L’ultimo decennio è stato testimone di una profonda trasformazione. Dapprima si è assistito a una crisi economico finanziaria di portata globale che ha stravolto i principi su cui si fondava il sistema bancario e, più in generale quello industriale. Globale, perché gli effetti si sono propagati con forza in tutti i Paesi, interessando non soltanto il mondo della finanza, ma anche tutte le economie mondiali. Modelli, studi e analisi non sono riusciti a prevedere la portata di tali effetti, ma soprattutto sono mancati riferimenti teorici e dati per poter proiettare e comprendere nel tempo il perdurare della crisi stessa. Anche gli interventi da parte dei governi e delle autorità centrali, in diversi casi, sono stati dapprima attendisti e successivamente prudenti per poi comprendere che gli strumenti da utilizzare per stimolare la ripresa dovevano essere di entità e proporzioni mai utilizzati in passato. Parallelamente è cresciuta la consapevolezza che anche il tessuto normativo e regolamentare andasse rafforzato o, in qualche caso, radicalmente rinnovato: da un lato, con il fine ultimo della stabilità, per creare argini in grado di attenuare il ripetersi di crisi di tale portata e preservare il più possibile l’economia da ingovernabili ampie oscillazioni, dall’altro per cercare di trasformare il settore, ormai sempre più connesso, e ricercare nuove vie per innovare nei servizi e garantire un miglioramento dei livelli di fiducia. Il bilanciamento tra regolamentazione, crescita e apertura all’innovazione è ancora, tuttavia, in fase di consolidamento.
In questo contesto, l’accelerazione della trasformazione digitale, la cui portata non può essere assolutamente paragonata a nessuna spinta innovativa vissuta in passato, ha fatto sì che i confini dei diversi settori d’attività d’impresa divenissero sempre più sfumati.
In tal senso, negli ultimi anni, si è assistito, da un lato, all’offerta di nuovi prodotti e servizi, a elevato contenuto innovativo, da parte di imprese che operavano in settori diversi o affini, dall’altro, alla nascita di nuove iniziative imprenditoriali con caratteristiche digital intensive tese potenzialmente a innovare, e talvolta a stravolgere, processi aziendali consolidati per specifici settori. Alcune tra le più rilevanti caratteristiche comuni dei processi di trasformazione guidati dalla rivoluzione digitale sono: a) quelle relative alla semplificazione e all’accessibilità a prodotti e servizi – fenomeno identificabile con il rinnovato concetto di customer experience; b) quelle che consentono di realizzare prodotti e servizi a contenuto radicalmente innovativo; c) quelle legate alla nascita di nuove imprese che frammentano la catena del valore del mondo bancario e finanziario e che innovano nei processi o nelle modalità di erogazione dei prodotti e servizi finanziari: le fintech.
A livello globale, l’entità di investimento in aziende Fintech è stata talmente rilevante da far pensare, per anni, che il sistema finanziario, nel lungo periodo, potesse essere totalmente, o quasi totalmente, rimpiazzato da imprese innovative, che frammentavano la catena del valore e la supply chain, e che fossero in grado di offrire servizi a elevato contenuto di valore e a basso prezzo. La stampa generalista, quella più specializzata e i canali social hanno dedicato, e continuano a dedicare, ampio spazio a tali temi considerando questo fenomeno come un processo di “democratizzazione” dei servizi finanziari non più controllato o regolato e soprattutto svincolato dalle logiche di potere delle “banche padrone”!
Il settore finanziario, che tradizionalmente, nonostante si sia sempre contraddistinto per i più elevati livelli di spesa e investimento in tecnologie, è stato interessato con ampi effetti da questo processo di cambiamento. La reazione delle imprese finanziarie è stata eterogenea nei tempi, nelle modalità e nelle scelte di investimento. Alcune, tendenzialmente le più grandi, hanno previsto rilevanti investimenti in trasformazione digitale interna, hanno partecipato a fondi o costituito fondi per investire in fintech, e talvolta hanno acquisito tali aziende come scelta di innovazione per inserire nei propri processi aziendali o nei propri servizi alla clientela parte del contenuto delle fintech stesse. Altre hanno reagito, mediante la realizzazione di progetti digitali interni tesi a innovare parti di processo core, e a interpretare il fenomeno fintech come un elemento di open innovation. Tale considerazione ha generato una spinta a considerare alcune delle fintech come “fornitori privilegiati” capaci di conferire elementi di innovazione nei servizi tradizionali.
Tuttavia l’elemento dirompente, in grado di pregiudicare il ruolo prospettico del modo di fare banca, proviene da settori diversi da quello finanziario e non tanto dalle fintech. Ci si riferisce in particolare ai GAFA o agli over the top. Aziende globali quali Google, Apple, Facebook e Amazon, a elevatissima capitalizzazione, capaci di rilevanti investimenti, con un numero di clienti straordinariamente elevato e meno regolamentate di quelle finanziarie che iniziano, a pieno titolo, a erogare servizi finanziari. Si pensi alle iniziative legate al mondo dei pagamenti, che peraltro possono beneficiare della PSD2. Si pensi ancora alla possibilità di accedere a linee di credito erogate da Amazon per quelle aziende che vendono prodotti attraverso Amazon stessa. Apple Pay, Google Pay, Samsung Pay sono dunque realtà in grado di estendere la propria gamma di prodotti e servizi anche ad attività di tipo finanziario. La natura del rapporto si basa su una modalità di interazione dei servizi totalmente “deburocratizzata”, dove le normative sono certamente meno invasive e dove il rapporto con il cliente è stato costruito secondo la semplicità d’uso e di interazione. Assume dunque rilevanza, anche, e forse soprattutto, la customer experience progettata e disegnata senza dover far conto con i sistemi legacy o con una normativa che impone procedure per erogare qualsiasi tipo di servizio. I momenti di interazione con il cliente sono molto più snelli: basta un click per scegliere un prodotto e pagare in via automatica, il riconoscimento può essere abilitato dall’uso dell’impronta digitale o mediante sistemi di intelligenza artificiale con riconoscimento del volto. Non sono più richieste ulteriori password, autenticazione forte, inserimento di dati fiscali e anagrafici per verificare l’identità di un cliente. Tutto è a portata di click. Tutto è a portata di tutti. Per ogni interazione è garantito un livello di sicurezza assolutamente adeguato.
Dunque alcune di queste riflessioni fin qui condivise rappresentano certamente una non definitiva e non approfondita analisi.
C’è tuttavia da chiedersi se, per la sopravvivenza del sistema bancario, o più in generale per quello finanziario, sia necessario rendere più soggetti a norme e vincoli coloro che, pur non essendo operatori bancari, erogano tali servizi alla clientela o se sia necessario semplificare e rendere più snello il sistema normativo nel quale le banche operano? C’è da chiedersi, ancora, se la distanza con le one click company dipenda soltanto dalla normativa o se ci sia un atteggiamento culturale profondamente diverso nell’erogazione dei servizi, nella disponibilità di investimento e nelle capacità di poter sfruttare i rilevanti volumi potenzialmente oggetto di transazione che consentono di conseguire economie di scala non confrontabili?
Ciò che è certo è il rischio di un digital divide sempre più ampio tra imprese di nuova generazione e imprese consolidate che operano in mercati maturi, con una concezione di servizio troppo tradizionale e con una cultura interna del personale non in grado, in alcuni casi, di cogliere le opportunità offerte dall’innovazione digitale.
Sarà dunque necessario comprendere se l’acuirsi di tali distanze sarà uno degli elementi che favoriranno il ricambio generazionale per una nuova visione strategica e una proposizione in chiave rinnovata di servizi o se sarà soltanto il primo passo di un declino annunciato.