Ai sensi dell’art. 140, comma terzo, L.F., i creditori non sono tenuti a restituire quanto riscosso in base al concordato fallimentare risolto o annullato. Tale principio è applicabile anche al concordato preventivo cui poi segua la sentenza dichiarativa di fallimento e deve interpretarsi nel senso che sono, eventualmente, restituibili solo i pagamenti eseguiti in violazione dei limiti stabiliti nella sentenza di omologazione o del principio della “par condicio creditorum”.
Nella sentenza in esame, la Suprema Corte ha precisato che l’azione del curatore ex art. 2033 c.c. finalizzata ad ottenere, una volta intervenuta la risoluzione del concordato preventivo e il conseguente fallimento, la restituzione dei pagamenti estranei alla predetta procedura è un’azione che, pur distinguendosi quanto ai presupposti dalle azioni ex art. 66 e art. 67 L.F., si prescrivere non nell’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c., bensì nello stesso termine quinquennale previsto, in via generale, per tutte le revocatorie, ivi comprese quelle fallimentari (cfr. Cass. 605/2013, 13244/2011 e 15960/2007).
Sulla base di tali argomentazioni, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e, per l’effetto, ha rigettato la domanda del Fallimento perché esercitata dal curatore oltre il termine di prescrizione quinquennale.