset Ratio (GAR), ovvero quel KPI (Key Performance Indicator) che indica il rapporto tra gli asset creditizi che finanziano attività allineate alla Tassonomia UE e le attività totali nel bilancio, e che le banche dovranno pubblicare a partire dal 1° gennaio 2024.


[*] 1. Il contesto

I fattori ambientali, sociali e di governance, anche noti come fattori ESG, rappresentano una fondamentale leva di crescita dell’impresa moderna. Non è azzardato affermare che tali fattori contribuiscono a determinare il minore o maggiore grado di attrattività delle imprese per gli investitori, sempre più propensi ad indirizzare la liquidità disponibile verso attività c.d. green.

Tali fattori, in particolare quello contraddistinto dalla lettera E (ossia, come noto, “Environmental”), sono parte integrante della strategia europea di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (GhG) di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1999, al fine di rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050[1].

La lotta al cambiamento climatico, la riduzione delle disuguaglianze, la tutela delle minoranze e la promozione delle diversità, nonché l’adozione di buone prassi di governance, sono tra i principali obiettivi dell’Unione Europea da oltre un decennio.

L’inclusione dei fattori ESG nell’operatività e nella strategia aziendale, di pari passo con la diffusione di una corretta informativa nei confronti degli stakeholders, è stata progressivamente realizzata attraverso l’emanazione da parte del legislatore comunitario di un eterogeneo pacchetto di misure legislative e regolamentari, tra cui la Non-Financial Reporting Directive (“NFRD”) emanata nel 2014[2], la Sustainable Finance Disclosure Regulation (“SFDR”)[3] e gli Orientamenti della Commissione Europea sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario (gli “Orientamenti”) del 2019[4], il Regolamento Tassonomia del 2020 (cfr. infra) e la Corporate Sustainability Reporting Directive (“CSRD”) del 2022[5]. Gli obblighi informativi saranno estesi ad una più ampia platea di destinatari a seguito della prossima entrata in vigore della c.d. Corporate Sustainability Due-diligence Directive (“CSDD”)[6], approvata dalla Commissione nel febbraio 2022.

Il Regolamento UE n. 2020/852, c.d. “Regolamento Tassonomia”, ha introdotto la metodologia da applicare al fine di classificare come ecosostenibili gli investimenti finanziari, ove rispettino determinati requisiti e caratteristiche, definiti agli artt. 6, 7 e 8 dello stesso Regolamento[7].

Con il Regolamento Delegato (UE) n. 2021/2178 (il “Regolamento Delegato”)[8], che ha integrato il Regolamento Tassonomia[9], sono stati precisati il contenuto e la modalità di presentazione delle informazioni che le imprese soggette alla Dichiarazione non Finanziaria (la “DNF“), ai sensi della direttiva NFRD, devono comunicare in merito alle attività economiche ecosostenibili. Il Regolamento Delegato ha specificato gli indicatori di performance (i “Key Performance Indicators” o “KPIs“) attraverso i quali l’informativa deve essere resa, nonché le relative metodologie di calcolo. Tali KPIs sono stati definiti in modo differenziato, a seconda che si rivolgano a imprese finanziarie, imprese non finanziarie, gestori di attività finanziarie, imprese di investimento, banche, imprese di assicurazione e riassicurazione[10]. Il principale di tali KPIs è il Green Asset Ratio (“GAR”) – inteso come rapporto tra attivi creditizi che finanziano attività economiche allineate alla Tassonomia (numeratore) e totale attivo (denominatore) – volto ad includere le informazioni relative alla Tassonomia.

Con il Regolamento Delegato il legislatore comunitario ha inteso fare in modo che investitori e pubblico possano valutare, attraverso la lettura degli specifici indicatori di performance, la quota di attività economiche allineate alla tassonomia svolte o incluse negli attivi delle imprese tenute a pubblicare la DNF.

La diffusione delle informazioni “ESG”, la loro fruibilità e comparabilità in forma di KPIs e la loro condivisione con gli stakeholders e con la collettività in generale costituiscono, da un lato, un incentivo per le imprese a migliorare il proprio profilo di sostenibilità e, dall’altro lato, una leva per fronteggiare il pericolo di “greenwashing. Con la pubblicazione di dati e informazioni regolamentate, diminuisce infatti il rischio di autoproclamazione “green”.

2. Gli Orientamenti della Commissione Europea del 2019 e l’opinion dell’EBA del marzo 2021

La storia dei KPIs ESG inizia nel 2019, quando la Commissione Europea, attraverso gli Orientamenti (cfr. supra nota n. 4) ha raccomandato[11] che le imprese comunichino una serie di informazioni per ciascuno dei cinque ambiti dell’informativa indicati nella NFRD, ovvero:

  1. modello aziendale;
  2. politiche e dovuta diligenza;
  3. risultato delle politiche;
  4. principali rischi e loro gestione;
  5. indicatori fondamentali di prestazione.

In particolare, per ciò che attiene all’ultimo punto (v), la Commissione Europea ha raccomandato alle imprese di dotarsi di indicatori di performance chiave finalizzati a implementare le informazioni oggetto di comunicazione connesse al clima, nonché a consentire l’aggregazione e la comparabilità dei dati tra le imprese a livello dell’Unione Europea.

Negli Orientamenti della Commissione Europea erano riportati alcuni KPIs indirizzati specificamente a banche e altri soggetti finanziari, suddivisi in base alla natura dalle attività svolte: finanziamenti, investimenti, sottoscrizione assicurativa o gestioni patrimoniali[12].

Di particolare rilievo, tra gli indicatori dedicati ai finanziamenti concessi, risultava quello relativo alla percentuale dei prestiti legati ad attività economiche “green, rispetto alle esposizioni totali, qualificabili sulla base della Tassonomia dell’Unione Europea. Tale indicazione ha poi dato vita a quello che nel Regolamento Delegato, tenuto conto dell’Opinion dell’European Banking Authority (“EBA”) del 2021, è diventato il Green Asset Ratio.

Dopo la pubblicazione degli Orientamenti del 2019, la Commissione, al fine di elaborare i KPIs delle banche e delle imprese di investimento, ha chiesto all’EBA di fornire la propria opinione su:

  1. quali informazioni e quali attività finanziarie (investimenti e prestiti) o commerciali (servizi) includere e in che modo allinearle alle attività economiche identificate come ecosostenibili nella tassonomia dell’UE;
  2. quali indicatori alternativi a fatturato, spese in conto capitale (Capex) e spese operative (Opex) utilizzare;
  3. l’adeguatezza del Green Asset Ratio, inteso come rapporto tra attivi creditizi che finanziano attività economiche allineate alla Tassonomia (numeratore) e totale attivo (denominatore), ad includere le informazioni relative alla Tassonomia.

Sulla base di quanto precede, l’EBA ha in primo luogo suggerito di includere nel KPI le attività o i servizi verso controparti o clienti a loro volta obbligati alla disclosure attraverso la Dichiarazione Non Finanziaria ex articolo 8 del Regolamento Tassonomia o, qualora sia possibile, valutare ragionevolmente l’allineamento del loro portafoglio di prestiti o investimenti alla tassonomia mediante l’applicazione dei criteri di screening della Tassonomia. L’EBA ha peraltro ritenuto che alcune esposizioni, come quelle verso le banche centrali, non potessero essere prese in considerazione in questa prima fase.

L’EBA ha poi fatto presente che i KPIs ratio dovrebbero essere sempre misurati in modo coerente; pertanto, le attività escluse dal numeratore dovrebbero essere escluse anche dal denominatore.

L’EBA ha inoltre espresso l’avviso che fatturato, Capex e Opex – e cioè i parametri indicati proposti dall’articolo 8 del Regolamento sulla Tassonomia per le imprese non finanziarie – non debbano essere considerati adeguati per gli enti creditizi. Infatti, secondo l’EBA:

  • il KPI correlato al fatturato non sarebbe rilevante, data la varietà delle controparti e delle attività economiche finanziate dalle banche;
  • le principali fonti di emissioni di gas effetto serra delle banche sono le emissioni di Scope 3[13] provenienti dalle loro controparti, e non le emissioni dirette di Scope 1 o le emissioni di Scope 2 legate al proprio consumo di elettricità, calore o vapore acquistati. Di conseguenza, gli indicatori definiti in termini di Capex o OpEx dedicati agli investimenti o al mantenimento di attività volte a ridurre le emissioni di gas serra Scope 1 e Scope 2 non sarebbero rilevanti nemmeno per gli enti creditizi.

Più in dettaglio, l’EBA ha raccomandato alla Commissione quanto segue:

  • circa il portafoglio bancario, di includere nel Green Asset Ratio tutte le esposizioni nei confronti di società finanziarie e non finanziarie, comprese le PMI, le famiglie e le amministrazioni locali/comuni;
  • di escludere in una prima fase le esposizioni verso amministrazioni pubbliche diverse dai comuni e verso banche centrali, a causa della mancanza di una tassonomia applicabile o di obblighi di informativa standard per tali soggetti;
  • di escludere le attività detenute nel portafoglio negoziazione, data la loro natura volatile e variabile. Gli enti creditizi con un portafoglio di negoziazione significativo, superiore a una soglia minima, dovrebbero peraltro fornire informazioni più dettagliate e granulari sulla percentuale di operazioni assolute (acquisti più vendite effettuate durante il periodo di informativa) su titoli di debito e di capitale relativi a società soggette agli obblighi di informativa NFRD che sono allineati alla tassonomia rispetto al totale delle operazioni su titoli di debito e azionari relativi a società soggette agli obblighi di informativa NFRD;
  • di valutare l’ammissibilità delle obbligazioni sovrane e/o delle esposizioni delle banche centrali in una seconda fase, quando saranno disponibili informazioni affidabili o una metodologia per valutarne l’allineamento tassonomico;
  • per quanto riguarda le banche con filiazioni al di fuori dell’UE, di includere nel loro GAR solo delle esposizioni verso controparti dell’UE, salvo che si tratti di esposizioni creditizie verso controparti non UE che appartengono a settori coperti dalla Tassonomia;
  • circa le esposizioni fuori bilancio, di pubblicare un indicatore chiave di prestazione sulla percentuale di garanzie finanziarie allineate alla tassonomia a sostegno delle esposizioni creditizie e un indicatore chiave di prestazione sulla percentuale di attività gestite allineate alla tassonomia, a titolo di garanzia e società partecipate soggette agli obblighi di informativa NFRD.
  • con riferimento ai proventi da commissioni, di divulgare informazioni sulla parte dei loro servizi diversi dall’erogazione di prestiti e dalla gestione patrimoniale associati con attività economiche che si qualificano come ecosostenibili.

3. Il GAR: come funziona

Il Regolamento Delegato del 2021, che recepisce le Raccomandazioni dell’EBA, introduce definitivamente il GAR, disciplinato dall’Allegato V che ne definisce i caratteri essenziali e le modalità di calcolo e divulgazione.

Il Green Asset Ratio, come anticipato, è un KPI che indica il rapporto tra gli asset creditizi che finanziano attività allineate[14] alla Tassonomia UE, al numeratore, e le attività totali nel bilancio, al denominatore. Secondo lo stesso Regolamento, le banche dovranno pubblicare il rispettivo GAR a partire dal 1° gennaio 2024.

L’obiettivo posto dalle autorità di regolamentazione con l’introduzione del GAR è quello di fornire un KPI di facile comprensione che gli stakeholders – i clienti, gli investitori e le autorità di vigilanza – possano utilizzare per valutare, misurare e confrontare l’allineamento alla Tassonomia dei portafogli – e quindi la sostenibilità – delle banche in un determinato momento.

Le banche dovranno calcolare il Green Asset Ratio tenendo conto delle attività incluse nel proprio consolidamento prudenziale determinato in conformità alle disposizioni di cui al Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. “CRR”).

In tale ambito, il GAR dovrebbe “coprire” le seguenti categorie contabili (i c.d. “Eligible Assets”):

  1. attività finanziarie al costo ammortizzato;
  2. attività finanziarie al fair value rilevato nelle altre componenti di conto economico complessivo;
  3. investimenti in controllate;
  4. joint venture e società collegate;
  5. attività finanziarie designate al fair value rilevato nell’utile d’esercizio e attività finanziarie non per negoziazione obbligatoriamente al fair value rilevato nell’utile d’esercizio;
  6. garanzie immobiliari ottenute dagli enti creditizi mediante presa di possesso in cambio della cancellazione di debiti.

Ciò premesso, il GAR dovrà contenere: a) al numeratore, gli “Aligned Assets, cioè le attività (facenti parte degli Eligible Assets) che finanziano attività economiche allineate alla Tassonomia; b) al denominatore, il totale degli Eligible Assets.

Il Green Asset Ratio dovrà essere poi scomposto nelle seguenti parti.

A. A seconda dell’obiettivo ambientale sottostante la categoria di attività considerata, in linea con l’art. 9 del Regolamento Tassonomia[15], in:

  • mitigazione dei cambiamenti climatici (CCM[16]);
  • adattamento ai cambiamenti climatici (CCA[17]);
  • altre attività ambientali.

B. In base alla controparte o alla natura dell’attività, in:

  • attività di finanziamento rivolte a imprese finanziarie;
  • attività di finanziamento rivolte a imprese non finanziarie (a sua volta distinto in GAR prestiti e anticipi, GAR titoli di debito, GAR partecipazioni);
  • esposizioni immobiliari residenziali, compresi i prestiti per la ristrutturazione di abitazioni;
  • prestiti al dettaglio per l’acquisto di autovetture;
  • prestiti a pubbliche amministrazioni locali per il finanziamento dell’edilizia abitativa e altri finanziamenti specializzati;
  • garanzie immobiliari residenziali e commerciali recuperate e possedute per la vendita.

C. A seconda che si tratti di dati di stock o di dati di flusso (es. nuovi prestiti).

Le banche dovranno quindi calcolare il Green Asset Ratio complessivo, basato sul valore cumulato dei GAR riferiti alle singole categorie sopra elencate sub B).

Sono escluse sia dal numeratore che dal denominatore del GAR le esposizioni verso amministrazioni centrali, banche centrali ed emittenti sovranazionali. Sono invece esclusi solamente dal numeratore i seguenti attivi:

  1. attività finanziarie possedute per negoziazione;
  2. prestiti interbancari a vista;
  3. esposizioni verso imprese che non sono tenute a pubblicare la DNF.

Vanno comunicati – ma non confluiscono nel Green Asset Ratio complessivo – i GAR relativi alle esposizioni fuori bilancio (garanzie finanziarie, attività finanziarie gestite), alle commissioni e compensi riferiti a servizi diversi dalla erogazione di prestiti e al portafoglio di negoziazione.

Il Regolamento Delegato (UE) n. 2022/1214 ha poi previsto l’obbligo di pubblicare anche l’importo e la quota riferiti a talune attività definite dall’Atto Clima, distinguendo tra: i) attività allineate alla tassonomia; ii) attività ammissibili ma non allineate; iii) attività non ammissibili[18].

Il Green Asset Ratio va comunicato secondo specifici template standard introdotti dal Regolamento Delegato n. 2022/1214, che ha modificato il Regolamento Delegato.

Per completezza, va rammentato che nel gennaio del 2022 l’EBA ha pubblicato il final draft dei “Technical standards on the prudential disclosure of ESG risks, confluiti nel Regolamento di Esecuzione (UE) n. 2022/2453 del 30 novembre 2022, volti: i) ad arricchire il contenuto dell’informativa di Terzo Pilastro (cfr. artt. 431 e ss. CRR) attraverso la pubblicazione di informazioni qualitative e quantitative sui rischi ESG, con particolare focus sui rischi climatici; ii) a fornire dati quantitativi sui KPIs relativi alle misure di mitigazione del rischio climatico, includendo a tale riguardo sia il GAR che il Banking Book Taxonomy Alignment Ratio (“BTAR”).

Quest’ultimo, da divulgare solo nell’ambito Pillar 3 e su base volontaria, differisce dal GAR, in quanto il numeratore include anche le esposizioni allineate alla tassonomia nei confronti di società non finanziarie che non rientrano nel campo di applicazione del CSRD (ossia le PMI).

4. Termini

Il Regolamento Delegato ha previsto modalità e tempistiche per la pubblicazione dei KPIs di sostenibilità. Nello specifico, le banche:

  • a partire dal 1° gennaio 2022 e fino al 31 dicembre 2023, dovranno indicare la percentuale sul totale dell’attivo delle esposizioni verso:
    1. le attività non ammissibili e quelle ammissibili alla Tassonomia;
    2. le amministrazioni centrali, le banche centrali, gli emittenti sovranazionali e i derivati;
    3. le imprese che non sono tenute a pubblicare informazioni non finanziarie ai sensi dell’articolo 19, lettera a), o dell’articolo 29, lettera a), della Direttiva 2013/34/UE;
    4. le relative informazioni qualitative. Gli enti creditizi devono inoltre indicare la percentuale del loro portafoglio di negoziazione e dei prestiti interbancari sul totale delle loro attività;
  • a partire dal 1° gennaio 2024, dovranno rendere noto il GAR e la percentuale di garanzie finanziarie a sostegno di strumenti di debito che finanziano attività economiche allineate alla tassonomia, nonché la percentuale di attivi gestiti (strumenti di capitale e di debito) da imprese che finanziano attività economiche allineate alla tassonomia, rispetto al totale degli attivi gestiti (strumenti di capitale e di debito)[19].

Infine, va tenuto presente che, per quanto riguarda l’informativa c.d. di Terzo Pilastro, il Final Report dell’EBA del gennaio 2022 – che come detto indica come integrare il Green Asset Ratio e il BTAR nell’informativa prudenziale al pubblico – prevede un periodo di phase-in fino al giugno 2024 (data di riferimento 31 dicembre 2023) relativamente alle informazioni più complesse in termini di raccolta dati e relativa metodologia di misurazione dei rischi quali, in particolare, quelle relative alla rendicontazione delle emissioni Scope 3 e alla disclosure del GAR e del BTAR.

5. I limiti del Green Asset Ratio

Come tutti i KPIs, il GAR persegue l’obiettivo di promuovere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio attraverso la trasparenza e la comparabilità dell’esposizione delle banche verso attività ecosostenibili.

È infatti verosimile che la disclosure del Green Asset Ratio induca le banche a finanziare le imprese con minori emissioni di gas serra e, più in generale, a preferire le attività “green” a discapito di quelle “brown”, ciò anche in ragione della pressione degli investitori che abbiano interesse/convenienza ad investire in titoli emessi da banche – e in generale emittenti – con maggiore connotazione “green”.

Tuttavia, le esclusioni e il ricorso a processi di stima nella determinazione del GAR rischiano di depotenziarne la significatività in termini di effettiva trasparenza e comparabilità, vanificando l’iniziativa.

Il GAR è incentrato su prestiti e portafogli titoli: da stime effettuate dagli analisti[20], i ratios così determinati coprirebbero circa l’80% delle esposizioni bancarie delle banche dell’UE.

L’attuale composizione del Green Asset Ratio , infatti, esclude i titoli sovrani e la maggior parte delle esposizioni del settore pubblico (sono inclusi solo i prestiti che finanziano progetti di edilizia residenziale pubblica). Va poi considerato che il GAR fa riferimento alla Tassonomia dell’UE per le attività sostenibili, la quale non copre ancora né tutti i settori economici né tutti gli obiettivi ambientali.

Il GAR, inoltre, considera il perimetro di consolidamento prudenziale della banca segnalante, escludendo, ad esempio, tutte le attività assicurative.  Le partecipazioni regolamentari non consolidate si rifletterebbero nel GAR solo come investimenti azionari.

Sono, inoltre, escluse le esposizioni a breve termine, che si ritiene non contribuiscano ad attività sostenibili a lungo termine, e le esposizioni volatili – come prestiti interbancari a richiesta, le esposizioni verso le banche centrali, i derivati e i titoli del portafoglio trading e le attività off-balance sheet.

Del pari, come già sopra precisato, sono esclusi dal numeratore del Green Asset Ratio : i) le attività finanziarie possedute per negoziazione; ii) i prestiti interbancari a vista; iii) le esposizioni verso imprese che non sono tenute a pubblicare la DNF.

La significatività dell’indicatore risentirebbe infine del rischio di possibili arbitraggi nella identificazione del perimetro all’interno del quale selezionare le attività green: si pensi alle classificazioni opportunistiche o alla possibile dislocazione di attività “brown” al di fuori del perimetro regolamentare. Le banche con ampie percentuali di attività non allineate alla Tassonomia potrebbero infatti cercare di trasferire le attività in entità al di là del perimetro regolamentare, ad esempio verso parent companies assicurative o veicoli di cartolarizzazione. Parimenti, le banche potrebbero cercare di imputare attività “brown” all’interno di portafogli non rientranti nel GAR, come quelli afferenti alle attività del settore pubblico.

Un ulteriore punto di vulnerabilità è dato dal c.d. sustainability data gap: il 30% delle attività incluse nel GAR, sarebbe infatti frutto di processi di stima e di approssimazione, dovuto alla scarsità di dati ESG.

Per far funzionare il GAR, le banche necessiteranno di acquisire dati di dettaglio dai clienti finanziati e dalle controparti emittenti, atteso che le loro principali emissioni di GhG sono “Scope 3” e cioè quelle generate da prenditori di fondi e controparti.

Sul punto va considerato che, mentre le large corporate dell’UE soggette alla NFRD pubblicano le loro informazioni relative alla Tassonomia, le PMI, in gran parte estranee all’obbligo di pubblicare la DNF, potrebbero trovare difficoltà che si tradurrebbero una discriminazione economica a loro danno.

Ancor più problematica appare la posizione delle banche con significative esposizioni verso controparti non UE, i cui dati andrebbero stimati sulla base di “best effort”.

Le sinergie tra Tassonomia, CSRD e informativa del Terzo Pilastro, seppur esistenti, non sembrano idonee a colmare il gap informativo, anche a causa dell’esiguo numero delle imprese tenute a pubblicare la DNF, nonostante il prossimo ampliamento della platea che sarà conseguente all’applicazione della nuova CSRD. La stessa redazione della DNF, peraltro, sconta difficoltà nel reperire informazioni adeguate da parte delle imprese destinatarie della NFRD/CSRD.

In ogni caso, l’introduzione del Green Asset Ratio pone numerose sfide operative per le banche europee. In primo luogo, esse dovranno considerare il GAR come uno strumento chiave per la gestione delle politiche di engagement con gli stakeholders. In tal senso il GAR avrà implicazioni sia per le politiche di bilancio che per la strategia dell’impresa, avendo particolare rilevanza per il costo di finanziamento delle banche e per il rating del credito.

Nonostante ciò, le prime rilevazioni ci dicono che c’è parecchia strada da percorrere: l’EBA, in un report pubblicato nel maggio 2021, considerando un campione di 29 banche dell’UE, ha stimato un GAR medio del sistema europeo pari al 7,9%[21]. Tale dato appare condizionato dai limiti attuali della configurazione del Green Asset Ratio, come sopra commentati – in primis la struttura e la parziale copertura dell’indicatore, connotato da ampie esclusioni – ma anche dalle attuali limitazioni nell’ambito di applicazione della Tassonomia UE (alcuni settori e obiettivi ambientali non sono ancora inclusi nell’ambito di applicazione della normativa) e dalla limitata disponibilità di dati, che potrebbe tra l’altro tradursi in un massivo ricorso a valutazioni esterne, cha a sua volta potrebbe minare la comparabilità delle informazioni fornite dagli istituti finanziari.

6. Dalla trasparenza ai requisiti patrimoniali: il Green Supporting Factor e il Brown Penalizing Factor

Nei paragrafi che precedono abbiamo trattato la trasparenza[22] come incentivo verso la transizione ecologica, anche nel mondo bancario.

In parallelo all’introduzione del Green Asset Ratio, si è dibattuto sulla possibilità e utilità di incentivare la transizione ecologica anche attraverso requisiti patrimoniali a carico delle banche.

I requisiti prudenziali, nella loro forma attuale, non colgono i nuovi rischi finanziari legati alla transizione ecologica e, per altro verso, non incentivano le banche ad aumentare i finanziamenti verso attività e progetti green e non contemplano meccanismi di penalizzazione per le banche che sostengono attività c.d. brown.

Al fine di adeguare gli strumenti di vigilanza prudenziale ai summenzionati rischi e favorire l’afflusso di capitale bancario verso attività green sono state ipotizzate diverse soluzioni, sia a livello microprudenziale sia a livello macroprudenziale.

A livello microprudenziale, gli interventi proposti mirano ad una revisione dei coefficienti di ponderazione associati al rischio di credito derivante dal finanziamento di attività non legate alla transizione ecologica.

Infatti, tali attività potrebbero diventare, in prospettiva, più rischiose in quanto soggette, tra l’altro, a minori investimenti tecnologici, ad evoluzioni di mercato negative e ad aumento dei costi di produzione.

A livello macroprudenziale, le misure ipotizzate sono invece, in prima battuta, finalizzate a ridurre le esposizioni del sistema finanziario nei confronti di settori o aree geografiche caratterizzati dalla prevalenza di attività brown o soggetti a maggiori rischi ambientali.

Tra gli strumenti proposti – alcuni dei quali sembrano costituire una replica di quelli già introdotti a seguito della crisi finanziaria del 2007-2008 – sono inclusi: (i) buffer di capitale superiore per gli enti creditizi esposti in misura prevalente verso attività valutate come non sostenibili; (ii) limiti di leva finanziaria e di concentrazione; (iii) un coefficiente della riserva di capitale anticiclica legato all’andamento del rapporto tra finanziamenti brown e PIL.

Le misure evidenziate, sia a livello microprudenziale sia a livello macroprudenziale, si concentrano sull’obiettivo di ridurre il livello di rischio (di credito, di controparte, di transizione etc.) delle istituzioni finanziarie legato alla concessione di finanziamenti non considerati come green o indirizzati a settori economici valutati come meno inclini alla transizione ecologica.

Tuttavia, come facilmente riscontrabile, tale approccio persegue il solo obiettivo di riduzione dei rischi ai quali sono tradizionalmente associate le banche, non favorendo o incentivando l’afflusso di capitali verso attività e progetti green.

Ciò non vuole dire, in ogni caso, che le attività green siano meno esposte a rischi di insolvenza o che le banche, anche a fronte di interventi disincentivanti di natura prudenziale, siano meno propense a concedere prestiti a società o settori ad impatto ambientale negativo.

Al fine quindi di aumentare i volumi di finanziamenti green – che costituiscono per le banche, come già detto, anche un elemento essenziale nel calcolo del GAR e nella predisposizione della DNF – è stata ipotizzata l’applicazione di specifici requisiti patrimoniali green c.d. differenziati (c.d. Green Differentiated Capital Requirements – “GDCR”).

Tali requisiti costituiscono potenzialmente uno degli strumenti per favorire ed incentivare il finanziamento di attività eco-sostenibili, eventualmente anche attraverso il collegamento ai criteri previsti dal c.d. Regolamento Tassonomia o attraverso la predisposizione di un Green Loan standard europeo[23] – speculare a quello attualmente in fase di discussione in sede comunitaria per i Green Bonds.

Essi assumono due forme: il Green Supporting Factor e il Brown Penalizing Factor.

Il GSF riduce la ponderazione del rischio sui prestiti verdi, mentre il BPF aumenta la ponderazione del rischio sui prestiti “sporchi”.

I GDCR rendono quindi i prestiti verdi più convenienti dei dirty loans, incentivando le banche a:

  • fornire più prestiti verdi rispetto a quelli “sporchi”;
  • aumentare i tassi di interesse sui prestiti “sporchi” rispetto a quelli dei prestiti verdi.

Ciò può contribuire alla riduzione delle emissioni e di altri effetti negativi sull’ambiente, rendendo i rischi fisici più bassi nel medio-lungo periodo. Accelerando la decarbonizzazione del sistema finanziario (intesa quale contributo alla decarbonizzazione dei soggetti e/o dei settori finanziati), i GDCR possono anche rendere il sistema finanziario complessivo più resiliente alle esternalità negative derivanti dalla transizione climatica.

Le applicazioni pratiche dei GDCR possono essere varie e di diversa intensità.

Tra quelle più interessanti, anche tenuto conto delle recenti proposte di revisione della Direttiva UE sulle performance energetiche degli edifici[24], vi è quella di prevedere un GSF collegato al finanziamento di interventi di ristrutturazione e miglioramento energetico del patrimonio edilizio europeo.

Il settore edilizio, infatti, rappresenta una sfida importante nei piani di conseguimento della carbon neutrality, essendo allo stato attuale responsabile di oltre un terzo delle emissioni di CO2.

L’introduzione di un GSF legato al finanziamento di immobili “green – analogamente a quanto già previsto dall’art. 501bis, comma 1, lett. o), del CRR II per alcune specifiche esposizioni – consentirebbe alle banche di liberare risorse finanziarie (che con coefficienti di ponderazione più elevati non potrebbero essere rese disponibili) e ai soggetti finanziati di rinnovare il proprio patrimonio immobiliare a condizioni economiche più favorevoli (i tassi applicabili sono infatti influenzati dai coefficienti di ponderazione associati alle tipologie di finanziamento).

Attraverso questo meccanismo sarebbero peraltro coniugati l’approccio microprudenziale e quello macroprudenziale, favorendo un approccio integrato alla riduzione del rischio sistemico legato alla transizione ecologica.

7. Pro e contro dei requisiti prudenziali green

Contestualmente alle riflessioni in corso nel mondo bancario, si sono mosse le Autorità di Vigilanza per valutare se e come introdurre i GDCR nell’ambito del Primo Pilastro.

La questione è al vaglio dell’EBA dovrà consegnare una relazione sull’argomento alla Commissione Europea entro il 2023 allo scopo di tracciare il percorso per possibili interventi legislativi. Proprio al fine di redigere la citata relazione per la Commissione Europea, l’EBA ha pubblicato il 2 maggio 2022 un discussion paper dal titolo “The role of environmental risks in the prudential framework” per tastare il polso del mercato e coinvolgere i diversi players a fornire opinioni e spunti in merito ad una possibile implementazione delle tematiche ESG anche nei meccanismi di Primo Pilastro.

Dalle analisi dell’EBA emergono talune criticità, tra cui: i) il fatto che i rischi ambientali sono ad oggi difficilmente misurabili, non si basano su dati storici e non sono ciclici come i rischi finanziari e, quindi, è difficile effettuare delle stime (che sono alla base del sistema di calcolo dei rischi di Primo Pilastro); ii) la mancanza di dati affidabili sui rischi ambientali.

Oltre alle criticità preliminari appena rappresentate, il nocciolo della questione riguarda proprio l’introduzione dei GDCR oppure se non sia possibile trattare le esposizioni verdi e/o dannose per l’ambiente nell’ambito dell’attuale quadro prudenziale, apportando semplicemente delle modifiche ai rischi già esistenti nell’ambito del Primo Pilastro.

L’introduzione di un requisito specifico ed un trattamento prudenziale ad hoc secondo l’EBA potrebbe comportare alcuni effetti collaterali, come il riorientamento dei prestiti principalmente verso clienti green, che potrebbe generare a sua volta conseguenze non volute, tra cui ad esempio il fatto che: i) le banche potrebbero concentrarsi in via privilegiata nel rispetto del requisito prudenziale ambientale al solo scopo di ottenerne i relativi benefici e sconti, diminuendo così l’attenzione sul perseguimento dell’adeguatezza e dell’efficienza degli strumenti prudenziali tradizionali, i quali sono volti a garantire obiettivi di sicurezza, solidità e stabilità del sistema finanziario; ii) un requisito ambientale ad hoc potrebbe spingere i capitali principalmente verso le attività verdi causando l’accumulo di rischi di finanziamento presso controparti ancora economicamente poco competitive e prive di strategie credibili a lungo termine; iii) potrebbero crearsi limitazioni ai finanziamenti delle imprese operanti in settori dannosi per l’ambiente, il che al contempo vanificherebbe anche la possibilità per queste imprese “brown” di attuare una transizione green a causa di tale stretta al credito.

Secondo l’EBA, quindi, il rischio ambientale può essere considerato non tanto come nuovo rischio a sé stante, quanto un driver di rischi che, condotti attraverso vari canali di trasmissione, si tramutano in categorie di rischio già conosciute, classificate e – per quanto riguarda l’UE – trattate nell’ambito del CRR.

Si pensi, ad esempio all’art. 501-bis, comma 1, lett. o), del CRR (II) che, a proposito del rischio di credito riferito alle esposizioni verso PMI che gestiscono impianti, sistemi e reti, o sostengono servizi pubblici essenziali, consente l’applicazione di un fattore di demoltiplicazione se il progetto finanziato contribuisce a obiettivi ambientali. Nel progetto di CRR III[25], tale impostazione viene mantenuta e rafforzata tramite il raccordo con i requisiti di cui all’art. 9 del Regolamento Tassonomia.

Più in generale, poi, l’attuale impianto prudenziale conosce già meccanismi che consentono l’inclusione di nuovi fattori di rischio come quelli legati ai rischi ambientali, ad esempio tramite rating esterni, modelli interni o la valutazione delle garanzie[26]. Le tematiche afferenti ai rischi ESG sono poi richiamate sia con riferimento alla formulazione del RAF, sia con riferimento agli stress test in ambito ICAAP.

In tale prospettiva una possibile strategia regolamentare potrebbe essere quella di utilizzare l’attuale impianto – rafforzato se del caso con strumenti quali le due diligence[27] adattando taluni istituti quale quello del limite al rischio di concentrazione, che potrebbe essere arricchito con un limite relativo a rischi ambientali (riferito ad esempio a determinate aree geografiche e/o settori).

Un approccio “conservativo” consentirebbe di limitare il possibile “double gearing sugli stessi rischi, che porterebbe ad una rarefazione del capitale disponibile da parte delle banche (cfr. infra). Tale approccio tenderebbe invece ad enfatizzare il ruolo delle misure di Pillar 2 (il processo di revisione e valutazione prudenziale e le prove di stress nel c.d. “SREP”) e di Pillar 3 (cfr. supra)[28] come fattore chiave per un efficiente sostegno alla transizione ecologica, evitando i costi, impliciti ed espliciti, che potrebbero rivenire dai GDCR.

Dalle prime analisi basate su modelli quantitativi, l’efficacia dei GDCR sembrerebbe infatti scontare talune incertezze. Per quanto apparentemente paradossale, è stato infatti rilevato che in talune circostanze il BPF può limitare la crescita dei “green loans. Per contro, il GSF può, talvolta, determinare l’incremento dei volumi di “dirty loans”, atteso che il capitale reso disponibile dal GSF verrebbe convogliato verso il prestito marginale, che potrebbe anche essere “sporco”.

Inoltre, vanno considerate due circostanze opposte:

  • in presenza di capitale bancario disponibile e ampio, non è detto che le banche decidano di preferire i “green loans” piuttosto che i “brown loans”, finanziariamente più redditizi, prescindendo dal loro valore sociale negativo;
  • quando il capitale bancario è scarsamente disponibile, invece, per indurre le banche a non finanziare i “dirty loans” potrebbe essere necessario abbassare i requisiti patrimoniali a fronte dei “green loans” al di sotto del livello prudenzialmente ottimale, compromettendo così la stabilità finanziaria.

In ogni caso, i BPF potrebbero nell’immediato tradursi in una riduzione dell’indice di adeguatezza patrimoniale, portando a una contrazione del credito.

L’uso di GDCR, poi, potrebbe indurre le banche a ridurre la loro esposizione verso imprese (ma anche famiglie) vulnerabili al rischio climatico e ad applicare tassi di interesse più elevati sui dirty loans, con conseguente peggioramento della loro capacità finanziaria e della loro solvibilità – e quindi con un aumento delle posizioni deteriorate in capo alle banche.

Il GSF potrebbe inoltre incentivare il finanziamento di progetti basati su tecnologie innovative, prive di una storicità che ne consenta una piena valutazione dal punto di vista delle prospettive reddituali e finanziarie, con il rischio di generare perdite in capo ai finanziatori.

Da questo punto di vista va considerato che la corretta determinazione del rischio ambientale sconta oggi una certa scarsità di dati (il c.d. sustainable data gap) e, d’altro canto, è in generale molto difficile quantificare i rischi ambientali. Ciò alla luce dell’evidenza empirica secondo cui i rischi ambientali del passato non sono una buona guida per il futuro.

In tale quadro, non va sottovalutato il rischio di arbitraggio regolamentare, si pensi al possibile utilizzo di schemi di shadow banking (come la cartolarizzazione, quale strumento per deconsolidare dirty loans).

La conclusione alla quale si perviene è che i GDCR possono essere più efficaci seguendo un approccio olistico, nel quale combinare requisiti patrimoniali, attività di supervisione, disclosure, misure organizzative.

 

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[*] Con il contributo di: Camilla Colucci e Giovanni Venezia (Circularity), Ugo Vigna, Nicolò Visinoni, Paolo Iannelli, Fabrizia Pellone, Marzia Martinoli, Giulia Lovaste, Alejandra Vargas Legro, Donatella de Lieto Vollaro (Grimaldi Alliance).

[1] Cfr. “Piano Fit for 55”, pacchetto di proposte legislative volte a contenere l’aumento del riscaldamento globale nel limite, stabilito dagli Accordi di Parigi del 2015, di 1,5° rispetto al periodo pre-industriale.

[2] La Direttiva n. 2014/95/EU, c.d. “Non Financial Reporting Directive”, che ha modificato la Direttiva n. 2013/34/EU sui bilanci di esercizio e consolidati, estendendo l’obbligo di reporting sulle tematiche sociali e ambientali.

[3] Regolamento UE n. 2019/2088 del 27 novembre 2019.

[4] Comunicazione della Commissione del 20 giugno 2019 – Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario: integrazione concernente la comunicazione di informazioni relative al clima.

[5] Direttiva n. 2022/2464/EU del 14 dicembre 2022.

[6] Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la Direttiva n. 2019/1937/EU.

[7] Il Regolamento Tassonomia è stato integrato dal Regolamento Delegato (UE) n. 2021/2139 (c.d. “Atto Clima”), che ha fissato i criteri per determinare se e a quali condizioni un’attività economica contribuisca in modo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici o all’adattamento ai cambiamenti climatici e se non arrechi un danno significativo a nessun altro obiettivo ambientale.

[8] Come modificato dal Regolamento Delegato (UE) n. 2022/1214 del 9 marzo 2022.

[9] In data 5 aprile 2023, la Commissione Europea ha pubblicato e posto in consultazione (fino al 3 maggio 2023) la nuova proposta di Regolamento Delegato di definizione dei quattro obiettivi ambientali di completamento della disciplina della Tassonomia ambientale. Il nuovo Regolamento, che andrà ad integrare il Regolamento (UE) n. 2020/852, stabilisce i criteri tecnici di selezione per determinare le condizioni alle quali un’attività economica può contribuire in modo sostanziale a uno o più dei seguenti obiettivi ambientali: (i) uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine; (ii) transizione verso un’economia circolare; (iii) prevenzione e riduzione dell’inquinamento; (iv) protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

[10] Il presente contributo prende in esame esclusivamente i KPI degli enti creditizi, nello specifico il Green Asset Ratio.

[11] Gli Orientamenti del 2019 sono stati quindi richiamati nel 22mo considerando del Regolamento Tassonomia.

[12] La valutazione dei rischi ESG nel settore bancario – e quindi la relativa disclosure – non costituisce invero una novità. Cfr. infra nota 28.

Anche gli istituti di credito rientrano infatti nell’ambito di applicazione della NFRD e sono quindi tenuti alla pubblicazione della DNF, laddove rientranti nei previsti parametri dimensionali. Inoltre, le banche con titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato sono tenute, ai sensi dell’art. 449-bis del Regolamento UE n. 575/2013, a pubblicare informazioni relative ai rischi ambientali, sociali e di governance, compresi i rischi fisici e i rischi di transizione, nell’ambito della c.d. informativa di “terzo pilastro”.

[13] In base alle linee guida internazionali di reporting stabilite dal GhG Protocol, per “Scope 1” si intendono le emissioni dirette, per “Scope 2” le emissioni indirette da consumo energetico e per “Scope 3” le altre emissioni indirette derivanti dalle attività a monte e a valle della catena di valore, dovute all’acquisto di beni e servizi, alla produzione di rifiuti e ai trasporti. Cfr. https://ghgprotocol.org per il monitoraggio e la divulgazione delle informazioni relative alle emissioni di Scope 1, Scope 2 e Scope 3.

[14] Nel Regolamento Tassonomia si distinguono:

  • attività ammissibili (eligible), ovvero le attività incluse negli atti delegati pubblicati dalla Commissione Europea ai sensi degli articoli 10(3), 11(3), 12(2), 13(2), 14(2) e 15(2) del Regolamento Tassonomia;
  • attività allineate (aligned), ovvero quelle attività economiche che rispettano tutti i criteri di vaglio tecnico indicati negli atti delegati, contribuendo ad almeno uno degli obiettivi ambientali dell’UE e non arrecando danno significativo a nessuno degli altri obiettivi (art. 3 del Regolamento Tassonomia e Atto Clima – cfr infra nota 18).

[15] Ai sensi dell’art. 9 del Regolamento Tassonomia, s’intendono per obiettivi ambientali: a) la mitigazione dei cambiamenti climatici; b) l’adattamento ai cambiamenti climatici; c) l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; d) la transizione verso un’economia circolare; e) la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; f) la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

[16] Cfr. Regolamento Delegato n. 2021/2139 – Atto Clima.

[17] Ibidem.

[18] In base all’Atto Clima, sono “attività ammissibili” quelle riferite a settori economici e singole attività descritte nello stesso Atto Clima e coperte dalla tassonomia sulla base del loro potenziale di contribuire ai due principali obiettivi climatici (mitigazione e adattamento) senza arrecare un danno significativo agli altri obiettivi ambientali. Sono “attività allineate” le attività economiche ammissibili che rispettano le condizioni di ecosostenibilità fissate dal Regolamento Tassonomia e specificate dai criteri di vaglio tecnico dell’Atto Clima.

[19] Le imprese non finanziarie, invece:

  • dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022, devono indicare la percentuale di attività economiche ammissibili e non ammissibili alla tassonomia nel loro fatturato totale, le spese di capitale e operative (Capex e OpEx) e le relative informazioni qualitative;
  • dal 1° gennaio 2023, dovranno divulgare i KPIs relativi al fatturato, alle spese di capitale (Capex) e alle spese operative (Opex) in relazione alle attività allineate e ammissibili alla tassonomia.

[20] Stime di Fitch Ratings, maggio 2021.

[21] Cfr. EBA Report 2021/03. Report – Advice to COM_Disclosure Article 8 Taxonomy.pdf (europa.eu).

[22] Trasparenza e requisiti patrimoniali sono due dei tre pilastri del c.d. Accordo di Basilea: il terzo è rappresentato dai controlli di vigilanza.

[23] Cfr. la recente iniziativa dell’EBA con la “Call for advice to the European Banking Authority on green loans and mortgage.

[24] Direttiva (UE) 2018/844, c.d. Direttiva “EPBD“.

[25] Si tratta, in particolare, della “Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto concerne i requisiti per il rischio di credito, il rischio di aggiustamento della valutazione del credito, il rischio operativo, il rischio di mercato e l’output floor”, del 27 ottobre 2021 – COM(2021) 664 final 2021/0342 (COD).

[26] Cfr. Loan Origination and Monitoring dell’EBA – par. 7.208.

[27] EBA Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms – EBA/rep/2021/18.

[28] L’art. 449-bis del CRR 2 ha previsto che, a decorrere dal 28 giugno 2022, i grandi enti soggetti all’applicazione della CRR che hanno emesso titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di qualsiasi Stato membro pubblichino informazioni relative ai rischi ambientali, sociali e di governance. In attuazione del mandato contenuto nel CRR, nel gennaio 2022, l’EBA ha pubblicato l’Implementing Technical Standard (ITS) relativo alla disclosure di Terzo pilastro sui rischi ESG. In prospettiva, va altresì̀ considerato che nella proposta della Commissione Europea di aggiornamento del CRR è previsto che tale obbligo di disclosure venga esteso a tutti gli enti, inclusi quelli di minori dimensioni. Pertanto, anche gli intermediari che attualmente non rientrano nell’ambito di applicazione previsto dall’art. 449-bis del CRR saranno chiamati a pubblicare nell’informativa di Terzo Pilastro i rischi connessi con i cambiamenti climatici ritenuti materiali nell’ambito di un orizzonte temporale di medio lungo periodo, tenendo conto del principio di proporzionalità̀.

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