1. A distanza di pochi giorni dal deposito della sentenza della Cassazione, a sezioni unite1, sull’individuazione del “perimetro” di intervento assegnato al Tribunale al fine di stabilire se sia o meno soddisfatto il requisito di fattibilità del piano di concordato preventivo non è ovviamente possibile trarre delle conclusioni definitive in ordine alla stessa e in ordine alle conseguenze che la stessa avrà sul nostro sistema concorsuale.
È però possibile cominciare una riflessione sul contenuto di una decisione destinata ad incidere profondamente sulla vita dei nostri Tribunali (e attesa da oltre un anno); in questa sede ci si limiterà ad un primo esame della decisione.
Il difficile compito dell’interprete è determinato dalla: a) non sempre chiara formulazione del dato normativo; b) dalla nuova configurazione che il Legislatore ha inteso conferire all’istituto del concordato preventivo: con il d.l. 14 marzo 2005 n. 35 (convertito con l. 14 maggio 2005, n. 80); con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5; con il d. lgs. 19 settembre 2007, n. 169; e, da ultimo, con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito con l. 7 agosto 2012, n. 134).
Le varie riforme che hanno inciso sulla struttura del concordato preventivo sono state dettate da esigenze di economicità – rivolte ad eliminare, o quantomeno limitare, la dispersione di ricchezze ed attribuire una maggiore flessibilità al mercato – che si sono volute conseguire «facendo ricorso all’individuazione di misure idonee a snellire le procedure esistenti, a valorizzare la posizione del giudice quale tutore del rispetto di legalità, a rafforzare il ruolo propositivo e decisionale delle parti»2.
Le difficoltà dell’interprete nascono anche dal fatto che: c) le modifiche dettate negli ultimi anni non hanno, come si è visto, trovato collocazione in un testo legislativo appositamente disegnato per il perseguimento di dette finalità, ma sono intervenute su un corpo normativo ispirato a al raggiungimento di finalità del tutto diverse3.
2. La Corte decide rilevando l’opportunità di pronunciare un principio di diritto sulla questione prospettata ai sensi dell’art. 363, comma 3°, c.p.c.; secondo quest’ultima norma, detto principio può essere pronunciato dalla Corte, anche quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile; nel caso in cui la Corte ritenga che la questione decisa è di particolare importanza.
L’ordinanza di remissione4 aveva individuato il contrasto nella giurisprudenza di merito, la non totale sintonia nella giurisprudenza di legittimità ed un ampio dibattito dottrinale (con l’adozione di soluzioni non coincidenti) con riferimento a tre argomenti ovvero:
- alla rilevanza o meno dell’indicazione concernente la misura percentuale di soddisfazione del dei creditori nella proposta di concordato preventivo (anche sotto il profilo dell’incidenza sulla fattibilità);
- alla necessità di stabilire in quale misura l’eventuale non fattibilità del piano possa determinare un’impossibilità dell’oggetto del concordato e quindi definire i limiti entro i quali il requisito della fattibilità possa essere suscettibile di sindacato da parte del Tribunale;
- alla necessità di chiarire le conseguenze di un giudizio negativo in ordine alla fattibilità del piano5.
A tali quesiti la Corte risponde affermando:
- l’irrilevanza, nell’economia della proposta concordataria e della sua fattibilità economica, dell’indicazione della prevedibile misura di soddisfacimento dei creditori;
- che il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibilità giuridica del concordato non viene escluso dall’attestazione del professionista ex art. 161, coomma 3°, l. fall. e deve essere esercitato sotto il duplice aspetto: b1) del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura; b2) e della verifica della loro rispondenza alla causa concreta di detto procedimento; b3) (che) la causa concreta del procedimento non ha contenuto fisso e dipende di volta in volta dal tipo di proposta formulata; b4) (la causa concreta del procedimento) in linea generale può però essere individuata nel superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, dall’altro; b5) resta riservata a questi ultimi (i creditori) la valutazione in ordine al merito (che ha ad oggetto la probabilità di successo del piano ed i rischi inerenti) e alla convenienza della proposta;
- al giudizio negativo in ordine alla fattibilità del piano e/o agli eventuali difetti di informazione circa le condizioni di fattibilità del piano stesso, deve seguire la dichiarazione di inammissibilità della domanda.
3. Innanzi tutto va apprezzato il fatto che la Corte si premuri di ricordare e riconoscere come il concordato preventivo nella versione che conosciamo oggi è caratterizzato da connotati di indiscussa natura negoziale anche se nella disciplina sono ancora individuabili manifestazioni di riflessi pubblicistici resi necessari dall’esigenza di tener conto anche di interessi di soggetti non aderenti alla proposta ma comunque vincolati alla sua approvazione6.
Il modulo procedimentale oggi delineato dal legislatore distingue tre elementi:
- la domanda di accesso alla procedura;
- la proposta rivolta ai creditori contenuta nella domanda;
- il piano ovvero lo strumento idoneo a perseguire gli obbiettivi delineati (e quindi strumento per realizzare la proposta).
Quest’ultimo (il piano) deve essere accompagnato, tra l’altro, dalla relazione di un professionista «che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo» (art. 161, comma 3°, l. fall.).
Alla luce di questo dato legislativo – afferma la Corte – non si può dubitare che il legislatore abbia inteso «demandare esclusivamente al professionista il compito di certificare la veridicità dei dati rappresentati dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano dalla stesso proposto»7.
Questo non impedisce però8 al Giudice un potere di intervento al fine di stabilire se sia stato o meno soddisfatto il requisito di fattibilità del piano stesso; il quesito è quindi quello di stabilire in che modi ed in che termini possa esercitarsi questo intervento ovvero, per usare le parole della Suprema Corte, quale sia il “perimetro” dell’intervento giudice assegnato dalla legge al giudice9.
In altre parole ci si chiede se residui, o meno, un sindacato del Tribunale in merito alla fattibilità attestata dal professionista e, in caso positivo, quali siano i termini dell’esercizio di detto potere.
La Corte si chiede se la fattibilità debba essere intesa in senso oggettivo ovvero se la stessa debba essere ricavata dalla attestazione resa dal professionista10.
La Corte trae una prima conclusione affermando che sicuramente il controllo del giudice non è di secondo grado e quindi il controllo del giudice non è destinato a realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica di quanto attestato dal professionista; ben potendo il Tribunale discostarsi dal giudizio dell’attestatore «così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario».
Il ragionamento si sviluppa poi rilevando che la fattibilità si traduce «in una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati»11.
In considerazione del fatto che la fattibilità è, lo si è appena detto, una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta, si rende necessaria una ulteriore distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica.
Orbene non c’è dubbio – prosegue la Corte – «che spetti al giudice verificare la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprimere un giudizio negativo in ordine all’ammissibilità (dello stesso) quando le modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili»12.
Va invece chiarito quale sia il ruolo del Giudice di fronte all’esame della fattibilità economica che fisiologicamente presenta margini di opinabilità ed implica possibilità di errore.
La possibilità di errore – prosegue la Corte – si traduce in un fattore di rischio per i creditori ed è quindi coerente che di tale rischio si facciano carico i creditori stessi, ai quali compete la valutazione (sotto i diversi profili della verosimiglianza dell’esito e della sua convenienza) dei termini e delle modalità della loro soddisfazione.
Ma perché i creditori possano esprimere detta valutazione in modo consapevole è indispensabile che gli stessi ricevano una corretta informazione «circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni».
E il compito di tutela della legalità del procedimento – dice ancora la Corte13 – è all’evidenza demandato al giudice per il ruolo istituzionale svolto.
Il margine di sindacato del giudice sulla fattibilità del piano va stabilito, in linea generale, in ragione del contenuto della proposta e quindi della identificazione della causa concreta del procedimento sottoposto al suo esame.
Causa concreta da intendersi nel superamento dello stato di crisi dell’imprenditore, obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto «della crisi come uno dei possibili e fisiologici» esiti dell’attività imprenditoriale e della «opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento»14.
Nel concordato con cessione dei beni il controllo del giudice andrà quindi effettuato:
- verificando l’idoneità della documentazione prodotta a fornire elementi di giudizio ai creditori15;
- accertando la fattibilità giuridica, per esempio che verificando che non sia stata promessa la cessione di beni altrui;
- valutando l’idoneità della proposta ad assicurare il soddisfacimento della causa concreta della procedura.
Proprio il riferimento alla causa concreta della procedura permette poi di affermare alla Corte come non può rientrare nell’ambito del controllo del giudice un sindacato sull’aspetto pratico – economico della proposta e quindi sulla correttezza e/o congruità della indicazione della misura della percentuale offerta ai creditori.
La causa concreta della procedura come sopra individuata esclude infatti logicamente che l’indicazione della percentuale di soddisfacimento dei creditori possa in qualche modo incidere sull’ammissione del concordato16.
4. In conclusione si può affermare che la sentenza in esame – anche se con alcuni passaggi ambigui – ha cercato di indicare come la nuova disciplina del concordato preventivo, che esce dalle varie recenti riforme legislative, sia molto diversa dalla precedente17, sia caratterizzata da un’ampia flessibilità18, sia tendenzialmente ispirata a valorizzare principi negoziali19, e preveda che il perimetro di intervento assegnato al giudice con riferimento al requisito della fattibilità del piano si debba svolgere principalmente sotto il profilo della fattibilità giuridica della proposta.
Sarebbe stata preferibile una presa di posizione del Supremo Collegio ancora più netta in merito ai limiti di sindacato del Tribunale sulla fattibilità economica del piano, ma evidentemente non si è voluti entrare in pieno contrasto con l’opinione che stenta a ridimensionare il ruolo del Tribunale in materia.
4
Cass., 15 dicembre 2011, n. 27063 in Corr. giur., 2012, p. 229 ss. con nota di A.di Majo, La fattibilità del concordato preventivo: legittimità o merito?
8
Posto che l’art. 162 l. fall. impone al Tribunale di dichiarare l’inammissibilità della proposta di concordato ove constati l’assenza, tra l’altro, dei requisiti di veridicità dei dati indicati e della fattibilità del piano.
10
Quando svolge il proprio ragionamento la Corte si premura anche di specificare come: a) la fattibilità non vada confusa con la convenienza, vale a dire con il giudizio di merito certamente sottratto al Tribunale (ad eccezione dell’ipotesi di cui all’art. 180, comma 4°, l. fall.; b) così me la fattibilità non può essere identificata con una astratta verifica in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo (anche se in qualche misura da questi possa dipendere: p. 42).
15
E v. Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860; Cass., 29 ottobre, n. 22927.
16
Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 aveva già precisato come nel concordato con cessione dei beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, salva ovviamente l’assunzione di una specifica obbligazione in tal senso.
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La corte precisa come «la precedente disciplina fosse più solidamente ancorata ad uno schema di evidente stampo pubblicistico, in cui al giudice era affidato il compito del controllo di legalità e del merito della proposta»; controllo finalizzato: a) all’effettiva esistenza di un vantaggio economico per i creditori; b) alla ragionevole prospettiva di pagamento del 40% dei debiti ovvero all’esistenza di una garanzia in tal senso; c) alla meritevolezza dell’imprenditore, sotto il profilo dell’assenza di colpa in ordine all’evento pregiudizievole – e cioè il dissesto – venutosi a determinare (p. 38).
18
Si noti, ad esempio, come oggi l’art. 160 l. fall. non determini il contenuto del piano di concordato.