Secondo la Corte d’appello di Milano, sentenza n. 3459 del 2013, il contratto derivato over the counter, concluso da un intermediario nell’ambito della sua attività professionale, che è un’attività di intermediazione finanziaria, è, da punto di vista civilistico, un contratto di scommessa – autorizzata, ai sensi dell’art. 1935 c.c., in forza del richiamo di cui all’art. 1 TUF.
Secondo la Corte, il contratto derivato rientra nella categoria della scommessa legalmente autorizzata la cui causa, ritenuta meritevole dal legislatore dell’intermediazione finanziaria, risiede nella consapevole e razionale creazione di alee.
Pertanto, tutti gli elementi dell’alea e gli scenari che da essa derivano costituiscono ed integrano la causa stessa del contratto perché appartengono alla causa tipica del negozio, indipendentemente dalle ricorrenti distinzioni fra scopo c.d. di copertura o speculativo tout court e gli scenari probabilistici e le conseguenze del verificarsi degli eventi devono essere definiti e conosciuti ex ante, con certezza.
Poiché il contratto di swap si sostanzia nella creazione di alee reciproche e bilaterali, è inconcepibile che la qualità e la quantità delle alee, oggetto del contratto, siano ignote ad uno dei contraenti ed estranee all’oggetto dell’accordo, trattandosi di dati geneticamente coessenziali ad una scommessa. La sola circostanza che l’investitore non conosca, al momento della conclusione del contratto, il c.d. mark to market e la circostanza che il mark to market non rientri nel contenuto del contratto derivato comporta la radicale nullità del contratto perché esclude in radice che nel caso di specie l’investitore abbia potuto concludere la scommessa conoscendo il grado di rischio assunto, laddove, per contro, la banca, del proprio rischio, nutriva perfetta conoscenza – addirittura nella sua precisa misurazione scientifica – avendo predisposto lo strumento.
Nella prospettiva della Corte, gli obblighi informativi inerenti all’alea ed alla sua misurazione scientifica, devono stare dentro il contratto, quale oggetto dell’accordo, consapevole, degli scommettitori.
In coerenza con le premesse, la Corte precisa che l’art. 1933 non codifica un’eccezione di scommessa, ma un’eccezione di scommessa meramente tollerata – la scommessa tradizionalmente concepita come socialmente improduttiva –, proprio perché del tutto estranea all’area dei contratti di scommessa legalmente autorizzata – casi di scommessa che il legislatore considera come socialmente ed economicamente produttivi –.
Soggiunge la Corte che è vietato ad un contraente determinare unilateralmente, ed in base a criteri non trasparenti e controllabili ex post, elementi del contenuto del contratto, né supplisce il mero richiamo ad asseriti “costi di mercato”, perché il rinvio a prassi, quand’anche scientificamente condivise, equivale all’applicazione di usi, testualmente vietata nella materia dell’intermediazione finanziaria (art. 23, comma 2 TUF).
Sul piano del rapporto gestorio, la Corte d’appello di Milano soggiunge, e chiarisce, che l’intermediario finanziario, allorché conclude un contratto derivato con un investitore, agisce quale cooperatore e titolare di un ufficio di diritto privato, in conformità all’art. 21 del Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria, e ciò del tutto indipendentemente dal grado di esperienza, competenza e qualificazione dell’investitore (e, sotto il regime ante Mifid, del tutto indipendentemente dalla dichiarazione di cui all’articolo 31 Regolamento Consob n. 11522 del 1998).