Il presente contributo analizza le novità del decreto legislativo n. 139/2024 in materia di imposta sulle successioni e donazioni con specifico riferimento ai trust.
In attuazione della delega fiscale (art. 10, L. n. 111/2023), il D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139 (in G.U. n. 231 del 2 ottobre 2024) razionalizza e riordina le disposizioni riguardanti l’imposta sulle successioni e donazioni[1].
Con specifico riferimento ai trust, le novità introdotte dal D.Lgs. n. 139/2024 erano molto attese, in quanto sistematizzano la relativa disciplina al fine di definire espressamente in via normativa la rilevanza dell’istituto, fino ad ora rimessa alla prassi e alla giurisprudenza. È stato infatti modificato l’art. 1 del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 (di seguito, TUS), prevedendo espressamente che il tributo successorio “si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte, per donazione o a titolo gratuito, compresi i trasferimenti derivanti da trust e da altri vincoli di destinazione”.
Esula dallo scopo del presente contributo l’analisi del complesso quadro normativo introdotto dalla riforma. In queste brevi note si vuole offrire una sintesi di talune novità in tema di trust, evidenziando alcune criticità interpretative che, a nostro avviso, meriterebbero ulteriori riflessioni.
1. I nuovi criteri di territorialità del tributo
Una prima modifica significativa riguarda la definizione delle regole di territorialità, attraverso l’introduzione di un nuovo comma 2-bis nell’art. 2 del TUS, secondo cui: “Per i trust e gli altri vincoli di destinazione, l’imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti ai beneficiari, qualora il disponente sia residente nello Stato al momento della separazione patrimoniale. In caso di disponente non residente, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e diritti esistenti nel territorio dello Stato trasferiti al beneficiario” [2].
Coerentemente con le regole di territorialità previste dal medesimo art. 2 per gli altri trasferimenti a titolo gratuito, occorre avere riguardo, innanzitutto, alla residenza (italiana od estera) del disponente[3], e il momento a tal fine rilevante è quello “della separazione patrimoniale”; è, infatti, all’atto della dotazione in trust che il disponente si spossessa dai sui beni/diritti per effetto della segregazione e nasce – nei fatti – la fattispecie liberale “a formazione progressiva” che si completerà con le attribuzioni beneficiarie[4].
Ciò detto, un dubbio interpretativo si pone nel caso in cui il disponente non sia residente al momento della segregazione (e, quindi, l’imposta torna ad avere un carattere territorialmente circoscritto) e il tributo sia dovuto “limitatamente ai beni e diritti esistenti nel territorio dello Stato trasferiti al beneficiario”: il momento in cui deve essere verificata la localizzazione (italiana o estera) dei beni/diritti è (unicamente) quello in cui gli stessi sono “trasferiti al beneficiario”?
In realtà, ci parrebbe più ragionevole ritenere che, anche per la localizzazione dei beni occorra riferirsi al momento dell’apporto in trust (con ciò confermando la prassi dell’Agenzia delle entrate formatasi medio tempore[5]) e, coerentemente con il tributo donativo che trova applicazione unicamente sui “trasferimenti di beni e diritti” ai beneficiari e non sulla segregazione patrimoniale, l’ultimo periodo del comma 2-bis nell’art. 2 del TUS debba essere semplicemente inteso nel senso che l’imposta è dovuta “limitatamente ai beni e diritti esistenti nel territorio dello Stato [al momento della dotazione in trust, se e nella misura in cui siano successivamente, n.d.a.] trasferiti al beneficiario”[6].
2. Il presupposto materiale del tributo: la determinazione degli arricchimenti gratuiti dei beneficiari tra “patrimonio” e “reddito”
Il nuovo art. 4-bis del TUS prevede, al comma 1, che “I trust … rilevano, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, ove determinino arricchimenti gratuiti dei beneficiari”.
La disposizione normativa è sicuramente apprezzabile, in quanto migliora il contesto normativo di riferimento, ad esempio, escludendo dall’ambito di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni i trust finalizzati a realizzare assetti di tipo oneroso (come i trust liquidatori e di garanzia)[7].
Inoltre, il medesimo comma 1 dell’art. 4-bis, in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (ed accolto anche dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 34 del 20 ottobre 2022), individua la fattispecie fiscalmente rilevante stabilendo che “L’imposta si applica al momento del trasferimento dei beni e diritti a favore dei beneficiari”[8].
A seguito della riforma, peraltro, tra i primi commentatori si è posto il dubbio se la tassazione “in uscita” riguardi esclusivamente il “patrimonio” segregato in trust – costituito, per usare le parole dell’Agenzia delle entrate, dalla “dotazione patrimoniale iniziale ed ogni eventuale successivo “trasferimento” effettuato dal disponente (o da terzi) a favore del trust” – ovvero se riguardi tutti i beni e diritti trasferiti a favore dei beneficiari del trust, comprendendovi anche i redditi prodotti dal trustee (quale trustee del trust). A mero titolo di esempio, si ipotizzi la dotazione iniziale di un trust pari a € 100 e il realizzo di un reddito pari a € 30 (durante il periodo di gestione effettuata dal trustee): in caso di attribuzione definitiva ai beneficiari dell’intero valore presente in trust (€ 130), l’imposta di donazione in capo ai beneficiari si applica su € 100 ovvero su € 130?
Al riguardo, va innanzitutto rilevato che la “nuova” definizione dei presupposti del tributo – di cui all’art. 1, comma 1, del TUS – indica i “trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte, per donazione o a titolo gratuito”, aggiungendo poi, con un “compresi” di chiaro significato inclusivo, l’espressa menzione dei “trasferimenti derivanti da trust e da altri vincoli di destinazione”.
Il dato testuale così formulato pare quindi fornire – superando le incertezze interpretative del passato[9] – una chiara indicazione per l’unicità del tributo (e della sua ratio) che trova applicazione, a nostro avviso, esclusivamente con riferimento a dinamiche intersoggettive che danno luogo a “trasferimenti” che si qualificano “a titolo gratuito”; di talché, oggetto del tributo parrebbero essere solo assetti negoziali produttivi di una modificazione soggettiva di rapporti giuridici e, quindi, di un depauperamento patrimoniale per un soggetto e di un incremento patrimoniale per un altro soggetto (senza, ovviamente, alcun correlato vantaggio patrimoniale per il primo).
Ciò detto, il legislatore ha codificato il principio secondo cui il trust si configura quale rapporto giuridico complesso, idoneo a determinare una attribuzione liberale “a formazione progressiva”, con cui il disponente provvederà ad arricchire i beneficiari per mezzo di un programma negoziale attuato tramite il trustee[10], e che si compone (ci sia consentita la semplificazione) di due momenti negoziali che si pongono in un rapporto di connessione funzionale:
- l’atto di dotazione del trust, che si risolve dal lato del disponente, in “una autorestrizione del potere di disposizione mediante segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, transitoria, vincolata e strumentale”[11]; e
- l’atto di trasferimento finale dei beni e diritti ai beneficiari, che rappresenta il vero e proprio momento in cui si realizza l’attribuzione stabile di ricchezza, espressiva di capacità contributiva e rilevante ai fini del tributo successorio.
In quest’ambito, ci pare quindi chiaro che:
- le due differenti sfere soggettive dai lati passivo e attivo dell’attribuzione liberale sono rappresentate da: i) il disponente (e non il trust o il trustee), che con l’atto di dotazione del trust (che è il primo atto, per così dire, preparatorio dell’unitaria sequenza negoziale complessa) si impoverisce, e ii) i beneficiari, cui corrisponderà – ad esito dell’attribuzione gratuita indiretta – il correlato arricchimento;
- la posizione del trust (e del trustee) è del tutto “neutrale” (e irrilevante) ai fini del trasferimento di ricchezza rilevante ai fini del tributo successorio, poiché l’atto di dotazione del patrimonio in trust non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo trasferimento ai beneficiari; tant’è che le regole di territorialità sono definite in ragione della residenza del disponente alla data della separazione patrimoniale (mentre la posizione del trust e del trustee è del tutto indifferente) e le aliquote e franchigie sono differenziate ex 4-bis, comma 2 del TUS, unicamente “in base al rapporto tra disponente e beneficiario” (e anche qui la posizione del trust e del trustee è irrilevante).
In altri termini, non vi è alcun rapporto complementare di arricchimento e impoverimento tra i beneficiari e il trust, ma solo – come confermato dalle regole in tema di territorialità nonché di aliquote e franchigie – tra il disponente e i beneficiari medesimi; e tale rapporto di vantaggio e sacrificio riguarda unicamente il patrimonio immesso in trust e non i redditi prodotti con quel patrimonio, poiché questi ultimi non si sono “patrimonializzati” né in capo al disponente (poiché ha devoluto in trust il patrimonio e quindi se ne è spossessato[12]), né tanto meno in capo al trust/trustee (che semplicemente amministra il patrimonio, ma non si è arricchito e non sopporta alcun sacrificio[13]).
Se è così, come in effetti ci pare, è ragionevolmente ritenere che, conformemente a quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate con la Circolare n. 34/2022, l’unico arricchimento effettivo rilevante ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni per i beneficiari sia rappresentato dal patrimonio immesso in origine, mentre nessuna rilevanza dovrebbero avere i redditi prodotti medio tempore dal trust.
Tra l’altro, anche in un’ottica di coerenza sistematica, i redditi prodotti dal trust in una gran fetta di situazioni che si riscontrano nella prassi professionale sono autonomamente tassati in capo ai beneficiari[14].
[1] Le nuove disposizioni “hanno effetto a partire dal 1° gennaio 2025” con riferimento “alle successioni aperte e agli atti a titolo gratuito fatti a partire da tale data” (cfr. art. 9, comma 3 del D.Lgs. n. 139/2024).
[2] La modifica introdotta all’art. 55, comma 1-bis, del TUS – secondo cui “Sono soggetti a registrazione in termine fisso anche … gli atti di istituzione e di dotazione dei trust formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti nello Stato” – non dovrebbe essere volta, a nostro avviso, ad ampliare i princìpi generali di territorialità fissati dall’art. 2 del TUS (attribuendo rilevanza ad un nuovo e diverso criterio di collegamento, costituito dalla residenza del beneficiario), ma dovrebbe viceversa, essere coordinata con le regole di territorialità del tributo, estendendo l’obbligo di registrazione esclusivamente a quegli atti istitutivi e di dotazione di trust che, ove posti in essere in Italia, sarebbero soggetti a registrazione in termine fisso, e che risulterebbero altrimenti esclusi dall’ambito applicativo del tributo per le peculiarità della legge di registro.
[3] Il Governo non ha ritenuto opportuno accogliere l’osservazione contenuta nel Parere approvato dalla VI Commissione Finanze (allo Schema di decreto legislativo) di chiarire che la nozione di residenza avrebbe dovuto identificarsi con quella rilevante ex art. 2, comma 2 del TUIR (così, probabilmente, confermando la tesi interpretativa secondo cui, ai fini del tributo successorio, assume rilevanza unicamente la nozione di residenza ex art. 43, comma 2, c.c.).
[4] La lettera della norma parrebbe suggerire l’interpretazione secondo cui eventuali mutamenti della residenza del disponente (ad esempio, dall’estero all’Italia), successivamente alla dotazione in trust, siano del tutto irrilevanti ai fini della territorialità del tributo.
[5] Cfr. Circolare n. 34/2022: “… i requisiti della territorialità individuati dall’articolo 2 del d.lgs. n. 346 del 1990, ovvero la residenza del disponente e la localizzazione dei beni apportati, devono essere verificati all’atto di apporto dei beni al trust, momento in cui si verifica l’effettivo “spossessamento” dei beni da parte del disponente per effetto della segregazione”.
[6] Ci si potrebbe domandare come si coordinino le regole di territorialità nel caso in cui intervengano variazioni qualitative e/o quantitative del patrimonio in trust. Ad esempio, mentre in caso di segregazione in trust di beni localizzati in Italia da parte di un settlor non residente, la territorialità italiana dovrebbe essersi “cristallizzata” (con conseguente tassazione “in uscita”), anche qualora, al momento dell’arricchimento definitivo dei beneficiari del trust (a prescindere dalla loro residenza), i beni e diritti attribuiti non siano localizzati nel territorio dello Stato, cosa accadrebbe nel caso contrario (beni esteri apportati in trust da settlor non residente, poi sostituiti – dal trustee – con beni italiani)?
[7] Cfr. inoltre infra nel testo, con riferimento al nuovo art. 1, comma 1, del TUS. Il nuovo comma 1 dell’art. 4-bis, attribuendo rilevanza all’idoneità del trust a determinare arricchimenti gratuiti dei beneficiari e, quindi, alla dimensione civilistica dell’istituto (i.e., quando i trust perseguono interessi meritevoli di tutela e conservano la loro validità ai sensi della legge regolatrice e della Convenzione dell’Aja), potrebbe altresì consentire di superare la presa di posizione dell’Amministrazione Finanziaria nella circolare n. 34/2022, in cui è stato precisato che in ipotesi di trust non soggetti passivi ai fini delle imposte dirette, gli stessi sarebbero altresì inesistenti dal punto di vista civilistico e, dunque, al momento del decesso del soggetto disponente, vi sarebbe sempre una devoluzione mortis causa del trust fund agli eredi del de cuius, con applicazione dell’imposta sulle successioni (a prescindere dal fatto che gli eredi coincidano o meno – dal punto di vista qualitativo e quantitativo – con i beneficiari del trust). Cfr. sul tema, CNN, Studio n. 48-2023/T del 1° febbraio 2023, La Tassazione immediata degli atti di apporto di beni in trust e i trust interposti nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34 del 20 ottobre 2022; S. Massarotto, I trust “interposti” e la “finzione” dell’applicazione dell’imposta sulle successioni nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 20 ottobre, 2022, in Riv. Tel. Dir. Trib., 10 gennaio 2023.
[8] Fatta salva la nuova opzione, ai sensi del comma 3 dell’art. 4-bis del TUS, per la anticipata “corresponsione dell’imposta in occasione di ciascun conferimento dei beni e dei diritti” ove è previsto che, solo in tale ipotesi, “la base imponibile, nonché le franchigie e le aliquote applicabili sono determinate … al momento del conferimento”.
[9] È noto che il comma 47 dell’art. 2 del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, menzionando i “vincoli di destinazione” preceduti da un “e” (con potenziale significato disgiuntivo), aveva dato luogo ad interpretazioni contrastanti in merito alla unicità ovvero pluralità dei tributi (in cui la mera “costituzione di vincoli di destinazione” avrebbe potuto definire un nuovo e autonomo presupposto d’imposta).
[10] Per una efficace illustrazione di tale principio, cfr. ex multis l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 22979 del 20 agosto 2024: “con la dotazione del trust, il settlor non vuole arricchire il trustee, il cui patrimonio personale non trae, infatti, alcun vantaggio, tenuto conto che i beni restano segregati, ma vuole che quest’ultimo abbia tutti i poteri per gestire e disporre di tali beni, in modo tale da poter attuare le finalità per cui il trust è stato istituito, a vantaggio dei beneficiari finali”.
[11] Cfr. Cass. civ., n. 16701 del 21 giugno 2019.
[12] In quest’ambito, argomentare che vi sia, da parte del disponente, una sorta di disponibilità nel proprio interesse mediata dal trust che ha conseguito il reddito, ci pare arduo, quanto meno nel sistema normativo attuale, anche solo in considerazione della riconosciuta soggettività tributaria del trust ai fini IRES (ex art. 73 del TUIR).
[13] La situazione ci pare, quindi, del tutto differente da quella dei patti di famiglia, in cui l’assegnatario dell’azienda (o delle partecipazioni) deve liquidare gli altri legittimari partecipanti al contratto e tale onere è considerato “come attribuzion[e] provenient[e], rispettivamente, dal de cuius o dal donante … anche se è indiscusso che l’adempimento dell’onere spetta all’erede (o al legatario)” (cfr. Cass. n. 19561/2022): nel patto di famiglia vi è un effettivo passaggio di ricchezza (ad esempio, € 120) dall’imprenditore che, nei confronti dell’assegnatario dell’azienda (o delle partecipazioni), viene ridimensionato, a causa dell’adempimento dell’onere (ad esempio per € 20), nella stessa misura in cui determina un arricchimento in favore del terzo beneficiario (per € 20).
[14] I proventi del trust possono essere considerati – per legge – redditi propri dei beneficiari (in altri termini: i beneficiari possiedono già il reddito e, quindi, il relativo valore monetario in trust), come è il caso: i) dei trust con beneficiari “individuati” ai fini delle imposte sui redditi, per i quali è previsto il regime impositivo della trasparenza fiscale di cui all’art. 73, comma 2 del TUIR; ii) nonché dei trust “a fiscalità privilegiata”, per i quali i redditi prodotti sono imponibili in capo ai beneficiari ex art. 44, lett. g-sexies del TUIR. Ovvero attribuzioni patrimonialmente non rilevanti fiscalmente, come nel caso di trust a fiscalità non privilegiata, in quanto redditi in questo caso adeguatamente tassati in capo al trust.