1. Il caso e la soluzione offerta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11677 dell’11 maggio 2017
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11677 dell’11 maggio 2017, si pronuncia, per la prima volta, su un tema assai discusso, ovvero sulla rilevanza fiscale, ai fini del c.d. coacervo, delle donazioni stipulate tra il 25 ottobre 2001 e il 28 novembre 2006, periodo in cui l’imposta di successione e donazione era soppressa.
Nell’anno 2011, un soggetto aveva effettuato a favore dei suoi due figli una donazione, in parti uguali, del valore di due milioni di euro.
Considerato che il valore dell’atto di donazione non superava la franchigia di un milione di euro prevista dall’art. 49 comma 2 del DL 262/2006 per ogni figlio, l’atto di donazione non era assoggetto ad alcuna imposta.
L’Agenzia delle Entrate non riteneva corretta la tassazione applicata all’atto, rilevando che i figli avessero ricevuto in precedenza, nell’anno 2004 e, poi, nel 2005, altre due donazioni in forza delle quali la franchigia risultava erosa. Sulla base di un proprio documento di prassi (Circolare 3/E del 22 gennaio 2008), ai fini del coacervo, rileverebbero anche “le donazioni compiute nel periodo di imposta sulle successioni e donazioni era stata abrogata, e quindi dal 25 ottobre 2001 al 28 novembre 2006” e, conseguentemente, l’Amministrazione Finanziaria chiedeva ai contribuenti la maggiore imposta di donazione.
I contribuenti si opponevano alla pretesa, affermando che nel calcolo del coacervo non dovessero essere conteggiate le donazioni operate negli anni 2004 e 2005, atteso che:
– in quel periodo l’imposta sulle donazioni era stata soppressa dall’art. 13 della L. 383/2001;
– la franchigia di cui al DL 262/2006, che, aveva introdotto nuovamente il prelievo sulle donazioni, non potesse avere efficacia retroattiva.
In primo grado, la CTP di Verona dava ragioni ai contribuenti ma, in secondo grado, la CTR di Verona (sentenza n. 104/2013) si pronuncia a favore dell’Amministrazione Finanziaria, ritenendo l’atto impositivo legittimo.
I contribuenti ricorrono in cassazione ma il Giudice di Legittimità (al di là della pronuncia di disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa) conferma la decisione impugnata, dando rilevanza decisiva all’art. 57 del D. lgs. 346/90 secondo cui “Il valore globale netto dei beni e dei diritti oggetto della donazione è maggiorato di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni, anteriormente fatte dal donante al donatario, comprese quelle presunte di cui all’art. 1, comma 3, ed escluse quelle indicate nell’art. 1, comma 4, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli articoli 55 e 59”.
Detta norma, nella sua interpretazione letterale, secondo la Corte, farebbe riferimento a “tutte le donazioni intese in senso civilistico” come atti di liberalità del donante a favore del donatario e non esclude quindi le donazioni nel periodo dal 25.10.2001 al 28.11.2006 ancorché fiscalmente irrilevanti. Una diversa interpretazione di detta norma avrebbe la conseguenza di reintrodurre un’esenzione che “oltre a non essere prevista dalla lettera della norma, non è sorretta da un’autonoma ratio legis”.
La decisione non convince e appare frutto di un esame superficiale del quadro normativo di riferimento e della sua evoluzione storica.
2. La tortuosa evoluzione normativa dell’imposta di successioni e donazioni
La questione di diritto, oggetto della pronuncia in commento, trae origine dall’avvicendamento normativo in materia di imposta sulle successioni e donazioni, realizzato attraverso una infelice tecnica legislativa con cui, insieme all’abrogazione espressa del vecchio tributo e all’istituzione di un nuovo diverso tributo si introducono richiami intermittenti alla vecchia disciplina secondo il criterio della compatibilità con il nuovo regime.
La conseguenza di tale modus operandi è una disciplina disorganica e confusa, di non agevole ricognizione, che porta con sé questioni interpretative di grande rilevanza anche pratica, come quella oggetto della pronuncia in rassegna.
L’opera ermeneutica però, per quanto complessa, non è sfornita di strumenti idonei al raggiungimento di un risultato appagante sul piano logico e coerente con i principi alla base dell’ordinamento tributario.
Di seguito, previa sintesi dell’evoluzione storica del quadro normativo in materia, si darà conto di come gli strumenti interpretativi esistenti possano e debbano condurre a una soluzione diversa da quella – sbrigativamente – individuata dalla Suprema Corte.
L’imposta sulle successioni e donazioni, originariamente disciplinata dal D.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 637, è stata successivamente contenuta nel Testo Unico approvato con D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, in vigore dal 1° gennaio 1991.
L’art. 7 del D.Lgs. n. 346/1990, nella sua versione originaria, prevedeva le aliquote progressive indicate nella tariffa allegata allo stesso decreto. Per le devoluzioni a favore del coniuge o dei parenti in linea retta, le aliquote andavano da zero, per patrimoni fino a 120 milioni di lire, a un massimo del 27% per la quota di patrimonio superiore a 3.000 milioni di lire. Per le devoluzioni a favore di altri soggetti, l’imposta di cui sopra era maggiorata dell’importo risultante dalle aliquote indicate nella colonna b) dell’allora vigente tariffa.
Tale sistema ben si prestava a possibili intenti elusivi attuabili mediante la sequenza di donazioni in vita di importo tale da poter rientrare nel minimo scaglione imponibile, in modo da non far operare la progressività al momento dell’apertura della successione.
Al fine di evitare dette condotte, il Legislatore aveva però previsto rispettivamente all’art. 8 per le devoluzioni successorie e all’art. 57 per le devoluzioni liberali, il meccanismo del c.d. “coacervo” il quale imponeva, ai fini della determinazione dell’aliquota da applicare, di considerare anche le donazioni precedentemente effettuate a favore del medesimo avente causa.
Dette disposizioni, con funzione antielusiva, avevano l’intento di evitare che il contribuente potesse, attraverso successive devoluzioni liberali di importo ridotto, fruire di un’aliquota più bassa rispetto a quella propriamente applicabile all’intera ricchezza devoluta[1].
L’art. 69, comma 1, lett. c), della Legge n. 342/2000 modificava il sistema impositivo del tributo sulle successioni e donazioni prevedendo delle aliquote fisse in relazione al grado di parentela e introducendo, per la prima volta, una franchigia generalizzata di 350 milioni di lire. Il Legislatore del nuovo millennio provvedeva inoltre a modificare l’art. 7 del D.Lgs. n. 346/1990 introducendo al comma 2-quater una specifica disposizione con l’intento di evitare che uno stesso soggetto potesse godere più volte della franchigia, ma non interveniva sull’art. 8 che quindi manteneva pure l’inciso “ai soli fini della determinazione delle aliquote”.
Con riguardo all’imposta sulle donazioni, la novella del 2000 (art. 69, comma 1, alla lett. q) prevedeva la soppressione dall’art. 57 del D.Lgs. n. 346/1990 delle parole “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 56”, con una conseguente incongruenza tra il disposto dell’art. 8 (rimasto immutato) e dell’art. 57 che, avendo la medesima finalità, erano, in origine, di identico tenore letterale.
L’art. 13 della Legge n. 383/2001 sopprimeva l’imposta sulle successioni e donazioni, soppressione che durava cinque anni.
Con il D.L. n. 262/2006, come modificato in sede di conversione (Legge n. 286/2006), il Legislatore istituiva la nuova “imposta sulle successioni e donazioni, sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione”, rinviando, per i soli meccanismi applicativi, al disposto D. Lgs. n. 346/1990 e determinando la reviviscenza normativa del testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni nel testo vigente al 24 ottobre 2001.
Il comma 52 del medesimo D.L. n. 262/2006 abrogava i commi da 1 a 2-quater dell’art. 7, come novellato dalla Legge n. 342/2000, eliminando così dal testo normativo l’unico espresso riferimento al coacervo tra donatum e relictum ai fini della erosione della franchigia che era contenuto nel comma 2-quater dell’art. 7 del Testo Unico.
Il Legislatore del 2006 non interveniva però espressamente in materia di coacervo, lasciando invariati sia l’art. 8, comma 4 D.lgs. 346/1990, sia l’art. 57 D.lgs. 346/1990 con una serie di dubbi interpretativi in merito alla loro attuale operatività (in parte oggi risolti, come si dirà in seguito, con le pronunce della Corte di Cassazione n. 24940/2016 e 26050/2016).
3. La connotazione innovatrice dell’imposta del 2006, quale elemento interpretativo decisivo, trascurato dalla Suprema Corte.
L’evoluzione del quadro normativo sopra delineato è senz’altro complessa e poco agevole. Ciònonostante, un dato è apparso chiaro tra i primi commentatori in dottrina[2]: con l’intervento del 2006, più che di re-introduzione dell’imposta di donazione e successione, il Legislatore ha istituito una vera e propria nuova imposta.
Ciò si desume innanzitutto dal dato letterale della norma, ove il Legislatore compie una scelta semantica ben precisa, esprimendosi in termini di istituzione del tributo.
L’art. 2, comma 47, del D.L. 262/2006, come sopra accennato, recita infatti “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione […]”.
Tale scelta è stata opportunamente valorizzata anche da numerose pronunce di merito. Tra queste, vale la pena segnalare quanto statuito dalla CTR Milano nella sentenza n. 172/2/3 ove si afferma con estrema chiarezza: “L’art. 2, comma 47, del D.L. 3.10.2006, n. 262, modificato in sede di conversione dalla L. 24.11.2006, n. 286, statuisce che “è instituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte..”. Il termine “istituire” dal latino “instituere”, come indicato nel vocabolario “Zingarelli”, significa “stabilire per la prima volta q.c. di una certa importanza e di durata stabile. In buona sostanza si ritiene che il legislatore, utilizzando il verbo istituire, abbia voluto creare una imposta nuova che comporta la non cumulabilità delle donazioni intercorse nel periodo in cui l’imposta era stata confermata. Ne consegue che l’importo della franchigia non può essere eroso dal cumulo di precedenti donazioni fatte in vita dal de cuius”[3].
E’ noto che quando il dato letterale si appalesa chiaro, ogni attività interpretativa ulteriore risulta superflua, ma la distinzione tra i due tributi trova conferma anche nell’esame delle diverse strutture che normativamente li caratterizzano.
Come sopra accennato, il tributo previgente era infatti un tributo che colpiva i trasferimenti con aliquote progressive, tenendo in conto il grado di parentela e con una franchigia variabile a seconda del valore dell’imponibile, nel mentre il tributo introdotto successivamente sottopone per espressa previsione dell’art. 2, comma 49 del D.L. 262/2006 ad aliquota proporzionale (4%, 6% 8% nei diversi casi contemplati) le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni soltanto quando il valore netto dell’imponibile sia eccedente dati importi[4].
La connotazione di nuova imposta appare determinante per la risoluzione del caso di specie, ovvero per l’individuazione della disciplina applicabile alle donazioni compiute nel periodo 2001-2006.
A questo riguardo, la pronuncia della Suprema Corte in commento appare al tempo stesso superficiale e contraddittoria.
Il Supremo Collegio infatti riferisce, da un lato, di “ripristino” dell’imposta che, di per sé, presupporrebbe una piena continuità delle caratteristiche del tributo precedentemente vigente ma, dall’altro, ne riconosce contestualmente una diversa “struttura”.
Si legge in particolare nella decisione: “Occorre considerare che l’imposta sulle donazioni e sulle successioni è stata ripristinata nel 2006, dopo cinque anni di completa esenzione, con decorrenza dal 3.10.2006 per le successioni e dal 29.11.2006 per le donazioni (art. 2, comma 53, del d.l. n. 262/2006, convertito dalla legge n. 286/2006), e strutturata con la previsione di specifiche franchigie (art. 2, comma 49, stesso decreto)”.
La forza innovatrice dell’intervento del 2006, trascurata dalla Cassazione, appare decisiva per la corretta individuazione della soluzione alla questione oggetto di indagine.
Stante la “novità” dell’imposta sembra infatti difficile ritenere che la stessa possa prendere in considerazione, ai fini del cumulo, le donazioni poste in essere anteriormente alla sua entrata in vigore[5].
Se il Legislatore avesse voluto disporre a tal fine con riferimento ad atti posti in essere anteriormente alla sua entrata in vigore lo avrebbe dovuto fare espressamente.
In mancanza di tale deroga espressa, non può che trovare applicazione il principio generale di irretroattività, specificato, per le disposizioni tributarie, dall’articolo 3 della legge n. 212 del 27 luglio 2000[6], posto a tutela del legittimo affidamento dei contribuenti.
Conseguentemente, in ossequio a tale principio, del tutto ignorato dalla Corte di Cassazione, deve ritenersi che le donazioni oggetto di coacervo possono essere solo quelle poste in essere successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione istitutiva del nuovo tributo.
Il Legislatore, operando il richiamo con la clausola della compatibilità, onera l’interprete del compito di individuare precisamente il precetto applicabile, ma al tempo stesso gli fornisce un importante strumento interpretativo: la coerenza con i principi generali del nostro ordinamento, siano essi di rango costituzionale, o comunque di natura ermeneutica vincolante per l’interprete, quale sono quelli espressi dallo Statuto dei diritti del Contribuente (Cass. Civ. n. 17576 del 10 dicembre 2002).
Per tali ragioni, in occasione dei Lavori Parlamentari riguardanti l’introduzione della nuova imposta, si è ribadita la necessità di tenere conto che “le disposizioni in materia fiscale non possono avere effetti retroattivi nel rispetto del principio generale vigente nel nostro ordinamento di irretroattività delle leggi ulteriormente specificato, per le disposizioni tributarie, dall’articolo 3 della legge n. 212 del 27 luglio 2000 che reca lo Statuto del contribuente” (Senato della Repubblica, Legislatura XI^ – Commissioni 5^ e 6^ riunite – Resoconto sommario n. 8 del 10/11/2006, in sede referente, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”, approvato dalla Camera dei deputati).
E pure la stessa Corte di Cassazione ha riconosciuto la “superiorità assiologica di principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quindi, della loro funzione di orientamento ermeneutico vincolante per l’interprete: in altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dallo L. n. 212 del 2000, deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari” (Cass. Civ. n. 17576 del 10 dicembre 2002).
Ne consegue che “Ogniqualvolta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione siccome conforme a criteri generali introdotti con lo statuto del contribuente e, attraverso di essa, ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo statuto” (Cass. Civ. n. 7080 del 14 aprile 2004).
4. Il coacervo di cui all’art. 57 del D.lgs. 346/1990 e i dubbi sulla sua attuale operatività anche a seguito delle pronunce della Corte di Cassazione n. 24940/2016 e 26050/2016
Come anticipato in apertura, la Corte di Cassazione ha ritenuto di risolvere la questione alla stessa demandata sulla base dell’interpretazione letterale dell’art. 57 del D.lgs. 346/1990 con ciò, dando per scontata la piena operatività di tale disposizione.
In realtà la sorte di questa norma non appare affatto pacifica nel nuovo contesto introdotto dal Legislatore del 2006.
Non emerge infatti con chiarezza se, l’intento del Legislatore del 2006 sia stato davvero quello di condizionare la tassazione deldonatum al valore di tutte delle donazioni effettuate in favore di uno stesso soggetto in ogni tempo.
Le soglie di valore e le aliquote a fondamento della nuova imposta sulle donazioni presuppongono una scelta impositiva che si differenzia in relazione ai rapporti personali tra il donante e il donatario.
La tassazione è limitata all’imponibile che eccede tali soglie di valore e il comma 49 dell’art. 2 D.L. 262/2006 non contiene alcun riferimento alla maggiorazione del “valore globale dei beni e dei diritti” prevista dall’art. 57, comma 1, del D.Lgs. n. 346/1990.
Le soglie di valore ivi previste si riferiscono al valore globale netto delle disposizioni effettuate con l’atto di donazione di volta in volta considerato, ma non sussiste alcuna conferma dell’applicabilità del cumulo delle donazioni effettuate nel tempo in favore di uno stesso beneficiario, secondo il meccanismo previsto dall’art. 57.
Il comma 49 pare, in sostanza, una disposizione autonoma, ove il “valore globale dei beni e dei diritti” è indicato al solo scopo di individuare il valore complessivo destinato a essere considerato anche ai fini della soglia di esenzione.
Peraltro, il Legislatore[7] limita il rinvio al D.Lgs. n. 346/1990 a “quanto non disposto” in quegli alinea dell’articolato del 2006 (“dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54”) e alle sole “disposizioni compatibili” con la novella facendo “salvo” quanto ivi specificamente previsto.
È vero che l’art. 57, reso compatibile con la riforma di inizio secolo mediante l’eliminazione dell’inciso “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 56”, non è stato poi oggetto di intervento da parte del Legislatore del 2006, ma non si può del tutto escludere che con la novella si sia voluto superare il cumulo dei valori donati con atti non contestuali, per riferire le soglie esenti a ciascun atto di donazione considerato isolatamente.
Dette argomentazioni appaiono oggi ancora più pregnanti se si considera l’approdo a cui è pervenuta recentemente la Suprema Corte di Cassazione in relazione allo stesso meccanismo previsto ai fini successori dall’art. 8, comma 4 D.lgs. 346/1990.
La Suprema Corte, con le sentenze n. 24940/2016 e 26050/2016, ha ritenuto infatti implicitamente abrogato l’art. 8, comma 4, ritenendo che lo stesso, già prima della reintroduzione dell’imposta di successione, doveva ritenersi superato e svuotato di ogni contenuto e residua sfera di possibile applicabilità poiché il cumulo delle donazioni era espressamente limitato “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7” ossia le aliquote progressive.
Secondo la Corte, il sistema impositivo mediante aliquote progressive era tuttavia già venuto meno, ben prima dell’apertura della successione in oggetto, in forza della Legge n. 342/2000 recante aliquote fisse in ragione del grado di parentela. Una volta abbandonato il regime di aliquote progressive, non può residuare, alcuna ratio antielusiva “ne può ritenersi che il cumulo ex art. 8 cit. sia tuttora vigente al residuale fine di individuare la base imponibile al netto della franchigia esente da imposta”.
A seguito del chiarimento da parte della Suprema Corte, qualora si persistesse nel ritenere pienamente operante il coacervo ai soli fini donativi, emergerebbero seri dubbi di tenuta costituzionale oltre che di coerenza interna del complessivo disegno impositivo[8] che vede la persistenza di una franchigia “oltre tempo” ai soli fini dell’imposta sulle donazioni, viceversa venuta meno ai fini del tributo successorio (dubbi che la sentenza in commento, a dire il vero, nemmeno si pone).
Il fatto che la donazione anteriore varrebbe a rendere tassabile la donazione successiva e non invece un’analoga attribuzione mortis causa, non può che incrementare le perplessità in relazione agli intendimenti del Legislatore del 2006 e in particolare, sulla effettiva volontà di mantenere in vita il cumulo previsto dall’art. 57 del D. Lgs. n. 346/1990 ai fini dell’imposta sulle donazioni.
Se coerentemente si ritenesse abrogato implicitamente anche l’art. 57 D. Lgs. n. 346/1990[9], naturalmente il tema della rilevanza donazioni effettuate nel periodo 2001 -2006 oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte nella decisione in commento, sarebbe naturalmente risolto alla radice. Se si escludesse infatti l’operatività dell’art. 57 già in forza della legge 342/2000, il coacervo donativo sarebbe insussistente anche con riguardo alle donazioni effettuate durante la vigenza dell’imposta, e pertanto, a maggior ragione, alla medesima conclusione si dovrebbe pervenire nel periodo in cui l’imposta era abrogata.
Al di là delle significative perplessità sulla vigenza attuale dell’art. 57 del D.Lgs. n. 346/1990, resta fermo il fatto, per tornare al caso oggetto della sentenza in commento, che un meccanismo antielusivo come quello delineato da detta disposizione, non possa operare in ogni in caso in assenza dell’imposizione a tutela della quale è stato preposto.
Gli atti di disposizione intervenuti dal 2001 al 2006, privi di effetto impositivo (stante la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni) nemmeno avrebbero potuto prospettarsi quali mezzi idonei all’elusione dell’imposta, attesa l’intervenuta soppressione della stessa.
Perde dunque ogni ragion d’essere nei loro confronti un istituto, per definizione, antielusivo.
La nozione di “franchigia” presuppone una già avvenuta verifica della soggezione a un dato tributo e attiene al semplice calcolo dell’imposta, perciò è nozione differente ed estranea a quella di “campo di applicazione” di un’imposta.
Nel periodo 2001/2006, le donazioni in rassegna erano prive di impatto impositivo e non potevano pertanto nemmeno ipoteticamente fruire di franchigie o agevolazioni.
5. Conclusioni
Alla luce delle considerazioni svolte, emerge, quanto meno, una sottovalutazione delle problematiche sottese alla fattispecie in esame da parte del giudice di legittimità.
La questione del coacervo delle donazioni ante 2006 avrebbe dovuto essere risolta in maniera più accurata per evitare le incongruenze di cui si è dato conto.
La lettura della Suprema Corte infatti, trascura elementi fondamentali del processo ermeneutico e così facendo si pone in contrasto con i principi fondanti l’ordinamento quale, in primis, quello di irretroattività delle disposizioni tributarie. Ma trascura anche il suo stesso pronunciamento in tema di coacervo successorio di cui all’art. 8 D.lgs. 346/1990, perdendo anche una buona occasione per imprimere organicità a un quadro normativo che ne è oggettivamente privo.
Non resta, a questo punto, che auspicare un nuovo e diverso intervento sulla questione che si discosti dalla pronuncia in commento.
[1] In questo senso, da ultimo, Marco Snichelotto, Vita Pozzi, Abrogazione implicita dell’istituto del “coacervo” – il cumulo delle donazioni precedenti non si applica al calcolo della franchigia ai fini dell’imposta di successione in GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 4 / 2017, p. 308
[2] Friedman, Ghinassi, Matroiacovo, Pischetola, “Prime Note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni, in Studi e Materiali, Milano, 2007, I, 324-325; Mastroiacovo, “”Il cumulo di donatum e reclitum sulla nuova imposta successoria, in Corriere Tributario, 2007, 1724; Ghinassi, “L’istituto del coacervo”, 744, ss; nello stesso senso si veda: Studio n. 168-2006/T del Consiglio Nazionale del Notariato e Circolare Assonime n. 13 del 12 marzo 2007.
[3] Nello stesso senso: CTR di Milano 172/2/13; C.T.P. di Milano n. 197 del 10 novembre 2008; C.T.R. Bari n. 127 del 20 giugno 2011; C.T.P. Verona n. 208 del 21 agosto 2012
[4] Il comma 49 dell’art. 2 del D.L. 262/2006 prevede che “Per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni l’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario diversi da quelli indicati dall’articolo 58, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, ovvero, se la donazione è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti:
a) a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4 per cento;
a-bis) a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6 per cento;
b) a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;
c) a favore di altri soggetti: 8 per cento.”
[5] A favore di questa tesi, in dottrina, si segnalano: Friedman, Ghinassi, Matroiacovo, Pischetola, “Prime Note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni, in Studi e Materiali, Milano, 2007, I, 324-325; Mastroiacovo, “”Il cumulo di donatum e reclitum sulla nuova imposta successoria, in Corriere Tributario, 2007, 1724; Ghinassi, “L’istituto del coacervo”, 744, ss.
[6] L’art. 3 comma 1 della legge n. 212 del 27 luglio 2000 prevede che. “Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”.
[7] Il comma 52 dell’art. 2 D.L. 262/2006 prevede che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001.
[8] Cfr. Paolo Puri, Riflessioni sulla sopravvivenza del coacervo, in Notariato, n. 1/2017, 77, secondo il quale, a meno di “ipotizzare una completa autonomia dell’imposta sulle donazioni” si profila una “irragionevolezza e disparità di trattamento sconfinante nell’incostituzionalità” e, “in una sorta di eterogenesi dei fini, la morte diverrebbe il modo per eludere il coacervo ai fini delle donazioni”.
[9] Secondo Angelo Busani, Sorpresa! il coacervo ereditario non c’è più (abbiamo per sedici anni utilizzato norme abrogate?) in Diritto e Pratica Tributaria, 4/2017, p. 1684, a questo punto, è meglio ritenere abrogato sia il coacervo donativo che quello successorio, riconducendo eventualmente gli intenti antielusivi che dovessero emergere alla figura dell’abuso del diritto di cui all’art. 10 bis della legge 212 del 2000. In particolare, l’autore afferma in maniera condivisibile che “Invero, rispetto allo scenario di un art. 8, 4° comma, Tusd, abrogato e di un art. 57, 1° comma, Tusd, vigente, molto meglio è ritenere dunque abrogate entrambe queste norme e ritenere che la loro coerente funzione antielusiva (un tempo organizzata con il macchinoso e antiquato sistema del coacervo) sia affidata oggi al più sofisticato e moderno strumento di cui all’art. 10-bis, legge 27 luglio 2000, n. 212: nel senso che ogni qualvolta sia rilevabile un ingiustificato “spezzatino” di donazioni (oppure la stipula di una donazione non da altro “giustificata” se non dal fine di ridurre la massa trasmissibile per successione mortis causa) se ne potrà disconoscere fiscalmente l’effettuazione, al fine di disapplicare il vantaggio di cui il contribuente abbia tentato illegittimamente di approfittare”.