Il presente contributo analizza il tema dei fattori ESG passati, nel contesto delle operazioni di M&A, da valore culturale/olistico a vera e propria variabile economica.
1. La creazione del “Valore ESG” e il framework normativo vincolante
Sebbene “sostenibilità” sia ormai divenuto un termine invalso in quasi ogni settore merceologico, spesso abusato e svilito nel significato da pratiche di marketing fuorvianti per investitori e consumatori, i nuovi assetti di governance e una declinazione inedita delle tradizionali attività imprenditoriali e finanziarie stanno gradualmente delineando in concreto il concetto, anche grazie all’elaborazione di processi e strumenti volti a misurarne e valutarne il valore in termini di impatti operativi e reputazionali delle imprese e degli investimenti.
L’assunzione di responsabilità sociale da parte delle imprese, infatti, ha determinato una sempre maggiore attenzione alle tematiche connesse alla sostenibilità, attraverso l’adozione di modelli di business CSR oriented che proseguono nella loro evoluzione ormai svincolati dalla dimensione volontaria e venendo integrati nei processi produttivi quali elementi in grado di incidere sul valore aziendale ed influenzare le performance economiche e finanziarie, nonché i relativi rischi.
Leve acceleratorie di tale cambio di paradigma, sia nel mondo corporate che in quello della finanza, sono da rinvenirsi negli eventi verificatisi nel contesto storico-sociale nell’ultimo decennio – segnato dalla crisi pandemica, dalle problematiche del climate change e dai disordini geopolitici in corso – che hanno, da una parte incentivato, dall’altra imposto alle imprese e agli operatori finanziari, l’adozione responsabile di modelli di business sostenibile, non più solo orientati alla massimizzazione del profitto, bensì anche alla soddisfazione degli interessi di tutti gli stakeholder, in linea con gli obiettivi ambientali e sociali di stampo comunitario.
Come noto, le tematiche di sostenibilità, affacciatesi al mondo economico-imprenditoriale già con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e con il Patto Internazionale sui Diritti Economici del 1966, hanno raggiunto la propria consacrazione nel 2015 con i Sustainable Development Goals, SDGs delle Nazioni Unite e con la successiva adozione, da parte della Commissione Europea, del “Piano d’Azione per la finanza sostenibile”, confluito nel 2019 nell’European Green Deal; in particolare, con l’Action Plan sono state delineate strategie e misure per promuovere e finanziare uno sviluppo autenticamente sostenibile sotto il profilo economico, sociale e ambientale, contribuendo ad attuare l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, attraverso i) la canalizzazione degli investimenti finanziari verso un’economia maggiormente sostenibile; ii) la gestione dei rischi connessi alle tematiche di sostenibilità ambientale e sociale; iii) il rafforzamento della trasparenza dell’attività economica finanziaria e degli investimenti di lungo periodo.
Al fine di dare concreta attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile perseguiti e promuovere l’integrazione dei fattori ESG in tutti gli Stati membri, il legislatore europeo ha avviato un imponente processo normativo-regolamentare volto all’adozione di disposizioni vincolanti per la misurazione e la rendicontazione delle performance ESG, nonché per la valutazione dei rischi connessi ai fattori di sostenibilità sul mercato, anche da parte degli investitori e degli intermediari finanziari.
2. Dalla Dichiarazione non Finanziaria alla Rendicontazione di Sostenibilità
Fulcro della proliferazione dei provvedimenti in materia è stata la disclosure sui temi di sostenibilità integrati alle strategie economico-finanziarie, con l’elaborazione di specifiche disposizioni in tema di informativa non finanziaria, progressivamente affinate e culminate, da ultimo, nella direttiva n. 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive “CSRD”), recepita in Italia dal D. Lgs. n. 125 del 2024 entrato in vigore il 25 settembre 2024.
La CSRD sostituisce la direttiva n. 2014/95 (Non financial Reporting Directive “NFRD”) apportando notevoli modifiche agli obblighi di reporting di informazioni di carattere non finanziario previsti da quest’ultima, al fine di ampliare, oltre all’ambito applicativo, anche la qualità e la quantità nonché l’attendibilità e la comparabilità dei dati forniti.
In particolare, come si legge nel documento per la consultazione pubblica concernente lo schema di decreto di recepimento della direttiva aperta dal Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’obiettivo perseguito con la CSRD è quello di consentire l’accesso da parte di investitori e stakeholder ad un’informativa sulla sostenibilità, per singola impresa o gruppo, maggiormente dettagliata, chiara e quanto più possibile standardizzata ed esaustiva, con evidenti conseguenze positive per il mercato finanziario in termini di completezza informativa, trasparenza e comparabilità dei dati.
Tali obiettivi si pongono in risposta a quanto rilevato nella risoluzione del 29 maggio 2018 sulla finanza sostenibile dal Parlamento europeo il quale – a fronte delle rilevate criticità della NFRD in termini di comparabilità e qualità dei dati – aveva prospettato la necessità di sviluppare ulteriormente gli obblighi di rendicontazione delle informazioni di carattere non finanziario specificando, in seguito, la necessità di istituire un quadro globale in materia di rendicontazione non finanziaria contenente norme obbligatorie e chiedendo, altresì, l’estensione dell’ambito di applicazione degli obblighi di rendicontazione ad ulteriori categorie di imprese e l’introduzione di un obbligo di revisione contabile.
Il D. Lgs. n. 125 del 2024 ha, pertanto, recepito la CSDR rafforzando la trasparenza e l’attendibilità delle modalità di reporting delle informazioni di sostenibilità attraverso i seguenti principali interventi:
- Ampliamento, con applicazione scaglionata a partire dall’esercizio finanziario con inizio 1° gennaio 2024, della platea dei soggetti tenuti agli obblighi di rendicontazione a tutte le imprese di grandi dimensioni e le società madri di gruppi di grandi dimensioni, anche non quotate, nonché alle piccole e medie imprese quotate in mercati regolamentati, escluse le microimprese, e alle imprese di paesi terzi, al ricorrere di determinate condizioni;
- Estensione del contenuto delle rendicontazioni di sostenibilità ad informazioni più ampie e specifiche riguardanti non solo l’impresa o il gruppo di imprese, ma anche eventuali ripercussioni negative legate all’intera catena di valore la cui indagine, volta ad identificare, prevenire e mitigare, impatti reali e potenziali negativi in tema di diritti umani ed ambiente, costituisce peraltro oggetto del dovere di diligenza previsto dalla Corporate Sustainability Due Diligence Directive “CS3D” in vigore dal 25 luglio 2024;
- Adozione di un approccio bidirezionale nella descrizione delle interazioni tra impresa e sostenibilità, affiancando all’analisi degli impatti generali dell’attività sugli stakeholder e sull’ambiente (approccio inside-out, già previsto dalla NFRD), gli impatti dei fattori ESG sulla situazione e sui risultati economici e finanziari dell’impresa (approccio outside-in), secondo il principio della c.d. doppia materialità;
- Previsione a livello europeo degli standard comuni di rendicontazione su specifici fattori ambientali, sociali e di governance (European Sustainability Reporting Standards, “ESRS”), elaborati dall’EFRAG e adottati dalla Commissione con specifici atti delegati, volti a fornire dati completi, dettagliati e comparabili;
- Inserimento della rendicontazione di sostenibilità in un’apposita sezione della relazione sulla gestione, sottoponendola all’obbligo di assurance finalizzata al rilascio dell’attestazione di conformità agli standard ESRS da parte di un revisore abilitato ai sensi del D. Lgs. n. 39 del 2010, che può anche coincidere con il revisore incaricato della revisione contabile della società.
La sostituzione della “dichiarazione non finanziaria” con la “rendicontazione di sostenibilità” e il suo inserimento nella relazione sulla gestione redatta dagli amministratori a corredo del bilancio d’esercizio, consacra definitivamente – anche dal punto di vista prettamente lessicale, laddove viene meno il riferimento alla natura non-finanziaria del report[1] – la rilevanza autonoma del valore dei fattori ESG nell’ambito delle strategie d’impresa, anche in termini di effetti diretti e indiretti sul piano finanziario.
3. La CSDR e gli impatti sugli investitori
Il rafforzamento degli obblighi di rendicontazione introdotti con la CSRD coadiuva l’esigenza degli investitori di vedere azzerate le asimmetrie informative e le divergenze delle metodologie di reporting sul mercato e di disporre di dati sulle aziende, quantitativamente e qualitativamente, attendibili e comparabili ai fini della valutazione dei rischi e delle opportunità relative alle attività di investimento.
Gli standard univoci ESRS, infatti, sebbene attinenti specificatamente alle tematiche di sostenibilità connesse all’attività d’impresa, sono coerenti e affiancano – in un sistema volto alla “convergenza globale” dell’uniformità delle informazioni di sostenibilità – i criteri di vaglio tecnico (c.d. Regulatory Thecnical Standard “RTS”), strumentali all’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari introdotta con il Regolamento 2019/2088 (Sustainable Finance Disclosure Regulation, “SFDR”).
Il regolamento SFDR, nell’ottica di mobilitare i flussi di capitale a supporto di investimenti sostenibili e promuovere l’integrazione delle questioni di sostenibilità nelle decisioni di investimento, ha ampliato e standardizzato la disclosure operata dai partecipanti ai mercati finanziari, prevedendo maggiore trasparenza delle informazioni da fornire attraverso il proprio sito web e l’informativa precontrattuale, sotto un duplice profilo: sia a livello di “soggetto”, ossia comunicando come gli operatori e i consulenti finanziari integrano e gestiscono i rischi di sostenibilità nella loro attività ed organizzazione nonché nelle decisioni di investimento; sia a livello di “prodotto”, ossia fornendo informazioni in merito ai profili di sostenibilità di ciascun prodotto finanziario commercializzato.
A tal riguardo, il regolamento SFDR introduce obblighi di disclosure aggiuntivi e più dettagliati rispetto a quelli previsti all’art. 6, per tutti quei prodotti finanziari che hanno specifiche finalità connesse ai fattori ESG e, nello specifico, promuovono caratteristiche ambientali o sociali (detti anche “light green” e previsti all’art. 8), oppure hanno come obiettivo “investimenti sostenibili” nell’accezione prevista dallo stesso regolamento all’art. 2 comma 17 (i c.d. “dark green” di cui all’art. 9).
Inoltre, nonostante la ratio del SFDR sia incentrata sulla trasparenza dell’attività di reporting nel settore finanziario, la prassi applicativa ha declinato il regolamento come parametro per la classificazione dei prodotti finanziari, influenzando peraltro la nomenclatura dei fondi di investimento.
Basti pensare a come il mercato abbia elaborato una categoria intermedia di prodotti finanziari non codificati dalla normativa, definiti come “Art. 8 plus” o “mid green” i quali, oltre a promuovere caratteristiche ambientali e/o sociali, contengono al loro interno anche una minima quota di “investimenti sostenibili”.
Ora, sebbene i principi di rendicontazione previsti dalla CSRD per le attività di impresa e di disclosure imposti, ancor prima, dal SFDR per i servizi finanziari, concorrano su piani diversi, non può sottacersi come gli stessi siano lati opposti della stessa medaglia; il trait d’union è da rinvenirsi nel regolamento 2020/852 (c.d. “Taxonomy Regulation – TR”), il quale riconduce ad unità gli obblighi della CSRD e del SFDR attraverso un “sistema di classificazione” per identificare le attività e gli investimenti ecosostenibili che contribuiscono in modo significativo ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali e climatici identificati all’art. 9 dello stesso regolamento[2].
In forza del TR, sia le imprese soggette alla rendicontazione prevista dalla CSRD, sia gli operatori finanziari, sono tenuti ad integrare nei loro report le informazioni relative all’allineamento alle attività previste dalla tassonomia; in particolare, da un lato le imprese non finanziarie devono comunicare “come e in che misura” le proprie attività sono associate ad attività economiche considerate ecosostenibili ai sensi degli articoli 3 e 9 del TR, dall’altro, gli operatori finanziari, devono descrivere “come e in che misura” gli investimenti sottostanti i prodotti finanziari si riferiscano ad attività economiche considerate ecosostenibili.
La tassonomia, dunque, sancisce il sodalizio tra gli interventi normativi settoriali del legislatore europeo, riconducendoli ad una sistematicità volta ad incrementare la trasparenza del mercato in modo trasversale, attraverso l’incremento dell’attendibilità e della comparabilità delle informazioni di sostenibilità di imprese, operatori e servizi finanziari.
Tali informazioni, infatti, benché attengano a piani diversi, sono tra loro interdipendenti e funzionalmente connesse: le rendicontazioni di sostenibilità previste dalla CSRD vengono attinte dagli operatori finanziari e utilizzate, a loro volta, ai fini di adempiere agli obblighi di disclosure previsti dal regolamento SFDR, fornendo dati quantitativamente e qualitativamente, idonei alla misurazione e alla valutazione del “Valore ESG” delle aziende e degli investimenti.
È in tale contesto che si è concretizzato il “valore autonomo” della sostenibilità, dato dall’integrazione dei fattori ESG nelle strategie di sviluppo e gestione aziendale, che ha gradualmente assunto un’importanza trasversale per tutti i player del mercato, espletando – ad oggi – un’efficacia speculare, interna ed esterna alle imprese.
È ormai evidente come l’adozione di modelli interni ispirati alla Corporate Social Responsability e volti alla creazione di valore condiviso a tutela degli interessi di tutti gli stakeholder aziendali riverberi i propri impatti – in termini di opportunità e rischi – anche sul mercato dei capitali, sull’accesso al credito e sulle strategie di imprese ed investitori, orientate da criteri di valutazione del tutto innovativi, non più ancorati soltanto al rendimento economico-finanziario dell’attività, ma che prescindono sempre meno dall’allineamento delle performance ai fattori ESG.
4. Le operazioni M&A: cartina tornasole del Valore ESG
Il Valore ESG non è più dunque confinato alla sfera dei dati non-finanziari, ma rappresenta un vero e proprio elemento costitutivo della valutazione complessiva del valore economico degli investimenti, in grado di influenzarne i rischi e la redditività nel medio-lungo periodo.
Ciò emerge chiaramente nell’ambito delle operazioni di fusione e acquisizione, nelle quali la penetrazione trasversale dei fattori ESG, sia a livello normativo che di mercato, ha integrato le strategie economico-finanziarie dei dealmakers, sia corporate che di private equity, condizionando significativamente le operazioni sotto diversi profili, dall’individuazione e analisi preliminare delle società target, alla determinazione del pricing e al deal-design, sino alla fase post-closing.
Driver principale dell’impatto crescente dei fattori ESG sulle operazioni M&A è rappresentato dagli interventi normativo-regolamentari in tema di report di sostenibilità e disclosure ESG e, principalmente, dalla pressione generata sugli operatori proprio dalla sopra citata loro crescente vincolatività; inoltre, come detto, è divenuta rilevante l’attenzione crescente degli investitori a ricercare migliori performance ESG sia in considerazione degli impatti di esse sulla reputazione aziendale e sulla brand identity generati delle scelte ESG oriented dei consumatori, sia per contenere e mitigare i rischi connessi alle questioni di sostenibilità.
5. Le politiche ESG nelle fasi del processo di acquisizione
L’integrazione dei fattori ESG nelle strategie di M&A sta inevitabilmente rimodellando i processi di acquisizione comportando impatti concreti sia dal punto di vista metodologico ed applicativo, che sostanziale in termini di valore e costo del capitale.
Ad uscirne profondamente innovati sono, in primo luogo, i criteri valutativi che guidano il processo di selezione e valutazione della società target e che denotano l’ormai diffusa attenzione dei dealmaker alle tematiche di sostenibilità ambientale, sociale e di governance, nella convinzione, comprovata da dati empirici, che migliori performance ESG generino rendimenti finanziari superiori nel medio-lungo periodo, riducendo i rischi.
L’analisi prospettica dell’allineamento ai fattori ESG della target, pertanto, consente agli operatori la valutazione di opportunità di creazione di valore, nonché di mitigazione di eventuali potenziali rischi dell’attività e rappresenta, come detto, un parametro costitutivo autonomo che concorre alla determinazione del valore complessivo della società target; infatti, in ragione delle interazioni tra sostenibilità, redditività e rischio che sottendono il Valore ESG, i migliori rendimenti prodotti dalle società ESG oriented, influiranno sull’aumento del loro valore stimato nell’operazione mentre, eventuali impatti negativi, costituiranno una leva in diminuzione del prezzo, di richiesta di maggiori e più ampie garanzie sino a poter rappresentare veri e propri deal breaker; si pensi, ad esempio, a società target che svolgano attività in settori particolarmente inquinanti o non in linea con condizioni di lavoro adeguate e alle ricadute anche in termini reputazionali.
Il successo dell’operazione, quindi, tradizionalmente connesso a considerazioni di carattere economico-finanziarie, può essere oggi compromesso da criticità legate a questioni di sostenibilità, atteso l’ampliamento del focus degli operatori dal valore finanziario a breve termine alla creazione di valore nel lungo periodo.
A fronte di ciò, è divenuto essenziale analizzare gli aspetti di sostenibilità ambientale, sociale e di governance relativi all’attività della società target sin dalla fase iniziale dell’operazione, ampliando il novero dei tradizionali dati finanziari e legali assunti nel corso della due diligence, con specifiche informazioni necessarie alla determinazione del valore ESG.
La due diligence legale e fiscale assume, pertanto, il ruolo aggiuntivo di strumento principale per la misurazione dell’impatto delle questioni di sostenibilità sulle procedure di acquisizione, consentendo di rilevare rischi nascosti e potenziali opportunità ed in grado di incidere – come visto – sulla valorizzazione dell’azienda, stimandone la redditività nel medio-lungo periodo e le implicazioni sull’attrazione degli stakeholder.
Tuttavia, oltre alla due diligence classica, risulta ormai imprescindibile lo svolgimento di un’apposita indagine sulla performance di sostenibilità della società target, che va dall’analisi delle strategie interne di CSR, alla valutazione ESG effettuata da agenzie di rating esterne che certificano, attraverso l’attribuzione di un punteggio di sintesi (c.d. score ESG), il commitment e l’allineamento delle strategie aziendali rispetto ai fattori ambientali, sociali e di governance, nonché la loro compliance alle normative in materia di sostenibilità.
Inoltre, le principali criticità riscontrate dagli operatori rispetto ai rating ESG sono riconducibili:
- a bias spesso legati alle dimensioni aziendali e alla eterogeneità delle metriche sottese all’attribuzione degli score data dalle diverse metodologie applicate dai provider;
- alle difficoltà di reperire dalle aziende informazioni complete e di elevata qualità sulle tematiche ESG.
Detto ciò è prevedibile che gli obblighi di disclosure e la standardizzazione del reporting di sostenibilità, da ultimo introdotti a livello comunitario e nazionale, impatteranno positivamente sulla qualità della due diligence ESG strumentale alle operazioni M&A, riducendo le asimmetrie informative e comportando dati più attendibili e maggiormente comparabili ai fini della valutazione delle performance ESG delle target nonché consentendo l’estensione della valutazione alla loro supply chain in considerazione di quanto va profilandosi al riguardo con la CSRD e la CS3D.
Tuttavia, l’impatto sicuramente più pervasivo dei fattori ESG sulle operazioni di acquisizione, è quello sul pricing, che rappresenta la traduzione concreta in termini di quantificazione di rendimento economico-finanziario del valore ESG emerso in fase di due diligence.
Sebbene le metriche e i paramenti per la valutazione di tale componente aggiuntiva sul valore complessivo dell’operazione siano, ad oggi, ancora in via di sviluppo e particolarmente complesse nella loro elaborazione, ricerche ed indagini di mercato[3] hanno dimostrato un impatto direttamente proporzionale sul premio di acquisizione con la predisposizione, da parte della maggioranza degli operatori, a remunerare il valore ESG in una percentuale compresa tra il 10% e il 20% (con picchi minoritari che si spingono sino al 40%) a quelle imprese che dimostrino un idoneo allineamento alla sostenibilità.
Peraltro, si ritiene che l’interazione tra fattori di sostenibilità e premio di acquisizione possa essere ancora più evidente e il c.d. “ESG premium” ancora più impattante rispetto al valore as is delle società, nell’ambito di quelle operazioni in cui i fattori ESG non rappresentano soltanto uno dei diversi parametri valutativi da tenere in considerazione seppur in via non dirimente, ma incarnano la ratio stessa dell’acquisizione, permeando l’intero processo di integrazione post-deal.
Le principali operazioni ESG driven, infatti, non si limitano allo screening relativo all’allineamento della target ai fattori di sostenibilità, ma hanno come obiettivo la creazione di valore attraverso:
- l’incremento delle performance della stessa target attraverso l’ottimizzazione, in ambito ESG, degli assetti di gestione interni, della governance e delle strategie aziendali legate alla sostenibilità;
- l’incremento delle performance della società acquirente attraverso l’integrazione del profilo ESG di una società target più performante o con competenze complementari, volte al conseguimento di una quota di mercato, di un vantaggio competitivo e reputazionale, di cross-sailing o di beneficio connesso al flusso di capitale da parte degli investitori, attraverso sinergie operative e finanziarie.
6. Conclusioni
Le operazioni M&A rappresentano, dunque, la cartina tornasole della “dignità autonoma” acquisita dal Valore ESG sul piano economico-finanziario e della sua correlazione da un lato direttamente proporzionale al valore del capitale economico e potenziale dell’azienda, dall’altro inversamente proporzionale all’impatto dei rischi.
In considerazione della centralità dei fattori ESG sul mercato e della loro crescente importanza per imprese ed investitori – le cui strategie, come visto, non sono più orientate esclusivamente dai rendimenti monetari, bensì anche dalla ricerca di asset con alte performance ESG – diviene quanto mai opportuno garantire al mercato valutazioni ESG quanto più coerenti e trasparenti.
Sotto questo punto di vista, gli interventi normativo-regolamentari adottati in ambito europeo e nazionale – sebbene possano comportare delle variabili di costo e di rischio connesse agli obblighi, diretti ed indiretti, di adeguamento – rappresentano uno strumento per migliorare le performance ESG di imprese, investitori ed istituzioni e concorrono, come visto, a garantire informative di sostenibilità maggiormente dettagliate, chiare e quanto più possibile standardizzate.
Ci si attende, quindi, che questa imponente spinta alla creazione di un quadro ESG unificato possa semplificare la comparabilità delle valutazioni ESG, offrire criteri chiari ed univoci ad aziende ed investitori e spingere il mercato verso un nuovo paradigma condiviso per la misurazione del valore e del rischio che tenga conto degli effettivi impatti economici e finanziari della sostenibilità.
[1] Al considerando (8) della CSDR è esplicitata la ratio della scelta lessicale operata dal legislatore: “Molti portatori di interessi ritengono che l’espressione «di carattere non finanziario» sia imprecisa, in particolare perché implica che le informazioni in questione non siano affatto pertinenti sul piano finanziario. Sempre più spesso, tuttavia, tali informazioni sono in realtà pertinenti sul piano finanziario. Molte organizzazioni e iniziative e molti professionisti del settore della rendicontazione di sostenibilità fanno riferimento alle «informazioni sulla sostenibilità». È dunque preferibile utilizzare l’espressione «informazioni sulla sostenibilità» anziché «informazioni di carattere non finanziario»”.
[2] Il regolamento TC è stato progressivamente integrato da regolamenti delegati aventi ad oggetto criteri di vaglio tecnico per consentire la valutazione dell’allineamento di una attività e di un investimento ai sopra indicati obiettivi, fermo restando il rispetto del principio generale del “Do not significant harm” (DNSH) in forza del quale, ogni attività che sia allineata ad un obiettivo, non deve al contempo danneggiarne significativamente altri.
[3] Intralinks, 2022