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Giurisprudenza

Il concordato preventivo in continuità non richiede la destinazione diretta dei proventi dell’attività ai creditori né una percentuale fissa minima di soddisfacimento

14 Dicembre 2020

Sara Addamo, Dottore di ricerca in diritto commerciale, Università di Trento; Incaricata alla ricerca, Libera Università di Bolzano; Avvocato

Corte d’Appello di Venezia, 28 settembre 2020, n. 2576 – Pres. Taglialatela, Rel. Bressan

Di cosa si parla in questo articolo

Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Venezia ha accolto il reclamo ex art. 183 L.F. proposto nei confronti del decreto del Tribunale di Padova che disponeva il rigetto della domanda di omologazione di un concordato preventivo, per diversi ordini di ragioni.

In primo luogo, la Corte ha ritenuto priva di adeguato fondamento normativo la tesi sostenuta dal Tribunale per cui, in caso di continuità aziendale, la proposta di concordato debba necessariamente prevedere la diretta destinazione a favore dei creditori dei flussi reddituali rinvenienti dalla continuazione dell’attività di impresa. Infatti, diversamente da quanto previsto dall’art. 84, 3° comma del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, l’art. 186-bis L.F., attualmente in vigore, non dispone quale elemento indefettibile caratterizzante il concordato con continuità che i proventi in qualsiasi modo ritratti dall’esercizio dell’attività d’impresa in continuità debbano essere direttamente destinati ai creditori, né che questi debbano partecipare al rischio d’impresa e quindi all’alea derivante dalla prosecuzione dell’attività.

Conseguentemente la Corte ha ritenuto infondata l’affermazione del Tribunale secondo cui, non ravvisandosi nella proposta e nel piano gli elementi qualificanti il concordato in continuità, questo andrebbe inevitabilmente riguardato come concordato liquidatorio (e come tale inammissibile per mancata offerta di una percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari pari ad almeno il 20 per cento del loro credito). Infatti, l’elemento caratterizzante e qualificante il concordato in continuità aziendale è che il piano preveda la continuazione dell’attività di impresa in capo allo stesso soggetto imprenditore o in capo ad un terzo – e che il professionista attesti che tale prosecuzione sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori – a prescindere dal fatto che si preveda altresì la dismissione di alcuni cespiti aziendali. Peraltro, la disciplina di cui all’art. 186-bis L.F. non prevede alcun giudizio di prevalenza dell’attività di impresa in continuità su quella liquidatoria.

In secondo luogo, la Corte ha escluso la fondatezza delle considerazioni svolte dal Tribunale in merito all’inammissibilità del piano concordatario a causa della mancata previsione di una percentuale fissa comunque garantita ai creditori chirografari. Non è infatti possibile individuare una percentuale fissa minima al di sotto della quale la proposta possa ritenersi di per sé inadatta a perseguire la causa concreta del concordato preventivo, ovvero l’assicurazione di un soddisfacimento, sia pure modesto e parziale, dei creditori. Sono quest’ultimi i soli a dover valutare la convenienza economica della proposta, non rientrando nell’ambito della verifica di fattibilità riservata al giudice nemmeno il profilo della misura minimale del soddisfacimento previsto.

Coerentemente i giudici di seconda istanza hanno negato che l’omessa indicazione di una percentuale minima nella proposta possa essere di ostacolo alla possibilità dei creditori di richiedere la risoluzione del concordato qualora tale percentuale di soddisfacimento non venga di fatto rispettata, in quanto il concordato preventivo deve essere risolto, ai sensi dell’art. 186 L.F., solo quando sia venuta meno la sua funzione necessaria di soddisfare in qualche misura i creditori chirografari e integralmente i creditori privilegiati, ove non falcidiati. La verifica del rispetto della percentuale di soddisfacimento che sia stata eventualmente indicata dal debitore può tuttalpiù fungere da criterio di riferimento per valutare l’importanza dell’inadempimento.

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Questioni in tema di ammissioni al passivo «critiche»
Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

Revocatoria nei confronti del fallimento
Francesco Terrusi, Consigliere della Corte di Cassazione

Accordo di ristrutturazione
Antonio Didone, già Presidente di Sezione della Corte di Cassazione

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