Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione esamina, mediante un interessante parallelismo rispetto alla disciplina della verifica giudiziale dei crediti in sede fallimentare, i principi applicabili alla verifica giudiziale dei crediti nel contesto della procedura di liquidazione dei beni oggetto di sequestro o di confisca di prevenzione.
Nello specifico, il giudice chiamato a pronunciarsi sull’opposizione allo stato passivo della suddetta procedura di liquidazione – così come il giudice delegato in sede fallimentare – dovrà in primo luogo accertare il fondamento giuridico della domanda, potendo rilevare anche d’ufficio tutte le ragioni che possono comportare difetto di fondatezza dell’opposizione e salvo i limiti imposti dalla disciplina processuale.
Inoltre, prosegue la Corte, una volta accertata la strumentalità del credito rispetto all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego (presupposto fondamentale per l’ammissione del credito alla procedura), il creditore dovrà dimostrare di avere ignorato in buona fede tale nesso di strumentalità. A tal proposito, secondo i giudici di legittimità, la buona fede sarà da riconoscere qualora emerga una credibile inconsapevolezza delle attività svolte, con la conseguenza che il convincimento sulla situazione apparante deve risultare incolpevole e basata sul principio civilistico del ragionevole affidamento. Per converso, la buona fede non potrà essere invocata, conclude la Corte, dal soggetto che versi in situazione di negligenza per aver trascurato l’osservanza di obblighi di legge o delle comuni norme di prudenza che avrebbero consentito l’accertamento della realtà dei fatti.