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Attualità

Identificazione diretta ai fini IVA per le società UK nello scenario post-Brexit

3 Febbraio 2021

Davide Morabito, Partner, KPMG Studio Associato Consulenza legale e tributaria

Di cosa si parla in questo articolo

Con la Risoluzione n. 7 del 1° febbraio 2021, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che i soggetti passivi stabiliti nel Regno Unito possono accedere all’istituto dell’identificazione diretta al fine di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di IVA in Italia, in alternativa alla nomina di un rappresentante fiscale ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del decreto IVA.

Come è noto, i soggetti passivi non residenti né stabiliti in Italia possono esercitare i diritti ed assolvere gli obblighi ai fini IVA attraverso due modalità alternative, l’identificazione diretta (ex art. 35-ter del DPR 633/72) oppure la nomina di un rappresentante fiscale (in base all’articolo 17, comma 2, del decreto IVA).

La differenza fondamentale tra le due opzioni è data dal fatto che il rappresentante fiscale risponde in solido con il rappresentato relativamente agli obblighi derivanti dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto, mentre il soggetto passivo non residente, identificato ai fini IVA ex art. 35-ter, risponde direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

La responsabilità solidale del rappresentante fiscale offre, da un lato, una maggior tutela sia per l’erario che per il rappresentato; d’altro lato, comporta solitamente un maggior costo per il non residente, rispetto all’opzione dell’identificazione diretta.

Ciò detto, la possibilità di scegliere tra le due opzioni (identificazione diretta o rappresentanza fiscale) è stata storicamente offerta soltanto ai soggetti passivi residenti in altri Stati Membri della UE, mentre i soggetti extra-UE erano obbligati a nominare un rappresentante fiscale per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia IVA in Italia.

Invero, per i soggetti extra-UE la possibilità di identificazione diretta è subordinata al rispetto di quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 35-ter del decreto IVA, ai sensi del quale «possono avvalersi dell’identificazione diretta prevista dal presente articolo, i soggetti non residenti, che esercitano attività di impresa, arte o professione […] in un Paese terzo con il quale esistano strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta […]

L’Agenzia delle entrate aveva quindi precisato (cfr. Risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 220/E/2003)che, in assenza di siffatti strumenti di cooperazione con Paesi terzi, l’identificazione diretta doveva appunto ritenersi ammissibile soltanto per soggetti stabiliti in altri Stati membri.

Questa rigida impostazione è stata per la prima volta “incrinata” quando l’Agenzia delle entrate ha esteso (con la risoluzione n. 44/E del 28 luglio 2020) anche alle società norvegesi la possibilità di identificarsi direttamente, ritenendo che l’accordo sottoscritto il 1° agosto 2018 tra Norvegia e l’Unione Europea (riguardante la cooperazione amministrativa, la lotta contro la frode e il recupero dei crediti in materia di IVA), integri i requisiti richiesti dal comma 5 dell’articolo 35-ter del d.P.R. n. 633 del 1972[1].

Tale apertura appariva tuttavia come una “eccezione” alla regola generale, secondo cui soltanto i soggetti passivi residenti nella UE possono optare per l’identificazione diretta.

Il problema di come interpretare questa regola generale si è posto con urgenza all’indomani della ratifica (il 30 gennaio 2020) dell’accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione Europea e con la pubblicazione (il 31 dicembre 2020) nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea dell’“Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione Europea e la Comunità Europea dell’Energia Atomica, da una parte, e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dall’altra parte”, che ha efficacia provvisoria dal 1 gennaio 2021 fino al 28 febbraio 2021.

Con apprezzabile tempestività, ma non altrettanta chiarezza, l’Agenzia delle entrate ha fornito delle prime indicazioni in risposta alla seguente domanda (FAQ) pubblicata sul proprio sito[2]: “i soggetti residenti nel Regno Unito e direttamente identificati in Italia ai fini IVA ai sensi dell’art. 35-ter del DPR 633/72 devono nomina-re un rappresentante fiscale per l’adempimento degli obblighi IVA inerenti alle operazioni effettuate in Italia a partire dal 1 gennaio 2021?”.

A fronte di questo interrogativo, l’Agenzia delle entrate ha “preso tempo”, promettendo un chiarimento definitivo non appena terminata l’analisi del suddetto Accordo tra Italia e Regno Unito.

Nelle more, l’Agenzia delle entrate consigliava agli operatori UK (seppure velatamente, attraverso l’espressione “valutare l’opportunità”) di chiudere la posizione IVA di identificazione diretta, e di chiedere un nuovo numero di partita IVA, per il tramite di un proprio rappresentante fiscale italiano.

È ragionevole prevedere che molti operatori UK abbiano ritenuto prudente seguire il “suggerimento” contenuto nella FAQ, e si siano affrettati a nominare un rappresentante fiscale in Italia, chiudendo la precedente partita IVA di identificazione diretta.

Si ricorda infatti che, per consolidato indirizzo di prassi[3], il rappresentante fiscale può esercitare il diritto al rimborso ovvero alla detrazione soltanto in relazione all’imposta su operazioni “compiute successivamente alla sua nomina”. Si prospettava quindi il rischio (qualora l’Agenzia delle entrate avesse confermato che l’identificazione diretta degli operatori UK era venuta meno per effetto della Brexit) di “perdere” la detrazione per l’imposta sulle operazioni compiute dai soggetti passivi UK tra il 1° gennaio 2021 e la nomina del rappresentante fiscale.

Come detto, l’Agenzia delle entrate ha finalmente chiarito in maniera inequivoca, con Risoluzione n. 7 del 1° febbraio 2021, che “i soggetti passivi stabiliti nel Regno Unito possono accedere all’istituto dell’identificazione diretta al fine di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di IVA in Italia, in alternativa alla nomina di un rappresentante fiscale ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del decreto IVA. Resta inteso che gli operatori del Regno Unito che già dispongono in Italia di un rappresentante fiscale IVA o di un identificativo IVA, nominato o rilasciato antecedentemente al 1° gennaio 2021, possono continuare ad avvalersene per le operazioni interne”.

In conclusione, per gli operatori UK sono ipotizzabili i seguenti scenari.

Coloro che erano già registrati ai fini IVA in Italia tramite “identificazione diretta” possono continuare ad utilizzare tale posizione anche “post-Brexit”.

Gli operatori UK che, in via prudenziale, avevano chiuso la posizione di “identificazione diretta” per sostituirla con la rappresentanza fiscale potrebbero decidere di tornare sui loro passi, facendo un’analisi costi/benefici, e chiudendo la rappresentanza fiscale a favore dell’identificazione diretta.

Infine, gli operatori UK che devono registrarsi per la prima volta ai fini IVA in Italia, potranno scegliere tra le due opzioni (“identificazione diretta”/rappresentante fiscale).

La Risoluzione in commento contribuisce a fare chiarezza sulle conseguenze IVA della Brexit per gli operatori del Regno Unito.

Resta sullo sfondo tuttavia un altro interrogativo altrettanto importante, ossia la possibilità per gli operatori UK di poter accedere al rimborso dell’IVA, assolta in Italia, tramite la procedura prevista dall’art. 38-ter del DPR 633/72. Tale norma, che recepisce la cd. XIII Direttiva, è riservata ai soggetti non residenti stabiliti in Stati non appartenenti alla Comunità, e si applica a condizione di reciprocità.

Fino ad oggi soltanto gli operatori stabiliti in Israele, Svizzera e Norvegia possono fruire di tale rimborso.

 


[1] Infatti, le Autorità italiane hanno ritenuto che tale accordo sia analogo a quanto previsto dalle norme attualmente in vigore in materia di assistenza tra Autorità fiscali dell’Unione Europea in materia di IVA

[2] Al link: https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/faq-info-brexit.

[3] Cfr. risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 31/E del 1° marzo 2005.

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