Fino al 2012 il mercato del credito per le imprese italiane, ed in particolare per le imprese medio piccole (di seguito “PMI”), spina dorsale del tessuto economico nazionale, si poteva circoscrivere ai soli intermediari bancari, e tra questi prevalentemente agli intermediari bancari italiani, che non subivano imposizione alla fonte al momento del pagamento degli interessi sui finanziamenti erogati e potevano beneficiare del regime dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio/lungo termine.
Anche se interessati a questo segmento di mercato e disponibili ad erogare credito, ovvero a subentrare quali cessionari rispetto a crediti già erogati dalle banche e che queste ultime ben volentieri avrebbero smobilizzato, gli intermediari non bancari, ed in particolare quelli esteri, erano di fatto sfavoriti rispetto ai loro concorrenti bancari sotto vari aspetti: la riserva di legge per banche e intermediari finanziari, un regime penalizzante di ritenute sugli interessi e imposte indirette, forme di garanzie rigide e complesse, e tempi di esecuzione gravosi in caso di default.
A partire dal 2012, invece, il clima ha iniziato a mutare. Complici la crisi dei mercati finanziari e la difficoltà ad accedere al credito bancario per le PMI e non solo, il Governo è intervenuto con una serie di misure volte sia ad offrire e rendere appetibili canali alternativi di finanziamento per le PMI e, più in generale, per le imprese italiane, sia ad agevolare lo smobilizzo dei propri crediti da parte delle banche.
Principali modifiche
Il Governo è intervenuto sul mercato dei capitali a più riprese, spesso rimodulando ed ampliando precedenti misure, correggendo la portata delle modifiche normative così da meglio incontrare le esigenze del mercato.
Nel corso del 2012, per dare nuova forza alla ripresa economica, il Governo ha varato i cosiddetti Decreto Sviluppo[1] e Decreto Sviluppo Bis[2] che hanno incentivato l’emissione di titoli di debito da parte di imprese non quotate, e introdotto agevolazioni fiscali a favore di emittenti e investitori. In particolare:
1) la disciplina delle cambiali finanziarie è stata modificata ed integrata con l’obiettivo di rendere maggiormente appetibile il ricorso a tale strumento come fonte di finanziamento a breve e medio termine;
2) è stata introdotta una disciplina specifica per l’emissione di obbligazioni e titoli similari, da parte di società non quotate (ivi incluse le PMI) (c.d. “mini-bonds”), che prevedano clausole di partecipazione e di subordinazione;
3) il trattamento fiscale di obbligazioni, cambiali finanziarie e titoli similari – purché quotati – emessi da società diverse dai grandi emittenti (ossia diversi da banche, società quotate ed enti pubblici economici trasformati in società per azioni) è stato sostanzialmente uniformato al più vantaggioso trattamento fiscale in precedenza applicabile esclusivamente alle emissioni da parte di tali “grandi emittenti”, estendendo quindi in particolare il regime di esenzione previsto per i proventi corrisposti a investitori esteri residenti in paesi white list ovvero ad “investitori istituzionali esteri” ai sensi dell’art. 6 del Decreto Legislativo 1 aprile 1996, n. 239.
Nel 2013 con Decreto Destinazione Italia[3], il Legislatore:
1) da un lato, ha radicalmente modificato la struttura dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio lungo termine[4] rendendola un’imposta opzionale, in luogo della precedente obbligatorietà, e quindi una vera agevolazione per il settore del credito da attivare solo laddove più conveniente rispetto alle ordinarie imposte d’atto gravanti sul finanziamento e sul relativo pacchetto di garanzie. Il regime dell’imposta sostitutiva prevede l’applicazione di un’imposta dello 0,25% dell’ammontare del finanziamento erogato, in sostituzione delle imposte ordinariamente applicabili (imposta di registro, imposta di bollo, imposte ipotecarie, catastali e tasse sulle concessioni governative) ed è particolarmente conveniente solo ove il finanziamento preveda garanzie prestate da terzi ovvero ipoteche che comportano l’applicazione dell’imposta di registro in misura pari allo 0.5% dell’importo garantito e/o l’imposta ipotecaria dovuta in misura pari al 2% dell’importo garantito;
2) dall’altro, ha rafforzato la portata dei predetti Decreti Sviluppo, intervenendo sulle garanzie che possono essere prestate in favore dell’emissione di obbligazioni e titoli similari, introducendo ulteriori benefici fiscali a favore degli emittenti e degli investitori qualificati ed ampliando la platea dei potenziali investitori in tali obbligazioni e titoli similari. In particolare, è stata prevista la possibilità per l’emittente di optare per l’applicazione dell’imposta sostitutiva di cui all’articolo 15 e ss. del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 in relazione alle garanzie prestate in relazione ad emissioni di obbligazioni o titoli similari (imposta che, una volta corrisposta sull’emissione, coprirà anche le eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione alle predette operazioni, ai trasferimenti di garanzie anche conseguenti alla cessione delle predette obbligazioni, nonché alla modificazione o estinzione di tali operazioni), con notevole riduzione del carico fiscale altrimenti gravante sul pacchetto di garanzie connesso all’emissione obbligazionaria.
Nel 2014il Governo ha letteralmente aperto il mercato di capitali ai finanziatori esteri con il Decreto Competitività[5].
1) Sotto un profilo regolamentare, il maggior impulso si è avuto con le norme che consentono l’erogazione diretta di credito da parte di fondi di investimento, imprese di assicurazione, SACE S.p.A. e società-veicolo di cartolarizzazione. Nel 2015 sono state poi emanate le norme attuative[6] per consentire l’esercizio di credito da parte dei fondi di investimento, nuove misure per semplificare le procedure di insolvenza e concorsuali e per favorire il mercato dei non-performing loans (c.d. “NPL”)[7].
2) Sotto un profilo fiscale, il Legislatore ha dato diversi impulsi utili a favorire vuoi l’accesso al credito, vuoi lo smobilizzo del credito da parte del settore bancario italiano.
Per rendere maggiormente appetibile il mercato italiano del credito per finanziatori esteri, il Decreto ha introdotto una piena esenzione da tassazione alla fonte sui pagamenti di interessi da parte di imprese italiane generati da finanziamenti a medio-lungo termine erogati da “enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea enti individuati all’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della direttiva 2013/36/UE, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea o investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti”[8]. Detta esenzione dalla ritenuta alla fonte è peraltro condizionata al rispetto delle disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al Testo Unico Bancario.
Per favorire l’accesso al settore del credito da parte di investitori esteri, sia in un’ottica di nuove erogazioni di credito, che in quella di smobilizzo delle posizioni esistenti al fine di alleggerire i bilanci delle banche italiane (soprattutto in caso di NPL), il Decreto è intervenuto nuovamente sul regime dell’imposta sostituiva sui finanziamenti a medio-lungo termine:
- da un lato ampliandone sensibilmente l’ambito di applicazione ed estendendone i benefici anche ai successivi trasferimenti di contratti di finanziamento e dei relativi crediti, unitamente al relativo pacchetto di garanzie, così favorendo la circolazione sul mercato secondario degli asset fino a quel momento iscritti nei bilanci delle banche eroganti il finanziamento soggetto ad imposta sostitutiva e, di fatto, sostanzialmente inamovibili pena l’esborso di salate imposte d’atto;
- dall’altro consentendo di accedere a tale regime (storicamente riservato al comparto bancario) anche alle operazioni di finanziamento (purché a medio-lungo termine) poste in essere da società di cartolarizzazione di cui alla legge 30 aprile 1999, n. 130, da imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’UE o da organismi di investimento collettivo del risparmio costituiti negli Stati membri dell’UE e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella c.d. white list.
E ancora, il Decreto Competitività ha – per l’ennesima volta – ritoccato le agevolazioni fiscali concesse alle emissioni di cambiali finanziarie e mini-bond disponendo l’applicabilità del regime dell’imposta sostitutiva disciplinata dal Decreto Legislativo 1 aprile 1996, n. 239 anche a cambiali finanziarie e mini-bond non quotati, purché sottoscritti da investitori qualificati di cui all’art. 100 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (il “Testo Unico della Finanza”).
Nel 2016, a valle degli importanti sviluppi sopra riepilogati, ancora non del tutto consolidatisi non da ultimi a causa dei ripetuti interventi e limature intervenuti nel breve tempo intercorso dalla loro promulgazione, il Legislatore è intervenuto[9] per agevolare specificamente l’investimento da parte dei fondi di credito stranieri.
In particolare, il Testo Unico della Finanza è stato integrato per chiarire requisiti e condizioni per l’investimento in crediti, da parte di fondi di investimento alternativi (i c.d. “FIA”) provenienti da altri Stati membri dell’Unione Europea. Il 23 dicembre 2016, la Banca d’Italia ha aggiornato il Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, specificando la procedura e le condizioni per la concessione di credito a valere sul proprio patrimonio da parte dei FIA UE, mediante comunicazione preventiva Banca d’Italia. I FIA italiani e dell’Unione Europea sono, in ciascun caso, tenuti al rispetto delle disposizioni in materia di trasparenza e correttezza dettate per la concessione dei finanziamenti alle imprese italiane.
In generale, sembra che il nostro ordinamento abbia seguito l’indirizzo dell’ESMA[10], per cui il c.d. shadow banking presenta rischi sistemici e deve essere oggetto di regolamentazione e vigilanza[11]. Anche la consultazione promossa dalla Banca d’Italia sul Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio ha fornito importanti chiarimenti e spunti di riflessione. In sintesi, per esercitare l’attività di credito in Italia, i fondi di investimento di provenienza UE devono:
· essere FIA di forma chiusa, autorizzati dall’autorità competente dello Stato membro di origine a investire in crediti, e adottare uno schema di funzionamento analogo a quello dei FIA italiani che investono in crediti, in particolare per quanto riguarda le modalità di partecipazione;
· comunicare alla Banca d’Italia l’intenzione di investire in crediti in Italia, e attendere 60 giorni dalla comunicazione prima di iniziare a operare;
· rispettare requisiti e condizioni previsti per i fondi di credito italiani:
- in materia di contenimento e frazionamento del rischio, con il limite del 10% del totale degli attivi per l’investimento in crediti verso una stessa controparte[12];
- di leva massima, al 30% (per i fondi retail) e al 150% (per i fondi riservati) del totale delle attività del fondo;
- i finanziamenti concessi non possono avere durata superiore a quella del fondo;
- i fondi retail possono concludere derivati solo per fini di copertura;
· aderire alla centrale dei rischi della Banca d’Italia, direttamente o per il tramite di una banca o intermediario finanziario;
· rispettare il sistema di gestione del rischio di credito della società di gestione del fondo.
Le nuove regole rappresentano un importante passo avanti per i finanziatori c.d. alternativi, ma alcuni requisiti sembrano incompatibili con gli operatori non espressamente autorizzati all’esercizio del credito nell’ordinamento di appartenenza. In altre parole, non sembra consentito l’accesso ai fondi di investimento provenienti da Paesi (come il Regno Unito) in cui l’attività di credito non è riservata o soggetta ad autorizzazione. Altre istanze di chiarimento non hanno trovato risposta positiva:
· l’autorizzazione del FIA UE a concedere credito in Italia non si estende alle società veicolo interamente controllate dallo stesso FIA;
· l’acquisto di crediti già erogati rimane attività regolamentata, ed è dubbio che gli investitori non autorizzati nel senso descritto possano investire sul mercato secondario, acquistando crediti già erogati da altri finanziatori;
· la nuova disciplina non tratta il tema delle strutture c.d. di fronting, che probabilmente rimarranno di interesse per i fondi che non concludono la procedura sopra descritta per esercitare credito in Italia;
· è dubbio che i FIA, italiani ed UE, possano intendersi come “investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali” ai fini della sottoscrizione di titoli di debito di emittenti italiani.
Novità in materia fiscale e i fondi di investimento alternativi
Come visto, all’apertura del mercato italiano del credito contribuiscono anche importanti novità in materia fiscale. La direttrice su cui si è mosso il Legislatore è stata quella di rimuovere o limitare gli aggravi fiscali che storicamente pesavano sui finanziatori esteri di imprese italiane, PMI e non.
Sotto un profilo reddituale, in questo senso possono certamente leggersi, l’estensione del regime dell’imposta sostitutiva di cui al Decreto Legislativo 239/1996 anche alle emissioni di cambiali finanziarie e mini-bonds da parte di soggetti diversi dai grandi emittenti. Come noto, per i titoli soggetti al regime del Decreto Legislativo 239/1996, l’art. 6 di tale decreto dispone un’esenzione specifica dalla applicabilità dell’imposta sostitutiva sui proventi corrisposti a soggetti residenti in Stati white list (individuati dal decreto ministeriale 4 settembre 1996, come di volta in volta modificato ed integrato), nonché a (i) enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia; (ii) gli investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti in Paesi white list; (iii) banche centrali o organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali dello Stato.
La nozione di “investitore istituzionale” cui fa riferimento il Decreto 239/1996 non è definita in via legislativa né sotto il profilo fiscale, né sotto quello regolamentare. Secondo la prassi amministrativa dell’Agenzia delle Entrate[13], tuttavia, tale nozione individua gli enti che, indipendentemente dalla loro veste giuridica, dal possesso o meno di soggettività tributaria e dal trattamento fiscale cui sono assoggettati nello Stato di costituzione, hanno come oggetto della propria attività l’effettuazione e la gestione di investimenti per conto proprio o di terzi. La scelta del Legislatore di ricomprendere tra gli “investitori istituzionali” esteri anche quelli privi di soggettività tributaria muove peraltro dalla constatazione oggettiva che gli investitori istituzionali esteri spesso non possiedono personalità giuridica e/o soggettività tributaria, con la conseguenza che non avrebbero altrimenti soddisfatto i requisiti formali per usufruire dell’esonero dall’imposta sostitutiva cui invece si riteneva opportuno accedessero.
Alla luce della prassi, pertanto, rientrano, nel campo di applicazione dell’esenzione, le società di assicurazione, i fondi comuni di investimento, le Sicav, i fondi pensione, le società di gestione del risparmio, se assoggettati a forme di vigilanza nei Paesi esteri nei quali sono costituiti, nonché quegli enti o organizzazioni privi di soggettività tributaria, non assoggettati a forme di vigilanza, ma che siano comunque in possesso di una specifica competenza ed esperienza in operazioni con strumenti finanziari (condizione deve essere espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante dell’ente).
Restano invece esclusi dal regime di esenzione, in un’ottica anti-abuso, quegli enti che sono stati costituiti appositamente per gestire gli investimenti effettuati da un numero limitato di partecipanti, pur avendo come fine istituzionale la gestione e l’effettuazione di investimenti (quali ad esempio le cosiddette “holding lussemburghesi del ‘29”, mentre i trust e le partnership possono usufruire dell’esenzione a condizione che non siano stati costituiti per consentire ai partecipanti – per esempio soggetti fiscalmente residenti in Italia – di fruire indebitamente del regime di esenzione).
Nella stessa direzione si pone anche la neo-introdotta esenzione dalla ritenuta sugli interessi da finanziamenti a medio lungo termine che spetta a certi finanziatori esteri autorizzati all’esercizio del credito in Italia, tra cui a fianco di banche UE e imprese di assicurazione UE soggette a vigilanza spiccano – ancora una volta – gli investitori istituzionali UE e degli ordinamenti c.d. white list per la cui identificazione si rinvia al Decreto n. 239/1996.
In passato la presenza della ritenuta domestica nei flussi di interessi in uscita dall’Italia verso finanziatori non Italiani ha portato a sviluppare strutture di sindacazione ovvero sub-partecipazione nei finanziamenti erogati da banche italiane autorizzate ad erogare il credito sotto un profilo regolamentare e non soggette alla predetta ritenuta sotto un profilo fiscale. Dette strutture di finanziamento, denominate comunemente “IBLOR” (da Italian Bank Lender of Record), sono state oggetto di attenzione da parte dell’Amministrazione Finanziaria secondo cui esse normalmente implementano una forma di interposizione reale della banca residente rispetto al finanziatore estero, che si qualifica invece come il beneficiario effettivo dei flussi reddituali generati dal finanziamento erogato all’impresa italiana dalla banca fronting. L’Amministrazione ha, quindi, storicamente contestato l’omessa applicazione delle ritenute alla fonte domestiche (ex art. 26, comma 5 del D.P.R. n. 600/1973) rispetto ai pagamenti nei confronti dei finanziatori esteri (della banca italiana fronting) (i) di interessi a valere su depositi inter-bancari (che, grazie alla struttura IBLOR, beneficiano di una esclusione da tassazione per mancanza di territorialità – art. 23 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) ovvero (ii) di commissioni di garanzia (che, sempre grazie alla struttura IBLOR, beneficiano di un’esenzione specifica da tassazione se corrisposte a garanti white list – art. 26-bis del D.P.R. n. 600/1973).
L’Agenzia delle Entrate è tornata recentemente sul tema con la Circolare Ministeriale n. 6/E del 30 marzo 2016 ed in tale occasione, nel confermare la fondatezza delle contestazioni mosse alle strutture IBLOR, ha anche avuto modo di puntualizzare che, in virtù della specifica esenzione introdotta dall’art. 26, comma 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 in parola, dette contestazioni non sono più sostenibili ove il beneficiario effettivo dei finanziamenti erogati facendo ricorso a tali strutture sia una banca EU, una impresa di assicurazione costituita e autorizzata in uno Stato membro EU ovvero un investitore istituzionale estero di cui all’art. 6 del Decreto n. 239/1996.
Laddove quindi il FIA sia autorizzato ad erogare il credito in Italia e si qualifichi ai fini fiscali (come normalmente dovrebbe essere) quale investitore istituzionale ai sensi del citato art. 6, i flussi di interessi generati dai finanziamenti a medio/lungo termine da questo erogati alle imprese italiane saranno totalmente esenti da ritenuta alla fonte domestica. In virtù di un approccio c.d. look-through ed in virtù del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, tale esenzione peraltro spetta sia che il finanziamento sia erogato direttamente dal FIA, sia che l’erogazione avvenga attraverso strutture IBLOR laddove il beneficiario effettivo dei relativi flussi di reddito sia un FIA/investitore istituzionale qualificato.
Al contrario, il ricorso a strutture di fronting da parte degli operatori non autorizzati ad erogare il credito in Italia (come per esempio i FIA non ancora autorizzati nel senso descritto) va invece attentamente vagliato e resta in principio esposto a possibili contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate ove possa ravvisarsi una interposizione reale fittizia nella struttura.
Sotto il profilo delle imposte d’atto, invece, le misure adottate dal Legislatore in tema di imposta sostitutiva sul finanziamenti a medio/lungo termine sono tutte volte ad estenderne i benefici anche ai mezzi di finanziamento alternativo delle imprese come le emissioni di titoli di debito (con benefici non solo per gli emittenti, ma anche per i sottoscrittori degli stessi vista la riduzione dei costi connessi all’emissione e quindi la maggior competitività dello strumento), nonché ad alcuni nuovi operatori che sono entrati nel mercato del credito, con la speranza che tale ampliamento della platea possa in futuro ulteriormente arricchirsi. Da ultimo, ma non per importanza, va segnalata l’estensione dell’ambito di applicazione di tale imposta anche alle cessione di contratti di finanziamento “in sostitutiva” ovvero alle cessioni dei relativi crediti. Si tratta di una misura che dovrebbe semplificare le operazioni di sindacazione e cessione sul mercato secondario dei finanziamenti (compresi i NPL), con positivi impatti sia nella fase “uscita” dal finanziamento da parte del soggetto finanziatore che intende smobilizzare la propria posizione che nella fase di “entrata” nei finanziamenti, ove chi decide di investire sa ab origine di poter in futuro smobilizzare la propria posizione senza gli aggravi fiscali che un tempo ingessavano il mercato secondario italiano dei crediti da finanziamenti.
[1] Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con Legge 7 agosto 2012, n. 134, come successivamente modificato.
[2] Decreto Legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con Legge 17 dicembre 2012 n. 221, come successivamente modificato.
[3] Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con Legge 21 febbraio 2014, n. 9, come successivamente modificato.
[4] Disciplinata dall’art. 15 e ss. del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601.
[5] Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con Legge 11 agosto 2014, n. 116, come successivamente modificato.
[6] D.M. 5 marzo 2015, n. 30; Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, emanato con provvedimento della Banca d’Italia 19 gennaio 2015.
[7] Decreto Legge 27 giugno 2015, n.83, convertito con Legge 6 agosto 2015, n. 132, come successivamente modificato.
[8] A mente del testo ad oggi vigente dell’art. 26, comma 5-bis del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
[9] D.l. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con legge 8 aprile 2016, n. 49.
[10] Parere ESMA/2016/596 dell’11 aprile 2016, “Key principles for a European framework on loan origination by funds”
[11] V. Occasional Paper della Banca d’Italia n. 372 del febbraio 2017 ‘Shadow banking out of the shadows: non-bank intermediation and the Italian regulatory framework’.
[12] Il requisito può essere derogato per i FIA neocostituiti, nei primi sei mesi di operatività. Per i FIA riservati, si può determinare il limite con riferimento al patrimonio del fondo, compresi gli impegni degli investitori ad effettuare successivi versamenti a richiesta.
[13] Circolare Ministeriale n. 23/E del 1 marzo 2002 e Circolare Ministeriale n. 20/E del 27 marzo 2003.