Il presente contributo analizza il tema concernente alla possibile qualificazione, in termini di false comunicazioni sociali, di comunicazioni oggetto di reporting ai sensi del quadro normativo sulla sostenibilità (Regolamento SFDR, Regolamento Tassonomia o Direttiva CSRD).
La necessità di un sistema
In questo breve contributo si vuole trattare di un episodio accidentale (l’applicazione del reato di false comunicazioni sociali) agli obblighi informativi previsti dalla CSRD (Direttiva 2013/34/UE come modificata dalla Direttiva (UE) 2022/2464, Corporate Social Responsability) per esplorare il tema più ampio dell’approccio dell’UE ai modelli di normazione in tema di sostenibilità e dell’esigenza di elaborare un sistema normativo unico in materia.
La direttiva CSRD, indubbiamente, rappresenta il primo momento di sistematizzazione della materia, ma pone un primo e non secondario tema dell’applicazione della disciplina delle false comunicazioni sociali (art. 2621 -2622 c.c.) alla reportistica non finanziaria alla quale, in futuro, imprese e operatori finanziari saranno in modo più pervasivo obbligati.
… per un’armonia necessaria
Il quesito, in modo intuitivo e semplice, è il seguente: una comunicazione falsa o incompleta relativamente ad uno degli innumerevoli dati e informazioni a cui le imprese o gli intermediari finanziari sono chiamati a fare reporting (vuoi ai sensi del Regolamento SFDR [1] (artt. 3 e 4), ai sensi del Regolamento Tassonomia [2] (art. 8) o ai sensi della stessa CSRD) può determinare l’applicazione del reato di false comunicazioni sociali?
Il quesito non è di poco conto: non solo per la tipologia di sanzione associata alla fattispecie (penale, appunto), ma anche per l’ampiezza dei possibili autori del reato: non solo il consiglio di amministratori, ma anche i dipendenti preposti all’elaborazione del dato (e anche le piccole e medie imprese nel disegno della CSRD).
La norma penale prevede che “fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni”.
Esistono poi le ipotesi c.d. attenuate del fatto di lieve entità (articolo 2621 bis c.c.) e la non punibilità per i fatti di particolare tenuità (articolo 2621 ter c.c.).
La posizione di letteratura sul tema nella vigenza della NFRD
In passato, nella vigenza del d.lgs. 254/2016 (di attuazione della Direttiva 2014/95/EU, Non-Financial Reporting Directive, NFRD) la posizione della letteratura, se o meno le informazioni non finanziarie potessero rientrare nell’ambito di applicazione della disposizione penale, aveva già previsto prevalere, in parte, opinioni di segno positivo.
Questa prima conclusione veniva fondata sulla base della clausola di salvezza contenuta nell’apparato sanzionatorio del D. Lgs. 254/2016 che, nel comminare le sanzioni amministrative per informazioni omesse o false, faceva salva l’applicazione di fattispecie di reato più gravi, per poi affermare che solo le informazioni materiali e rilevanti fornite od omesse potevano dar vita alla fattispecie penale dell’articolo 2621 c.c.
Nell’indagine, conclusiva, relativa a se e quali informazioni non finanziarie potessero dar vita ad un’ipotesi di reato, la letteratura affermava una generica rilevanza, in ogni caso, del carattere materiale e rilevante dei temi c.d. ESG.
Si riconosceva, tuttavia, un limite all’operatività nel concreto della norma penale (oltre i profili soggettivi) nella circostanza che l’informativa non finanziaria dovesse, in qualche termine, riverberarsi, nella situazione patrimoniale, finanziaria od economica dell’impresa.
Gli arresti prevalenti della dottrina si potevano, quindi, sintetizzare nel pensiero di chi ritiene che “possano rientrare nell’ambito di applicazione degli artt. 2621-22 esclusivamente le rappresentazioni di fatti dotati di un significato economico in grado di incidere (appunto) sul valore dell’impresa […]. Viceversa, l’indicazione da parte di un’azienda, per fare un esempio, dei consumi energetici e delle emissioni di CO2, dei rifiuti prodotti e dei metodi di smaltimento utilizzati, dei criteri di gestione dei dipendenti adottati e dei meccanismi di incentivazione, se pur comunica ai soci e al pubblico l’impatto prodotto su ambiente e società, meno potrebbe esprimere in una prospettiva prettamente economica in quanto informazione la cui esatta conoscenza da parte dei soci, dei creditori o dei terzi contraenti non si porrebbe in relazione, se non forse solo indirettamente, con la tutela dei rispettivi interessi patrimoniali” [3].
Dunque, la posizione prevalente era nel senso che solo le informazioni non finanziarie aventi un impatto sui dati economici, patrimoniali e finanziari della società potessero superare la soglia di materialità e rilevanza in modo da determinare l’applicazione della sanzione penale, rispetto a quella amministrativa.
La rilevanza delle informazioni non finanziarie o sulle questioni di sostenibilità nell’enterprise value: estensione dell’ambito penale e necessità di sistemazione normativa.
L’attuale quadro normativo relativo ai fattori ESG (o questioni di sostenibilità, per mutuare le definizioni della CSRD) e la stessa evoluzione culturale e sociale [4], inducono a interrogarsi se la conclusione raggiunta nel sistema normativo previgente debba essere rivista.
In senso positivo militano almeno due argomenti.
Il primo riguarda la natura e il tipo delle informazioni qualitative che la nuova direttiva richiede alle società (es. sulla strategia di investimento sulle questioni di sostenibilità). Passando da una dimensione “statica” dell’impatto (presente) dei fattori ESG di un’impresa, nell’ambito della NFRD, ad una visione dinamica della posizione dell’azienda sui temi della sostenibilità in generale (clima, società, governance, ma anche adeguamento normativo), nella CSRD, risulta difficile negare che un’informazione fuorviante su un dato oggi così rilevante non si riverberi sull’apprezzamento del futuro valore dell’impresa e, quindi, abbia un impatto sui dati patrimoniali, economici e finanziari.
Il secondo argomento considera l’impatto che la gestione dei rischi climatico-ambientale ha sulla situazione finanziaria, economica e patrimoniale della società, come anche testimoniato, dagli orientamenti espressi dalle Autorità di Vigilanza finanziarie che, sul tema, individuano dei precisi canali di trasmissione tra rischio climatico e ambientale e posizione finanziaria, patrimoniale ed economica anche sulla base del dato normativo dell’articolo 449 a CRR [5].
Primo tema sistematico: la normativa penale e le clausole generali di materialità e rilevanza.
Se dunque nell’attuale contesto socio-normativo le informazioni non finanziarie e sulle questioni di sostenibilità sono, pressoché tout court, capaci di avere un impatto sulle condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali di un’impresa, il tema della loro materialità e rilevanza assume importanza capitale per determinare l’applicazione della sanzione penale (articoli 2621 – 2622 c.c.) o di quella amministrativa (cfr. art. 8, D. Lgs. 254/2016).
Come infatti osservato, la fattispecie penale richiede, oltre alla presenza dei requisiti soggettivi e dell’arricchimento, che le informazioni false e omesse siano materiali e rilevanti.
Nell’applicazione della normativa penale, il ricorso ad una clausola generale (di materialità e rilevanza) pone non pochi problemi di coerenza con il principio di legalità e precisione delle norme: questo anche alla luce del sistema sanzionatorio penale nelle quattro disposizioni degli articoli, 2621, 2621 bis, 2621 ter e 2622 del codice civile.
Le disposizioni, come accennato, prevedono diverse soglie di pena a seconda che il fatto sia posto in essere da una società quotata o non (articolo 2621 e 2622 c.c.) e una riduzione di pena se il fatto ha lieve entità (articolo 2621 bis c.c. [6]) o la non punibilità dei fatti di reato (articolo 2621 ter c.c.) nei casi di particolare tenuità del fatto secondo un’analisi ancorata all’ “entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori”.
Il sistema di tutela penale pone, quindi, un livello di applicazione assai problematico e incerto alla luce del criterio di necessaria determinatezza della fattispecie: materialità e rilevanza, da un lato, lieve entità e particolare tenuità, dall’altro lato, non forniscono indicazioni sicure su quando e in che misura la soglia di rilevanza penale sia superata.
Secondo tema sistemico: normativa per standard a livello regolamentare e normativa penale per principio.
Spostando (verso il basso) l’analisi della fattispecie, il dubbio interpretativo appena citato potrebbe essere risolto sulla base della normativa “civilistico – finanziaria” di riferimento.
In altri termini, la rilevanza e la materialità dell’informazione omessa o errata potrebbero apprezzarsi qualora tali “qualità” delle informazioni risultassero, in modo sufficientemente chiaro e univoco, dalla normativa in materia di informazioni non finanziarie.
Se, per esemplificare ulteriormente il concetto, all’interno della normativa della CSRD, SFDR o del Regolamento Tassonomia fosse possibile enucleare informazioni “rilevanti o materiali” da quelle che non lo sono, la fattispecie penale potrebbe superare (non senza qualche difficoltà) il vaglio costituzionale della sufficiente determinatezza della fattispecie. In caso contrario, la disposizione penale resta di complicata applicazione.
A tale quesito, tuttavia, sembra doversi dare una risposta negativa basata, più che altro, su un tema di impostazione sistematica e di modello di redazione delle norme.
Passando, in brevissima rassegna, i tre corpi normativi sopra citati, si osserva come questi si compongono in alcune norme di portata più generale (non principi generali, tuttavia, quanto declinazione di concetti economico aziendalistici) e di una serie molto corposa di standard tecnici.
Così, il corpo della CSRD vede agli articoli 19 bis e 29 bis informazioni di livello assai generale (come le strategie sulle questioni di sostenibilità e contenimento del rischio climatico) che, in sé, sono sicuramente materiali e rilevanti, ma non indicano quale falsità, omissione o “deviazione” da un documento programmatico possa importare l’applicazione della norma penale, considerato anche che tale valutazione potrebbe dipendere dall’interesse specifico che un certo stakeholder (i.e. finanziatore, investitore, socio etc.) può avere sull’informazione.
Complica ulteriormente il tema la specificazione degli obblighi di reportistica contenuti nei futuri regolamenti che saranno emanati da EFRAG e che, seppur nell’apprezzabile sforzo di un certo contenimento degli oneri di reportistica, non riescono ad indicare un livello di “prioritizzazione” tra informazioni rilevanti e materiali, per le quali – in ipotesi – anche un minimo scostamento potrebbe essere di interesse, e informazioni secondarie [7].
La conclusione raggiunta sulla CSRD può essere confermata anche riguardo al settore finanziario con riferimento al SFDR e al Regolamento Tassonomia: a fronte degli obblighi generali posti dal regolamento e dalla direttiva (in particolare: artt. 3, 4, 8 e 9 SFDR e art. 3 Regolamento Tassonomia), gli standard tecnici indicati dal Regolamento Delegato 2021/2139 della Commissione (con riguardo alla tassonomia, che conta 349 pagine) e dal Regolamento Delegato 2022/1288 della Commissione (con riferimento al SFDR, che conta 72 pagine delle quali 32 c.a. dedicate a schede da compilare) approntano un set così particolareggiato di informazioni (in circa da offrire che, ancora una volta, non risulta possibile indicare quali di esse possano essere considerate “materiali” o “rilevanti”).
Un sistema normativo al contrario e l’urgenza di un cambio di rotta.
Il quadro che emerge dalle considerazioni sopra svolte vede, in sintesi, una normativa penale che si muove sulla base di clausole generali e che rischia la non sufficiente determinatezza della fattispecie penale e, quindi, la sua non applicabilità e, dall’altro lato, una normativa civilistico – finanziaria così tanto fortemente incentrata su standard e regolamenti, da arrivare alla conclusione “secca” che o tutto è punibile o che niente sia punibile.
In altri termini: o la falsità/omissione su un dato richiesto dalla normativa CSRD, SFDR e Tassonomia porta, sempre e comunque, all’applicazione della norma penale o la presenza di un numero così importante di informazioni richieste porta ad “annacquare” la sanzione penale ai soli casi di davvero macroscopica e sistematica violazione degli standard tecnici, ben oltre (per intenderci) la soglia normativa della materialità e rilevanza.
L’impressione è di un sistema capovolto, se si considera, secondo una logica maggiormente efficiente, che la normativa penale avrebbe dovuto prevedere delle precise soglie di materialità e rilevanza (ancorate, se possibili, a dati numerici anche oggetto di valutazione) [8], mentre la regolamentazione civilistico-finanziaria avrebbe dovuto muoversi nella logica di principi e clausole generali.
Alcune considerazioni di sistema ci sembrano suffragare questa posizione (avvertita da molti operatori).
In primo luogo, occorre partire dalla considerazione che un eccesso di informazioni non elimina, ma amplifica, il tema delle asimmetrie informative. L’esigenza di omogeneità delle informazioni non deve contrastare con un’applicazione efficace ed effettiva della normativa.
La regolamentazione per standard richiede necessariamente plurimi interventi di assestamento (si consideri da ultimo la proposta di modifica del Regolamento Delegato 2022/1288 a distanza di meno di un anno dalla sua pubblicazione) che, per altro verso, minano profondamente la certezza e prevedibilità del diritto: valore spesso chiamato in causa nel dibattito “contro” una normativa per clausole generali.
Valgono poi le prime considerazioni espresse da autorevole dottrina [9] per la quale, se in sé un’attività risulta ascritta al genus delle attività pericolose, più che di un bisogno di regole giuridiche, dovrebbero essere approntate “regole inerenti alla tecnica di operatività”. Tale spunto, per vero, sembra da doversi tenere in particolare considerazione nella normativa in materia di sostenibilità considerato che i temi di principale definizione normativa sono quelli ancorati alla misurazione dell’impatto sociale.
Ulteriormente, si osserva da parte dello stesso Autore, come “una regola che sia oggettivamente sbagliata perché intrinsecamente irragionevole, potrebbe venire corretta, un poco almeno “limitata” – sul fronte del diritto vivente – dalla presenza di una clausola generale che stia a governo della relativa materia”.
Merita, infine, un’ultima conclusione che l’Autore formula sul tema e che risulta particolarmente vera e corretta in un mercato come quello della finanza/economia sostenibile, ispirato – non va dimenticato – dalla grundnorm del Trattato sull’Unione Europea (articolo 3) [10] e in una fase di forte espansione.
La considerazione muove dalla circostanza che “una norma di forte dettaglio tende a proporre all’impresa agente dei comportamenti a priori ripetitivi, seriali sino a diventare uguali in ogni caso a se stessi. […] Si corre il rischio, così, che il comportamento dell’impresa si risolva in una vuota ripetizione di schemi astratti: persi i nessi, per l’appunto, con i singoli fatti […]. In una parola, una disciplina per regola di forte dettaglio tende virgola di per se stessa, a “de – professionalizzare” cioè l’organizzazione dell’impresa: nel concreto ad abbassare, di riflesso, il livello dell’agire di diligente”.
Oltre a queste considerazioni, un ultimo elemento sembra rendere urgente una riforma del sistema. L’imposizione di eccessivi oneri e regole di reporting, la standardizzazione delle condotte “legali” non solo rischia di costituire una barriera significativa all’accesso da parte degli operatori (per i relativi costi di compliance), ma in sé rischia di minare gli stessi principi di libertà economica sanciti dai Trattati UE e da tutte le carte fondamentali dei paesi aderenti all’UE.
[1] Regolamento (UE) 2019/2088. Secondo tali articoli, i partecipanti ai mercati finanziari devono pubblicare, sui loro siti web, informazioni circa le politiche sull’integrazione dei rischi di sostenibilità nei loro processi decisionali relativi agli investimenti e – ove li prendano in considerazione – informazioni sui principali effetti negativi delle loro decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità.
[2] Regolamento (UE) 2020/852. L’articolo in questione prevede la pubblicazione, in sede di rendicontazione di sostenibilità di cui alla Direttiva 2013/34/UE come modificata dalla CSRD, di informazioni quantitative aggiuntive quali la quota di fatturato, spesa in conto capitale e spesa operativa relativa ad attività economiche “ecosostenibili” secondo il regolamento Tassonomia stesso.
[3] G. B. Accini, Rilevanza penale delle falsità nei cd. non financial statements? in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2018, 1, pag. 50
[4] La natura evolutiva della conclusione era stata riferita anche dall’autore in nota (3) che affermava “sarà probabilmente l’evoluzione culturale a condizionare un’interpretazione che potrebbe maturare per il desiderio di forme di maggiore responsabilizzazione delle imprese ad evitarsi che i cd. «non financial statements» possano risolversi in mere operazioni decettive di immagine in danno degli interessi di cui sono portatori i cd. «stakeholders». In un siffatto (auspicabile) futuro all’evoluzione culturale dovrebbe però conseguire anche quella normativa perché il principio di legalità possa rimanere rispettato (ed effettivamente salvaguardato)”.
[5] “i grandi enti che hanno emesso titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di qualsiasi Stato membro […] pubblicano informazioni relative ai rischi ambientali, sociali e di governance, compresi i rischi fisici e i rischi di transizione, definiti nella relazione di cui all’articolo 98, paragrafo 8, della direttiva 2013/36/UE”. Negli ITS redatti dall’EBA in relazione all’articolo 449-bis CRR si può leggere che “the Pillar 3 framework on prudential disclosures on ESG risks […] will support institutions in the public disclosure of meaningful and comparable information on how ESG-related risks and vulnerabilities, including transition and physical risks, may exacerbate other risks in their balance sheet”.
EBA, On prudential disclosures on ESG risks in accordance with Article 449 [bis] CRR, pag. 7.
[6] “di lieve entità tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta”.
[7] EFRAG, First Set of draft ESRS in https://www.efrag.org/lab6
[8] Come accade in materia tributaria. A mero titolo esemplificativo, l’omesso versamento dell’IVA assume rilevanza penale, ai sensi dell’art. 10-ter del D. Lgs. 74/2000, solo se la somma non versata supera la soglia minima di €250.000.
[9] A. A. Dolmetta, A margine dell’ammortamento “alla francese”: gravosità del meccanismo e sua difficile intelligenza, in Banca, borsa e titoli di credito, 2022, 5, pag. 644 nota 5.
[10] “l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”.