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Giurisprudenza

I requisiti essenziali del contratto quadro: la sostanza, oltre alla forma

22 Novembre 2017

Avv. Letizia Vescovini

Tribunale di Mantova, 26 luglio 2017, n. 754 – G.U. Fioroni

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza 754/2017 il Tribunale di Mantova ha condannato Banca alla restituzione del controvalore investito in obbligazioni Lehman Brother in quanto il contratto quadro di negoziazione titoli risultava privo dei requisiti di sostanza e di forma prescritti dalla legge.

Il contratto quadro di intermediazione finanziaria dà origine ad un rapporto continuativo di prestazione di servizi di intermediazione e disciplina i diversi servizi alla cui prestazione l’intermediario si obbliga verso il cliente.

Dovendo tale contratto regolare il rapporto tra cliente e intermediario, secondo il Tribunale di Mantova, non è previsto soltanto un requisito di forma scritta a pena di nullità, ma anche un contenuto minimo costituito dall’indicazione della natura dei servizi forniti, delle modalità di svolgimento del servizio, dell’entità e dei criteri di calcolo della remunerazione dell’intermediario.

Va premesso che il contratto di intermediazione finanziaria, inquadrabile in senso ampio nella figura del mandato, dà origine ad un rapporto continuativo di prestazione di servizi di intermediazione e disciplina i diversi servizi alla cui prestazione l’intermediario si obbliga verso il cliente. Proprio per questo è destinato ad assolvere alla funzione di contratto quadro rispetto alle successive attività negoziali in cui poi si estrinsecherà l’espletamento dei servizi di investimento ed accessori. Detto contratto, avente ad oggetto la prestazione dei servizi di investimento, regola il rapporto tra cliente e intermediario, stabilendo i servizi forniti e le loro caratteristiche, la durata del rapporto, le modalità di rinnovo o di modifica del suo contenuto, le modalità con le quali il cliente impartisce ordini o istruzioni all’intermediario, la frequenza, il tipo ed i contenuti della documentazione di rendiconto dell’attività dallo stesso svolta. Per il contratto quadro è quindi previsto non soltanto un requisito di forma scritta a pena di nullità, ma anche un contenuto minimo – che deve, in quanto prescritto dalla legge, avere la medesima forma – costituito dalla indicazione della natura dei servizi forniti, delle modalità di svolgimento del servizio, dell’entità e dei criteri di calcolo della remunerazione dell’intermediario. Se il D.Lgs. n. 58/1998 non fissa un contenuto minimo relativamente al contratto quadro, i requisiti di contenuto devono essere ricavati dalla normativa secondaria, vale a dire dai regolamenti emanati dalla Consob, delegata a disciplinare l’esercizio dell’attività di intermediazione”.

Il principio espresso dal Tribunale di Mantova è di particolare interesse in quanto, a prescindere dalle sottoscrizioni del contratto (quindi anche nel caso in cui ci fossero entrambe), il contratto quadro privo del contenuto minimo è comunque nullo, con diritto per il cliente di riottenere la somma investita.

Il vizio, nel caso esaminato dal Tribunale di Mantova, potrebbe riguardare tutti i contratti quadro non correttamente aggiornati a seguito dell’entrata in vigore della MIFID e quindi potrebbe rappresentare un importante argomento da utilizzare nella tutela degli azionisti e obbligazionisti di Banca.

Sino ad oggi, l’attenzione della giurisprudenza è stata attratta dalla sottoscrizione del contratto quadro: ricordiamo che l’art. 23 TUF prescrive la forma scritta a pena di nullità del contratto quadro di negoziazione titoli e per “forma scritta” si intende la manifestazione per iscritto del consenso alla conclusione del contratto, tramite appunto la firma dello stesso, da parte di entrambi i contraenti (banca e cliente).

La Cassazione con le sentenze n. 5919 del 24 marzo 2016; n. 7068 dell’11 aprile 2016; n. 8395 del 27 aprile 2016; n. 10711 del 24 maggio 2016 ha confermato la nullità dei contratti di intermediazione di cui all’art. 23 TUF, sottoscritti dal solo cliente e privi invece della firma della banca i così detti contratti “monofirma”.

Su tale aspetto saranno chiamate ad esprimersi anche le sezioni Unite della Cassazione, a seguito dell’ordinanza del 27 aprile 2017, affinché chiariscano se il requisito della forma scritta del contratto di investimento (ma il principio vale per tutti i contratti bancari) esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione dell’intermediario.

Chi sostiene la validità del contratto sottoscritto solo dal cliente (c.d. monofirma) ritiene che gli articoli 117, comma 1, T.U.B.:

“I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”

e 23, comma 1, T.U.F.:

“I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori, sono redatti per iscritto, in conformità a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE, e un esemplare è consegnato ai clienti”,

nel prevedere la forma scritta, mirino ad assicurare l’informazione del cliente in merito alle condizioni del contratto concluso.

La forma scritta avrebbe il:

"fine di assicurare la piena e corretta trasmissione delle informazioni al cliente, nell’obiettivo della raccolta di un consenso consapevole alla stipula del contratto (il consenso informato)"(cassazione civile, sez. I, ordinanza 27/04/2017 n. 10447).

Finalità che potrebbe considerarsi assicurata con la consegna di un esemplare del contratto poi sottoscritto solo dal cliente (e quindi non anche dalla banca).

Se però lo scopo delle norme citate fosse effettivamente solo quello di informare il cliente delle condizioni contrattuali alle quali si è vincolato con l’intermediario, la sua sottoscrizione dovrebbe semmai avere funzione di ricevuta delle stesse, con la mera finalità, quindi, di attestare l’adempimento della consegna delle predette condizioni contrattuali da parte del soggetto obbligatovi per legge.

Se così fosse mi pare ovvio che non si potrebbe affatto parlare di contratto monofirma perché nessun contratto in realtà il cliente avrebbe sottoscritto trattandosi piuttosto di una ricevuta delle informazioni ricevute, il che però implicherebbe che il contratto ha forma libera e quindi potrebbe essere concluso oralmente, con ogni ulteriore conseguenza in ordine all’onere della prova.

La tesi pare smentita dallo stesso dato letterale delle norme citate.

Il termine "esemplare" (del contratto) utilizzato dal legislatore in entrambi gli articoli sopra indicati può essere considerato come un sinonimo di copia e fors’anche di originale.

Si prevede insomma che una copia del contratto (normalmente redatto in due originali) venga consegnata al cliente.

Il che evidentemente implica che il contratto abbia forma scritta e quindi richieda la sottoscrizione, per l’assunzione di paternità del suo contenuto ex art. 2702 c.c., di entrambe le parti.

Non vi sarebbe dunque alcuno spazio nel nostro ordinamento per un contratto con forma scritta ad substantiamconcluso in forza della sottoscrizione di una sola delle parti.

Nessun contratto “Polifemo”, insomma, sarebbe stato introdotto nel nostro ordinamento dagli articoli dei testi unici sopraindicati.

Tale assunto non è smentito dalla prassi bancaria di ricorrere alle forme di perfezionamento del contratto tra parti non presenti (ex art. 1326 c.c.), ovvero tra parti non presenti l’una di fronte all’altra.

È usuale (la finalità di tale finzione rimane ignota, non potendo essere quella fiscale), infatti, che diversi contratti con la banca risultino perfezionatisi secondo lo scambio di una proposta del cliente (benchè su modulistica della banca) e successiva (ipotetica, poiché magari mancante nel caso concreto) accettazione della banca. Il che ovviamente non rappresenta praticamente mai l’effettivo svolgimento degli eventi dato che il cliente quasi sempre si trova presso lo sportello della bancae quindi il modo di conclusione del contratto dovrebbe essere quello “tra presenti” al quale non è pertinente lo scambio di proposta e accettazione.

In tali ipotesi la banca riceve la proposta sottoscritta dal clientee dovrebbe comunicargli la sua accettazione (nulla vieta tuttavia che l’accettazione della banca, se la proposta del cliente è completa anche delle obbligazioni della banca e di fatto rappresenta quindi l’intero contenuto del contratto, possa anche consistere in una frase del tipo “per accettazione” in calce alla proposta, seguita dalla sottoscrizione del funzionario della banca).

Ciascuna parte dovrebbe poi provvedere a sottoscrivere (così “documentalmente” chiudendo il contratto, anche solo per mere finalità probatorie) quanto consegnatole dall’altra (salvo che il cliente abbia già trasmesso due originali della sua proposta entrambi sottoscritti, ché in tal caso gli dovrebbe essere restituito dalla banca solo uno dei due originali dalla stessa sottoscritti).

L’esemplare di cui viene richiesta dalla legge la consegna al cliente dovrebbe quindi essere il documento o l’insieme di documenti (nel caso in cui proposta e accettazione siano distinte da un punto di vista documentale) che consentano di documentare quanto pattuito, pur sempre per iscritto, dalle parti.

E se deve documentare quanto pattuito dalle parti è ovvio che quanto trasmesso al cliente debba recare la sottoscrizione della banca, posto che la proposta del cliente finchè non viene accettata dalla banca non vale a documentare alcun accordo.

La conclusione, a prescindere dalle concrete modalità (vere o fittizie) di conclusione del contratto, non cambia: la veste dei contratti richiesta dal T.U.B e dal T.U.F. pare essere proprio la forma scritta “classica” conosciuta dal nostro codice civile e quindi quella che prevede un testo contrattuale recante la sottoscrizione di entrambi i paciscenti e non vi è alcuno spazio per un “mostruoso” contratto monofirma.

Alle sezioni unite spetta però l’ultima parola, per cui non resta che attendere il loro pronunciamento.

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