La vicenda processuale de qua trae origine dalla chiamata in giudizio avanti il Tribunale di Lanciano effettuata da una società ai danni di un primario istituto di credito, per sentire pronunciare la natura usuria di un contratto di finanziamento, la conseguente condanna della banca alla restituzione di tutti gli interessi pagati e la riduzione del debito rateale circoscritto alla sola quota capitale prevista nel piano di ammortamento.
A seguito della vocatio in ius, l’azienda, del tutto solida dal punto vista finanziario e patrimoniale, aveva sospeso i pagamenti rateali verso la banca usuraria, in ragione del fatto che il monte interessi pagato e chiesto in ripetizione era notevolmente superiore al debito residuo a scadere in linea capitale.
Senonché, durante la vertenza (ad oggi ancora pendente), la banca, sorda alle rivendicazioni e nonostante la contestazione giudiziale del credito [1], riteneva senza alcun preavviso o formale motivazione di segnalare a sofferenza la società attrice presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia.
Naturalmente la segnalazione innescava il noto “effetto domino” e gli altri istituti bancari con i quali l’azienda, segnalata come inaffidabile ed insolvente, intratteneva rapporti, revocavano immediatamente le linee di credito concesse; come è facile immaginare, l’improvvisa preclusione del credito dava ingresso ad una pericolosa crisi di liquidità.
La società proponeva dunque ricorso d’urgenza in corso di causa, sostenendo la illegittimità della segnalazione a sofferenza la quale, con tutta evidenza, era stata effettuata per ripicca ed a scopo ritorsivo, ovvero nell’intenzione di costringere la società vessata al pagamento degli interessi usurari.
Il Giudice monocratico del Tribunale di Lanciano rigettava il ricorso e la società proponeva immediato reclamo al Collegio; questi, in accoglimento di tutte le doglianze, riformava la decisione del Giudice monocratico confermando le tesi difensive ed enucleando una serie di condizioni necessarie affinché la segnalazione a sofferenza di un’impresa possa essere ritenuta legittima.
In primisil Collegio lancianese, aderendo all’orientamento maggioritario [2], afferma che la segnalazione a sofferenza di un’impresa in Centrali Rischi della Banca d’Italia deve essere sempre preceduta dalla comunicazione di preavviso, il cui onere di avvenuta effettuazione grava sul segnalante.
L’obbligatorietà del preavviso di segnalazione – anche al di fuori del credito al consumo – nel provvedimento annotato è ritenuto traibile “dalle previsioni di cui all’art. 125 comma 3 TUB, di cui all’art. 4 comma 7 del Codice in materia di protezione dei dati personali – Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, e di cui alla Circolare 139 in data 11.2.1991 della Banca d’Italia. Premesso che nel caso in esame viene all’attenzione una iscrizione a “sofferenza”, il riferimento deve essere inteso al capitolo 2, sezione II, paragrafo 1.5 della circolare 139/1991, la quale prevede che “gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza”, pur se “tale obbligo non configura in alcun modo una richiesta di consenso all’interessato per il trattamento dei suoi dati”.
Posti dunque i riferimenti normativi, il Collegio precisa che l’informativa obbligatoria non può che essere intesa come preventiva; tanto è vero che la disposizione chiarisce che essa non possa essere configurata quale richiesta di consenso, essendo piuttosto finalizzata a consentire al cliente di approntare i possibili rimedi, in vista del rientro dalla propria obbligazione.
Richiamando poi Cass. n. 21428/07, sancisce che l’appostazione di un credito a sofferenza non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito, ma presuppone l’esercizio di una valutazione e di una ponderazione complessa da parte della banca dalla quale si evinca lo stato di difficoltà economica e finanziaria in cui versa il cliente e la riscossione del credito a rischio, con riferimento a tutti i dati sintomatici desumibili dalla liquidità del soggetto, la sua capacità produttiva e reddituale, la situazione di mercato in cui opera, l’ammontare complessivo del credito, fermo restando che non possono tali elementi integrare da soli i presupposti per la segnalazione laddove la concreta situazione del cliente non crei allarme quanto alla sua generale solvibilità [3].
A tal fine, in via generale il Tribunale collegiale ritiene che l’istituto bancario deve attentamente procedere all’istruttoria per l’accertamento della posizione di sofferenza con la diligenza di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., anche in considerazione del fatto che attiva tale istruttoria unilateralmente, senza contraddittorio con la parte interessata: il richiamo alla diligenza professionale, ad avviso di chi scrive, è quanto mai felice ed opportuno e si armonizza perfettamente con l’art 26 del TUB [4] in tema di disciplina dei requisiti e dei criteri di idoneità degli esponenti delle banche.
Conformandosi poi all’orientamento comune della giurisprudenza di merito [5] e di legittimità [6], il Collegio afferma che la condizione di insolvenza del cliente va intesa non nell’accezione recepita dall’art. 5 della legge fallimentare, bensì come situazione di difficoltà economica che rende verosimile, ma non necessariamente attuale o già attuato, il recupero coattivo, senza escludere le possibilità di rientro o ristrutturazione del debito.
Tanto premesso e ritenuto, il Giudice collegiale conclude che è illegittima la segnalazione a sofferenza quando la banca non dimostri di aver effettuato un’istruttoria nei sensi di cui sopra e con riferimento a tutti gli indici evidenziati, limitandosi, in una sorta di automatismo che certamente contraddice la ratio delle istruzioni richiamate, a verificare solo l’inadempimento del cliente che motivava il mancato pagamento del debito contestandone l’esistenza e la quantificazione; né alla mancanza di istruttoria preventiva può supplirsi con una valutazione effettuata ex post fondata essenzialmente sul bilancio della società, facendo peraltro rilevare che, in ogni caso, anche una rilevante esposizione debitoria emergente dal bilancio non potrebbe essere isolatamente considerata, dovendo, piuttosto, essere letta nel contesto di tutte le risultanze contabili nonché di altri inizi di insolvenza quali quelli sopra delineati.
Ebbene, sulla scorta di tutte le suesposte considerazioni, l’ordinanza de qua reputa sussistere nella fattispecie in esame il fumus.
Circa il periculum, il Collegio ritiene che esso possa essere facilmente desunto da indici presuntivi [7], posto che la segnalazione ha proprio lo scopo di rendere edotte le banche sull’identità dei soggetti inaffidabili i quali, verosimilmente, non potranno più accedere al credito, con conseguente pregiudizio che assume il carattere dell’irreparabilità nel caso in cui la parte abbia bisogno di ricorrere a finanziamenti per lo svolgimento della propria attività imprenditoriale [8].
In conclusione, acclarata nella fattispecie di causa la illegittimità della segnalazione a sofferenza operata dell’intermediario resistente, il Collegio, riformando l’ordinanza del Giudice monocratico, ha condannato la banca segnalante affinché provveda all’immediata cancellazione del nominativo della società istante come a sofferenza nella Centrale
[1] Ai sensi del paragrafo 1.5 della Sezione 2 del Capitolo II della Circolare della Banca d’Italia n° 139/1991 vigente ratione temporis (14° aggiornamento, idem nell’attuale vigente 16° aggiornamento), rubricato “Sofferenze”, “La contestazione del credito non è di per sé condizione sufficiente per l’appostazione a sofferenza”.
[2] Cfr. Trib. Asti dd. 25.06.15, Trib. Como dd. 10.10.16, Trib. Verona dd. 17.05.14 e 07.07.14, Trib. Locri dd. 12.04.16; Trib. Foggia dd. 15.11.14, Trib. Udine 18.01.2017; Trib. Napoli, 16.04.15.
[3] In proposito, è noto che un primo indice viene tradizionalmente riconosciuto nell’esistenza di PROTESTI a carico del debitore (cfr. Trib. S. Remo 19.3.2002 in www.ilfallimento.it); ciò a fortiori quando i titoli protestati siano rilasciati allo stesso convenuto (cfr. Cass. 28.4.1998 n. 4318). Analogo valore indiziario assume l’esistenza di PROCEDURE ESECUTIVE, con la precisazione che, qualora si tratti di esecuzione mobiliare, non sussiste un elemento che riveli inequivocabilmente la crisi economica dell’imprenditore, data l’assenza di pubblicità che connota tale procedura (Trib. Venezia 15.12.2000 in Foro Padano 2001, I, 399). Anche L’ISCRIZIONE DI UN’IPOTECA viene considerata indizio che, unito ad altri, manifesta lo stato di dissesto, ponendo a carico del terzo un indizio a suo svantaggio (Cass. 14.4.1994 n.3507), come la trascrizione di un SEQUESTRO CONSERVATIVO (Cass. 7.8.1997 n.7298), senza contare che in entrambi i casi vige la pubblicità dei registri immobiliari. Un altro segnale viene talvolta rinvenuto nella emissione di DECRETI INGIUNTIVI, soprattutto nel caso in cui il creditore sia un’impresa di dimensioni rilevanti (vedasi Trib. Milano 21.5.1992 in Dir. Fall. 1992, 982). Solo nel caso di società di ingenti dimensioni, un considerevole “termometro” dell’insolvenza è dato dal bilancio, tanto che in alcuni casi lo si considera elemento decisivo a prescindere da ulteriori sintomi del dissesto (così Corte App. Bologna 13.4.2000 in Dir. Fall. 2000, II, 782). Ancora, sono ritenuti apprezzabili tutti quei segnali che denotano una degenerazione degli ordinari rapporti imprenditoriali: si pensi ai reclami dei fornitori, alle rateizzazioni del credito, ai ritardi dei pagamenti o al ricorso a mezzi anormali nell’esecuzione degli stessi (cfr. Trib. Padova 1.3.2002 in Giur. merito 2002, 1264).
[4] Art. 26 del TUB: 1. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche devono essere idonei allo svolgimento dell’incarico. 2. Ai fini del comma 1, gli esponenti devono possedere requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza, soddisfare criteri di competenza e correttezza, dedicare il tempo necessario all’efficace espletamento dell’incarico, in modo da garantire la sana e prudente gestione della banca.
[5] Trib. Prato 14.10.2013, Trib. Enna, 3.12.2013, Trib. Milano 23.9.2009, Trib. Benevento 7.9.2009, Trib. Santa Maria Capua Vetere 28.5.2009, Trib. Trapani 20.1.2009, Trib. Matera 18.6.2008, tutte in www.ilcaso.it.
[6] In argomento cfr. anche Cass. 24.5.2010, n. 12626; Cass. 18.4.2009, n. 7958: la segnalazione di una posizione ‘a sofferenza’ presso la Centrale dei rischi della Banca d’Italia deve essere determinata dal riscontro di una complessiva situazione patrimoniale deficitaria del cliente, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione di insolvenza.
[7] Nell’ordinanza si richiama tra le tante Tribunale Napoli, 1.12.2017 e Tribunale Cuneo, 19.07.2017.
[8] Piace citare Tribunale Enna del 15.10.15 perché riassume compiutamente l’attuale prevalente giurisprudenza di merito secondo cui “in ipotesi di illegittima segnalazione di uno stato di sofferenza alla Centrale Rischi, i caratteri della gravità e della irreparabilità del danno richiesti ai fini della tutela d’urgenza possono ritenersi sussistenti in re ipsa, per il solo fatto dell’avvenuta segnalazione, considerato che dalla segnalazione alla centrale deriva un serio e concreto pericolo, imminente ed irreparabile, di danno: a) all’immagine imprenditorial-professionale dell’azienda (cfr. Trib. Roma 22.02.2012), b) all’esercizio dell’azienda in termini di ridotta capacità di accesso al credito, dal momento che il soggetto “segnalato” viene percepito come “persona in stato di quasi insolvenza”, con conseguente restrizione nell’accesso al credito e pericolo per il regolare svolgimento dell’impresa (Cfr. Trib. Nocera cit.; Trib. S. Maria C. V. 28.05.2009; Trib. Matera 18.06.2008. “ll periculum in mora è ravvisabile nella irreversibilità degli effetti connessi alla conseguente restrizione creditizia, non ristorabili con un “risarcimento per equivalente”. Cfr. anche Tribunale di Cuneo, 04 aprile 2017; Tribunale Milano, 14 aprile 2016; Tribunale Milano, 16 giugno 2015.