Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si interroga sulla possibilità che il debitore possa, attraverso un piano di concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis L. Fall., porre in essere atti dissipativi o distrattivi del proprio patrimonio rilevanti ai sensi dell’art 216 L. Fall. (Bancarotta fraudolenta) o 236 L. Fall. (disposizioni penali nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti) nonostante l’approvazione dei creditori e l’omologa del Tribunale.
La Corte ritiene che, in linea di principio, l’approvazione dei creditori e l’omologa non esclude che la procedura concordataria venga utilizzata in frode ai creditori, per la realizzazione di un interesse illecito del debitore; tuttavia, individua alcuni criteri e limiti.
In particolare, il carattere frodatorio va accertato in concreto e deve consistere in una manipolazione della realtà aziendale, idonea a falsare il giudizio dei creditori. Pertanto, la frode non può consistere in una diversa lettura dei dati esposti da parte dei soggetti cui ne è demandata la verifica, ma presuppone un quid pluris: il comportamento fraudolento del debitore posto in essere per ingannare i creditori e che ne permetterebbe la revoca del concordato ai sensi dell’art. 173 L. Fall.
Infine, la Corte si interroga su un’altra questione rilevante: se la giurisdizione penale si possa attivare già prima che sia stata disposta la revoca del concordato. Sul punto, data la tendenziale autosufficienza della giurisdizione penale, secondo la Corte, ogni condotta rivolta a commettere reati, in qualunque momento posta in essere, diviene perseguibile dal giudice penale.