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Giurisprudenza

I presupposti per il sequestro diretto nei confronti dell’amministratore nei reati tributari

26 Febbraio 2018

Matteo Porqueddu, Tremonti Romagnoli Piccardi e Associati

Cassazione Penale, Sez. III, 08 settembre 2016, n. 37256 – Pres. Squassoni, Rel. Grillo

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento la sezione Penale della Corte di Cassazione, si è pronunciata con riferimento al rigetto di un appello, da parte del Giudice del Riesame, proposto dal Pubblico Ministero contro una ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari con la quale era stata rigettata la richiesta di sequestro preventivo per equivalente nei confronti dell’amministratore di una società ed, in via subordinata, nei confronti della società medesima in ordine al reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

In particolare, la Corte di Cassazione con la Sentenza in oggetto nel respingere la tesi del Pubblico Ministero secondo il quale vi era stata un’errata affermazione della fungibilità del denaro ai fini del sequestro diretto ed un altrettanto erronea affermazione della necessità di una preventiva ricerca del profitto, ha affermato il principio per cui la possibilità del sequestro diretto nei confronti dell’amministratore presuppone un’individuazione del profitto costituito da somme di denaro o quanto meno indizi della sua esistenza nel patrimonio del soggetto fisico destinatario della misura cautelare, non essendo di fatto possibile rimettere alla fase esecutiva logicamente successiva il momento della sua individuazione, in considerazione della natura del provvedimento cautelare richiesto.

Sul punto, nelle motivazioni del Giudice del riesame è stata fatta valere la circostanza che non era stata posta in essere alcuna indagine ispettiva rivolta ad individuare il profitto costituito da somme di denaro o quanto meno indizi della sua esistenza nel patrimonio del soggetto persona fisica amministratore destinatario della misura cautelare.

Da qui discende la circostanza che non può essere consentito il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica (i.e. amministratori della società) per reati tributari da costoro commessi, quando non sia possibile individuare le consistenze di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dai predetti organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato.

In questo modo, si limita il rischio relativo al fatto che possano essere oggetto di sequestro beni per un valore sproporzionato rispetto all’effettivo profitto del reato, pregiudicando fortemente il patrimonio dell’indagato.

Anche se in base alle precedenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, si ritiene che sia sufficiente una motivazione che giustifichi la non esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al profitto accertato, è pur vero che diverse pronunce più attente al pregiudizio patrimoniale cagionato dal sequestro specificano che la valutazione del riesame deve concernere in particolare l’equivalenza tra il profitto e l’oggetto della cautela reale (cfr. Cass. Pen. Sez. IV, 12 dicembre 2014, n. 34826/2015).

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