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Il contrasto all’elusione e il recepimento del generale principio anti abuso nell’ordinamento italiano, da creazione giurisprudenziale a norma sostanziale. Spunti per un’analisi comparata: l’esperienza britannica.

5 Dicembre 2013

Danilo Barbagallo, Lucia Petrolini, Lelio Raimondi

Le opinioni sono espresse dagli autori a titolo personale e non impegnano l’Istituto di appartenenza.

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Sommario: 1. Premessa. – 2. Inquadramento generale dell’abuso del diritto in materia tributaria in Italia. Evasione, elusione, abuso del diritto e lecito risparmio d’imposta. – 2.1. Gli strumenti normativi anti elusione in Italia. – 3. Il divieto di abuso del diritto in campo tributario. La giurisprudenza. – 3.1.1. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Tributi armonizzati. – 3.1.2. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Tributi non armonizzati. – 3.2. La giurisprudenza italiana. – 4. Contesto di riferimento, evoluzione giurisprudenziale e normativa riguardante l’abuso del diritto in materia fiscale nel sistema britannico. – 5. Campo di applicazione della GAAR britannica. – 6. Il funzionamento della GAAR britannica: aspetti sostanziali. – 7. Il funzionamento della GAAR britannica: aspetti procedurali. – 8. Riflessioni in ottica comparata sulla possibile evoluzione della disciplina italiana. – 9. Conclusioni.

 

1. Nel perdurare della crisi economica e finanziaria, le scelte degli operatori in materia fiscale assumono sempre maggiore rilevanza nel sancire il successo o il fallimento delle iniziative imprenditoriali.

L’etimo stesso della parola crisi (dal greco κρíσις “scelta, decisione, fase decisiva di una malattia”) impone la necessità di certezza nella definitività delle scelte e delle decisioni assunte. Ne discende un bisogno sempre più sentito di chiarezza nei rapporti fra amministrazione finanziaria e contribuente, quale brocardo dei moderni sistemi giuridici e, in ultima istanza, della corretta convivenza civile.

In questo ambito, gli sviluppi normativi e giurisprudenziali in tema di abuso di diritto in materia fiscale sono tesi a ripristinare tale chiarezza, incrinata dall’incerta delimitazione delle fattispecie elusive.

In Italia, la riconduzione nel corso del tempo da parte di dottrina e giurisprudenza dell’abuso del diritto in materia fiscale sotto il cappello rispettivamente dell’art. 12 delle preleggi, dell’art. 1344 del codice civile e del dettato costituzionale (art.53), nonché il richiamo agli orientamenti della giurisprudenza comunitaria – come noto non esiste una norma comunitaria dedicata all’abuso di diritto – hanno consolidato l’esigenza di non poter più procrastinare l’adozione di una legislazione ad hoc.

L’amministrazione finanziaria e la giurisprudenza hannocercato di colmare quelle lacune dell’ordinamento italiano che non permettevano di contestare fattispecie elusive non espressamente vietate, con ingenti benefici per le casse dello Stato e, in ultima analisi, per l’intera collettività: una parte significativa dei proventi dall’attività di accertamento degli ultimi anni deriva infatti dall’attività antielusiva svolta nei confronti delle grandi imprese.

Nelle more del dibattito che prosegue nel corso della XVII legislatura, che vede la presentazione di nuove proposte di legge in materia anti-elusiva, è utile trarre spunti dall’esame delle scelte operate in altri ordinamenti. In particolare, nel presente lavoro, viene esaminata la disciplina britannica, che costituisce il più recente esempio di “GAAR” (General Anti Avoidance Rules) nel contesto Europeo, ove già altri sistemi giuridici prevedono norme generali per contrastare l’abuso del diritto in materia fiscale (ad es. Francia, Germania e Spagna).

La recente esperienza di molti paesi occidentali insegna che i periodi di crisi economica sono spesso accompagnati da un inasprimento della lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Soprattutto a seguito della crisi dei debiti sovrani, è osservabile una rinnovata solerzia da parte dei governi (europei e non) nel recupero della base imponibile “distratta” dai contribuenti attraverso strumenti legittimi sul piano giuridico-formale, ma elusivi nella sostanza (1).

Soprattutto negli ultimi anni è emersa la necessità di potenziare gli strumenti normativi alla luce: i) delle innovate capacità dei contribuenti di creare strutture giuridiche molto complesse, capaci a loro volta di neutralizzare le norme anti-elusive pensate illo tempore dai vari legislatori; ii) del delinearsi di un generale “divieto dell’abuso del diritto in campo tributario”, coniato dalla giurisprudenza, secondo il quale sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli effetti tributari delle operazioni poste in essere dal contribuente quando preordinate all’ottenimento, più che prevalente, di vantaggi (o benefici) fiscali indebiti (contrari cioè allo spirito delle norme e ottenuti attraverso schemi “anomali”).

L’introduzione del divieto di abuso del diritto – dapprima confinato all’ambito comunitario e alle imposte armonizzate e successivamente esteso anche al settore delle imposte dirette – ha permesso di contrastare con maggiore efficacia molte delle operazioni di pianificazione fiscale poste in essere dai soggetti passivi d’imposta più spregiudicati. Al contempo, il predetto principio è stato accompagnato da feroci critiche di parte della dottrina, preoccupata dell’utilizzo arbitrario di tale strumento da parte dell’amministrazione finanziaria e del giudice a detrimento della certezza del diritto.

2. Prima di descrivere la disciplina inglese è opportuno soffermarsi sullo stato dell’arte in Italia e riepilogare lo sviluppo della tematica nel corso del tempo. Nel nostro Paese, infatti, il dibattito sul punto è più aperto che mai, basti pensare alle proposte di legge presentate per la codificazione del principio di matrice giurisprudenziale, al fine di dotare anche il nostro ordinamento di uno strumento pervasivo di contrasto all’elusione ma, al contempo, di salvaguardare la chiarezza nei rapporti tra fisco e contribuente, delineando in maniera netta i confini tra ciò che è permesso e ciò che non lo è.

E’ altresì utile definire i tratti essenziali delle varie patologie del comportamento del contribuente in campo tributario – compito in verità assai arduo, visto che in molti casi i confini delle varie fattispecie si presentano piuttosto sfumati.

L’evasione consiste in una diretta violazione di norme tributarie, realizzata attraverso l’occultamento di base imponibile (occultamento di ricavi o imputazione di costi inesistenti, non inerenti o non di competenza). L’evasione agisce dunque sul presupposto dell’imposta, nascondendolo (an debeatur) o riducendolo (quantum debeatur), e in ogni caso abbattendo il carico fiscale complessivo del contribuente.

Anche l’elusione è un comportamento volto alla riduzione del carico impositivo. In questo caso, peraltro, la riduzione è ottenuta aderendo alle prescrizioni normative sul piano formale, ma aggirando queste ultime sul piano sostanziale con una serie di atti che hanno il fine prevalente o principale di generare un risparmio d’imposta che il legislatore né aveva previsto, né avrebbe voluto (si noti che il termine deriva dal latino eludĕre cioè “prendersi gioco di qualcuno”, che a sua volta deriva da ludĕre ossia “giocare”).

Ciò premesso, secondo una concezione dell’elusione che potremo definire “casistica”, all’interno del nostro ordinamento non è presente un generale principio anti elusivo, ma solo norme che contrastano alcune condotte ritenute elusive ex lege; lo stesso art. 37-bis del D.P.R. 600/73 ne costituirebbe esempio, avendo una portata ampia, ma sempre confinata ad alcune fattispecie pre-individuate (2).

Di parere opposto è chi sostiene – sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale – che il concetto di elusione sia ben più ampio: le prescrizioni antielusive “casistiche” vanno considerate alla stregua di un sintomo dell’esistenza del principio generale, immanente nell’ordinamento. Se si accetta tale impostazione, non si può che assumere che l’abuso del diritto coincida con l’elusione fiscale e che i richiami ora all’abuso ora all’elusione da parte della giurisprudenza comunitaria e nazionale siano attribuibili più a questioni lessicali e a imprecisioni terminologiche e di traduzione che a differenze sostanziali (3). Il negozio abusivo posto in essere da un contribuente è dunque un negozio elusivo e il divieto di abuso del diritto è il principio secondo il quale il contribuente non può trarre vantaggi fiscali indebiti dall’utilizzo distorto – pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione – di strumenti giuridici idonei a conseguire tale risultato (4).

In ambito nazionale, quindi, non stupisce che le autorità fiscali abbiano sovrapposto i concetti di elusione e di abuso del diritto e che, per tal via, abbiano aggredito operazioni elusive non contrastabili attraverso le disposizioni antielusive specifiche e “quasi-generali” già presenti nel nostro ordinamento (5).

A questo punto, resta da chiedersi cosa sia il legittimo risparmio d’imposta. Quest’ultimo è la lecita predisposizione dei propri affari volta a minimizzare il carico impositivo, scegliendo liberamente tra le varie forme concesse dall’ordinamento, cui corrisponde un diverso trattamento tributario. A differenza dell’evasione e dell’elusione/abuso, seppur il risultato realizzato appare il medesimo (la riduzione del carico contributivo), il mezzo utilizzato è questa volta conforme a quanto previsto dall’ordinamento, e non dal solo punto di vista formale (come nel caso dell’elusione) ma anche da quello sostanziale. L’ordinamento, quindi, consente al singolo di compiere le scelte che questi ritiene più opportune, anche se guidate dalla volontà di ricercare un risparmio d’imposta. Il problema, semmai, consiste nel valutare se il risultato ottenuto sia quanto meno conforme alla ratio che ha ispirato il legislatore tributario.

Volendo fornire una definizione a contrario di legittimo risparmio di imposta si può dire che è legittimo tutto ciò che non configura evasione o elusione.

2.1.Tradizionalmente, i disegni elusivi posti in essere dal contribuente sono stati contrastati attraverso due tipologie normative:

1) disposizioni specifiche anti-elusive (o con ratio anti elusiva);

2) norma anti elusiva “quasi generale”.

Le prime sono state inserite ad hoc nell’ordinamento per contrastare operazioni che lo stesso legislatore ha già individuato come potenzialmente elusive (presunzione relativa) (6); caratteristica comune a tali disposizioni è quindi quella di contrastare specificatamente una singola condotta ritenuta, fino a prova contraria, elusiva o potenzialmente in grado di produrre risultati elusivi.

La seconda tipologia – ossia la norma antielusiva “quasi generale” contenuta nell’art. 37-bis del D.P.R. 600/73, introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 7 del D. Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 (7) e applicabile al solo campo delle imposte sui redditi – non individua una specifica operazione da contrastare bensì un numero chiuso di operazioni che, al ricorrere di determinati requisiti, vengono considerate elusive.

Vista la portata particolarmente pervasiva della norma, il legislatore ha previsto dettagliatamente sia quali siano, sotto l’aspetto sostanziale, i caratteri che devono essere rinvenuti per considerare elusiva e quindi censurabile l’operazione posta in essere, sia, sotto l’aspetto procedurale, quali debbano esserele garanzie previste a tutela dei contribuenti per la formalizzazione della contestazione.

Affinché si possa applicare la disposizione antielusiva devono ricorreretre presupposti: a) aggiramento di una norma tributaria; b) il vantaggio fiscale indebito; c) che l’operazione rientri nel novero delle operazioni tassativamente elencate.

La mancanza di valide ragioni economiche, che per alcuni autori rappresenta un presupposto di applicazione della norma in questione, è invece ritenuta dalla dottrina maggioritaria un’esimente, con la quale il contribuente può provare che l’obiettivo perseguito dalla condotta posta in essere aveva ulteriori e prevalenti ragioni extra-fiscali.

Il concetto di aggiramento implica uno stratagemma del contribuente rispetto alle varie soluzioni strutturalmente previste e tollerate dal legislatore (8).

La conseguenza del comportamento elusivo consiste nel disconoscimento da parte dell’amministrazione finanziaria (o del giudice) dei vantaggi tributari conseguiti, applicando in sostituzione le imposte determinate in base alle disposizioni eluse.

Sotto il profilo delle garanzie procedimentali sono previsti alcuni importanti presidi per il contribuente (9).

3. Come anticipato, il concetto di divieto di abuso del diritto in campo tributario – non codificato a livello generale dalla normativa comunitaria – è una creazione giurisprudenziale. La sua genesi e sviluppo sono riconducibili alle pronunce della Corte di giustizia europea, che in un primo momento ha fatto riferimento ai tributi armonizzati e poi ha delineato un principio più generale, che giustifica limitazioni alle libertà fondamentali previste dai trattati anche nel campo delle imposte sui redditi.

Nel nostro ordinamento la Suprema Corte, nel riconoscere la difficoltà di applicazione di istituti di diritto civile al campo tributario, ha ricondotto nel tempo la fonte del divieto di abuso del diritto dall’ambito comunitario al dettato Costituzionale, e segnatamente ai principi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione (art. 53).

3.1.1. Nella disamina dell’excursus giurisprudenziale non si può non soffermarsi sull’origine del divieto di abuso del diritto in campo comunitario che, seppur evocato in precedenti sentenze, viene fatto comunemente risalire alla sentenza Halifax (10), o ancor meglio al cd. Halifax day (11). La Corte di Giustizia definisce, in maniera compiuta, quali sono gli elementi costitutivi della condotta abusiva rilevanti ai fini dell’applicazione del divieto di abuso del diritto comunitario nel settore dell’imposta sul valore aggiunto (IVA)(12).

Nell’ambito del contenzioso insorto, i giudici inglesi avevano sottoposto alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

  • se un’operazione possa essere considerata una “cessione di beni” o “prestazione di servizi” ovvero un atto compiuto nell’ambito di un’ “attività economica” ai sensi della sesta direttiva qualora sia condotta al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, senza un autonomo obiettivo economico;
  • se, in conformità al generale principio dell’ordinamento comunitario che impone di prevenire abusi del diritto, le operazioni condotte ai soli fini dell’evasione dell’IVA vadano considerate secondo la loro vera natura.

In ordine alla prima questione, la Corte di Giustizia – dopo aver rilevato che la sesta direttiva stabilisce un sistema comune dell’IVA basato, in particolare, su una definizione uniforme delle operazioni imponibili – ha precisato che l’analisi delle definizioni delle nozioni di soggetto passivo, di attività economiche nonché di “cessioni” e “prestazioni” ne mette in rilievo l’ampiezza della sfera d’applicazionee il carattere obiettivo; tali nozioni, quindi, devono essere applicate indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi”. Inoltre la Corte afferma che l’elusione in sé (quale scopo perseguito nel porre in essere l’operazione economica), non incide sulla qualificazione giuridica del contratto in essere tra le parti, ma si riflette soltanto sul trattamento fiscale dell’operazione.

In merito alla seconda questione la Corte, dopo aver affermato che secondo giurisprudenza costante gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario, sancisce l’applicabilità del divieto di abuso del diritto comunitario alla materia dell’imposta sul valore aggiunto. Si integra un comportamento abusivo quando le operazioni controverse […] nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone siano idonee a procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni.

Senza pregiudicare, in capo al soggetto passivo,il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che permette di limitare la contribuzione fiscale, la Corte nega pertanto, sulla base della corretta interpretazione della sesta direttiva, il diritto di detrarre l’IVA assolta a monte laddove nell’ambito delle normali operazioni commerciali nessuna operazione conforme alle disposizioni del sistema (comunitario o nazionale) avrebbe consentito detrazioni in tale misura. Ciò sarebbe stato contrario al principio di neutralità fiscale e, pertanto, contrario allo scopo del sistema.

La Corte di Giustizia con tale pronuncia sancisce i principi cardine in tema di abuso.

Il primo riguarda la certezza del diritto. Secondo la Corte, infatti, la normativa comunitaria deve essere certa e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono sottoposti […], in particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari(13).

Il secondo consiste nella definizione del legittimo risparmio d’imposta. Al soggetto passivo che sceglie tra due o più operazioni, la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA. Tale soggetto ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permetta di limitare la sua contribuzione fiscale e di organizzare le proprie attività economiche lecite nella forma maggiormente “efficiente” dal punto di vista fiscale, sempre che tali attività non costituiscano comportamenti elusivi del diritto comunitario.

La Corte, nel definire l’abuso, fissa i paletti che qualificano la fattispecie, così da garantire il menzionato principio di certezza del diritto.

Una condotta è abusiva quando pur rispettando formalmente le disposizioni, simultaneamente ha:

l’effetto di procurare un vantaggio fiscale indebito, la cui concessione sarebbe contraria alla ratio legis, ossia all’obiettivo perseguito dal legislatore (vantaggio fiscale indebito) – cd. elemento oggettivo;

lo scopo di ricercare essenzialmente tale vantaggio (scopo essenziale o prevalente), che deve risultare da una serie di circostanze obiettive – cd. elemento soggettivo.

L’onere di dimostrare il disegno abusivo (onere della prova) grava sull’amministrazione finanziaria.

In dottrina è stato discusso l’uso dell’avverbio “essenzialmente”. Alcuni lo assimilano al concetto di esclusività della ragione fiscale. In realtà la stessa Corte ha successivamente chiarito il significato, confinandolo a scopo prevalente, anche in presenza di ulteriori motivazioni marginali. Cosicché potrà escludersi la condotta abusiva qualora vi siano ulteriori e prevalenti motivazioni di carattere extrafiscale che animino l’operazione posta in essere.

Inoltre, la Corte sembra evidenziare un ulteriore elemento costituente la condotta abusiva nella presenza negli atti posti in essere dal contribuente di un indice di anomalia rispetto alle normali operazioni commerciali poste in essere dal soggetto passivo. Quest’ultimo elemento, a parere di chi scrive, più che requisito costitutivo dell’abuso è un indizio della presenza dell’indebito vantaggio, ossia della contrarietà della condotta del contribuente all’obiettivo perseguito dal legislatore fiscale.

Si afferma poi il principio dell’irrilevanza ai fini fiscali delle operazioni effettuate. La reazione dell’ordinamento è quindi quella di ristabilire la situazione come se l’operazione non fosse mai avvenuta (14).

Sul piano sanzionatorio, invece, la Corte giunge alla conclusione della non irrogabilità delle sanzioni (15).

Alla sentenza Halifax, che costituisce dunque il leading case in materia di abuso del diritto in materia di tributi armonizzati, sono seguite altre decisioni della Corte, con le quali sono stati chiariti alcuni aspetti del concetto di abuso. Si riportano, di seguito, le pronunce più significative.

Nella sentenza Part Service (16) la Corte ha ribadito come, affinché possa configurarsi abuso, è necessario che lo scopo essenziale perseguito dal soggetto agente, ancorché non esclusivo, sia la ricerca di un vantaggio fiscale e che questo sia provato da elementi obiettivi; la ricerca di un vantaggio fiscale può coesistere con ulteriori motivazioni non marginali (ad. es. ragioni di marketing, organizzazione e garanzia) .

Le sentenze RBS Deutschland e Weald Leasing (17), aventi ad oggetto contestazioni dell’amministrazione fiscale britannica in campo di IVA su contratti di leasing, richiamando i canoni essenziali dell’abuso del diritto individuati nell’Halifax, appaiono invece utili a fare maggiore chiarezza sul requisito dell’anormalità delle operazioni poste in essere dal contribuente, quale canone interpretativo di particolare importanza nel giudizio complessivo per qualificare la condotta abusiva (18), senza peraltro configurarne elemento costitutivo.

3.1.2. Come noto, nella materia dell’imposizione sui redditi, a seguito dei trattati che hanno sancito la nascita della Comunità europea, gli Stati membri hanno conservato piena sovranità. Nonostante la riserva nazionale, numerose direttive (19) sono state emanate per armonizzare le regole elaborate a livello domestico da ogni Stato membro e per non ostacolare le libertà fondamentali previste dai Trattati.

Nelle citate direttive, gli Stati membri hanno conservato la possibilità di introdurre norme antielusive volte a prevenire abusi e frodi alla legge. Detto potere, però, non sempre è stato esercitato al momento della trasposizione delle direttive in norme nazionali.

L’applicazione di tali direttive in ambito domestico rappresenta la prima area su cui la Corte di Giustizia si è pronunciata, sviluppando il principio del divieto di abuso del diritto comunitario nelle imposte sui redditi.

La seconda area riguarda la compatibilità con il diritto comunitario di singole prescrizioni normative nazionali che comportino una limitazione delle libertà fondamentali sancite dai Trattati e del principio di non discriminazione tra cittadini di Stati membri. Poiché le predette limitazioni e discriminazioni possono essere giustificate solo in presenza di motivi imperativi di carattere generale e se perseguono scopi compatibili coi Trattati, la Corte ha dovuto riempire di significato il concetto di “abuso del diritto”.

Nel primo caso vale la pena evidenziare i principi contenuti nella sentenza Kofoed (20) in tema di trasposizione in campo nazionale della norma anti-elusiva prevista dall’art. 11, n. 1, lett. A) della direttiva 90/434 (Direttiva fusioni transfrontaliere) (21)ove è sancito il divieto dell’abuso del diritto nel campo delle imposte sui redditi coperte dal diritto comunitario. La Corte non spiega però – a differenza delle pronunce in campo IVA – cosa significhi beneficiare abusivamente, forse ritenendo il concetto già sufficientemente chiarito dalla costante giurisprudenza di legittimità. Tuttavia, viene richiamato il canone dell’anomalia delle transazioni commerciali quale criterio guida volto a valutare la contrarietà alla ratio legis.

Di particolare rilevanza è poi il riconoscimento da parte della Corte della possibilità di applicazione del principio antiabuso di cui all’art. 11 anche in mancanza di una sua trasposizione all’interno della normativa domestica (22).

In mancanza di una puntuale trasposizione, spetta dunque al giudice verificare se nel diritto nazionale esista una disposizione o un principio generale sulla cui base l’abuso del diritto è vietato ovvero se esistono altre disposizioni che possano giustificare la tassazione delle operazioni ritenute abusive.

La Corte sottolinea, quindi, che l’abuso del diritto nel campo delle imposte sui redditi può essere contrastato o attraverso norme interne espressamente anti-abuso, oppure interpretando le disposizioni nazionali, laddove possibile, in conformità alle regole comunitarie (23). Tale ragionamento può essere considerato valido a maggior ragione in tutti quei settori in cui manca, allo stato attuale, una normativa di armonizzazione.

Per quanto riguarda la giurisprudenza relativa al coordinamento tra prescrizioni anti-abuso nazionali da un parte e libertà fondamentali e principio di non discriminazione dall’altra, vale la pena ricordare i principi enunciati nella sentenza Cadbury Schweppes (24). In tale sede, infatti, la Corte ha individuato i presupposti che qualificano l’abuso del diritto che la normativa interna può contrastare nel rispetto dei Trattati europei.

In particolare, il primo elemento (soggettivo) consiste nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale; il secondo (oggettivo) è la contrarietà a un obiettivo perseguito dai Trattati (obiettivo che non consiste certo nel favorire l’elusione fiscale, bensì nell’eliminazione delle cause che possano ostacolare la libertà di stabilimento). In assenza di uno degli elementi qualificanti si ricade nel legittimo risparmio d’imposta.

Il nodo più spinoso è quello relativo alla configurazione di una condotta contraria alla finalità dei Trattati. Questione che viene risolta, ancora una volta, attraverso l’utilizzo del canone dell’anomalia, o meglio dell’artificiosità della costruzione, che deve essere provata attraverso elementi oggettivi (25).

Vengono quindi riproposti, anche nel settore delle imposte sui redditi, i principi che delineano l’abuso del diritto nel settore dell’IVA. Peraltro, nel caso in esame la ricostruzione dei presupposti dell’abuso non ha il fine di dichiarare inopponibili gli effetti dell’operazione abusiva, bensì quello di giustificare una limitazione del diritto comunitario da parte delle disposizioni nazionali. Sulla base della “Kofoed”, infatti, l’abuso del diritto nel settore impositivo lasciato alla competenza dei singoli stati può essere contrastato esclusivamente da disposizioni interne o da interpretazioni delle disposizioni nazionali alla luce dei principi comunitari.

Ulteriori aspetti di natura più spiccatamente procedurale sono contenuti nelle sentenze relative ai casi Marks & Spencer, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Oy AA (26). In buona sostanza, sono ritenute ammissibili previsioni normative nazionali che introducono presunzioni di condotte abusive se il giudizio di artificiosità è agganciato all’esame di elementi obiettivi verificabili e se è fornita al contribuente la possibilità di produrre, senza eccessivi oneri amministrativi, elementi relativi alla presenza di ragioni commerciali soggiacenti alla transazione, al fine di provare che tali ragioni di natura extra-fiscale sono lo scopo prevalente dell’operazione contestata.

3.2. L’affermazione nella giurisprudenza comunitaria del principio del divieto di abuso del diritto ha influenzato notevolmente le pronunce dei giudici nazionali. Il recepimento di tale divieto in materia fiscale in ambito domestico, dapprima confinato ai settori armonizzati, è stato poi esteso a tutti i settori impositivi.

Il concetto di abuso definito nel tempo dai giudici di legittimità italiani è la sintesi del principio enunciato dalla Corte di giustizia, ma non può non scorgersi l’influenza, anche terminologica, della disposizione antielusiva “quasi generale” dettata dall’art. 37 bis del D.P.R. 600/73, che richiede espressamente l’aggiramento della normativa fiscale.

Fino al 2005 si riteneva che non esistesse un generale principio anti-abuso nel nostro ordinamento, caratterizzato da formalismi volti a garantire la certezza del diritto agli operatori economici, nonché dal principio costituzionale della riserva di legge in ambito tributario; i giudici supremi riconoscevano, pertanto, l’impossibilità di contestare le pratiche abusive che non fossero direttamente contrastate da disposizioni di legge anti-elusive (27).

La situazione è cambiata radicalmente a partire dal 2005, contemporaneamente al progredire dei lavori del processo Halifax. La Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito a fattispecie ritenute elusive da parte dell’Amministrazione Finanziaria per le quali l’ordinamento non prevedeva specifici rimedi, confermava la legittimità dell’operato dell’autorità fiscale e disconosceva i risultati “tributari” di alcune operazioni.

Le ricostruzioni interpretative della Suprema Corte avevano tutte il comune denominatore della piena e diretta applicabilità, anche con riferimento ai tributi non armonizzati, del principio del disconoscimento o della riqualificazione fiscale degli atti posti in essere dal contribuente in presenza di presupposti integranti elusione/abuso di diritto, a prescindere dall’esistenza di specifiche norme che consentissero di procedere in tal senso con riferimento alle singole fattispecie di volta in volta considerate (28).

L’abuso del diritto in questa prima fase è canone interpretativo che conduce al disconoscimento degli effetti fiscali attraverso la invalidità dei negozi giuridici sottostanti. In altre parole, il disconoscimento degli effetti fiscali delle condotte elusive consegue allo scardinamento delle strutture civilistiche per difetto di causa o frode alla legge.

Al riguardo, i giudici italiani delineano alcuni principi: i) lo scopo esclusivo della condotta del contribuente e ii) il vantaggio fiscale.

La Cassazione sembra trascurare, come rilevato da parte della dottrina (29), i) l’aspetto del vantaggio fiscale indebito ovvero della contrarietà allo spirito della norma e ii) l’anormalità o l’artificiosità della transazione, considerate dai giudici europei.

All’abbandono degli schemi argomentativi incentrati sulla nullità dei contratti ha fatto seguito l’avvio di un nuovo filone giurisprudenziale che ha valorizzato il principio del divieto di abuso del diritto desumibile dall’ordinamento comunitario (30) e ha sancito il rapporto tra detto principio (generale) e le disposizioni antielusive (sintomo di tale principio) già presenti all’interno dell’ordinamento (31).

La diretta derivazione comunitaria del principio del divieto di abuso del diritto in ambito tributario è stata subito oggetto di forte critica da parte della dottrina. In primo luogo è stata contestata l’applicazione generalizzata a tutti i settori impositivi, e in particolare all’imposizione diretta, in quanto le pronunce della corte UE sarebbero circoscritte ai tributi armonizzati. Inoltre, a parere della dottrina prevalente, il richiamo a un imprecisato principio tendenziale che emerge dal diritto comunitario non può giustificare l’introduzione di obblighi impositivi, in contrasto con il principio costituzionale della riserva di legge in ambito tributario; a ciò aggiungasi che la rilevabilità in ogni fase del giudizio da parte del giudice non garantirebbe adeguate tutele al contribuente, il quale potrebbe vedersi contestare il carattere abusivo della condotta senza disporre di adeguati mezzi di difesa. Altri hanno fatto notare che l’abuso del diritto non rientra tra i principi propri dei Trattati (32) e che comunque le clausole antielusive previste dalle direttive comunitarie non sarebbero azionabili nei confronti del contribuente in assenza di norme nazionali di recepimento.

Quanto alla qualificazione di condotta abusiva, la Cassazione, in linea con la citata sentenza Part Service, ammette che le ulteriori motivazioni non marginali di tipo extrafiscale escludano l’abuso. L’onere della prova del disegno abusivo spetta all’Amministrazione Finanziaria; il contribuente può difendersi provando l’esistenza di ragioni diverse dal risparmio fiscale (33).

Il canone della natura anomala e dell’artificiosità delle operazioni utilizzato dalla Corte di giustizia per individuare la violazione della ratio legis in ambito comunitario non è esplicito nella giurisprudenza italiana, ma traspare dall’utilizzo della valutazione di antieconomicità formulato dal giudice, a sua volta riconducibile al disposto dell’art. 37-bis (norma antielusiva “quasi generale”).

Le critiche sollevate con riferimento all’asserito contrasto tra l’applicabilità dell’abuso di matrice comunitaria a tutti i settori impositivi (e quindi all’imposizione diretta) e la riserva di legge prevista dall’art. 23 della Costituzione sono state superate dalla Corte di Cassazione con le tre sentenze gemelle pronunciate a sezioni unite nel 2008 (34), che segnano un cambiamento di rotta significativo nella ricerca delle fonti del divieto di abuso in ambito tributario. Come già accennato, i giudici riconoscono quale fonte del principio antielusivo dell’abuso del diritto in materia tributaria il dettato costituzionale e, in particolare, il principio di capacità contributiva e di progressività di cui all’articolo 53 della Costituzione (35).

I presupposti individuati dalla Corte per la qualificazione del concetto di abuso si riconducono i) al vantaggio fiscale indebito e ii) allo scopo (ragioni) dell’operazione volta alla ricerca del risparmio fiscale. Si introduce poi l’esimente delle ulteriori ragioni economicamente apprezzabili che possano giustificare l’operazione, in attuazione del principio secondo il quale l’abuso si configura quando la ricerca del vantaggio è scopo prevalente dell’operazione.

Inoltre, a differenza di quanto affermato dai giudici comunitari, i giudici nazionali fanno riferimento all’utilizzo distorto degli schemi giuridici (36) che devono connotare le operazioni che ricercano l’obiettivo elusivo, e non all’anomalia delle transazioni commerciali poste in essere.

Sul piano sostanziale, le più recenti sentenze della Corte di Cassazione in tema di abuso hanno consolidato e, in qualche caso, chiarito alcuni aspetti dell’impostazione emersa dal trittico del 2008 (37). Quanto agli aspetti procedurali, è opinione diffusa che le cautele di cui all’art. 37-bis dovrebbero costituire il punto di riferimento per il diritto di difesa del contribuente in tema di abuso in generale (38). Peraltro, la Cassazione ritiene ammissibile l’applicazione delle sanzioni amministrative, e talora anche di quelle penali (39), alle condotte abusive.

A conclusione di questo rapido excursus giurisprudenziale, appare evidente la necessità di sistematizzare sul piano normativo il divieto di abuso in campo fiscale che, seppur astrattamente riconducibile al dettato costituzionale, deve essere conciliato con l’esigenza della certezza del diritto.

Non si può non scorgere come la presenza di un principio anti-abuso non scritto, rilevabile in ogni grado di giudizio, incida negativamente sulla certezza del diritto e costituisca un potenziale disincentivo per le decisioni di investimento degli operatori economici.

Pur riconoscendo, quindi, che grazie all’elaborazione giurisprudenziale è stato possibile stigmatizzare condotte fiscali particolarmente aggressive, è innegabile che solo l’intervento del legislatore con una normativa chiara in materia – presupposto essenziale per contenere lo spazio interpretativo – può ristabilire un corretto rapporto fra amministrazione finanziaria e contribuente e, auspicabilmente, accrescere l’attrattività del nostro Paese per gli investitori.

Peraltro, la predetta esigenza di codificazione dell’abuso del diritto non ha, ad oggi, trovato riscontro in un testo di legge che identifichi chiaramente il confine tra abuso e legittimo risparmio d’imposta(40). Un’analisi comparativa con la legislazione che ha visto di recente la luce nel Regno Unito, oggetto dei prossimi paragrafi, può fornire utili spunti in tal senso.

4. A partire dall’estate del 2007, la crisi finanziaria globale innescata dall’esplosione della bolla dei mutui subprimeamericani ha travolto rapidamente alcuni gruppi bancari britannici, che sono stati salvati dal collasso grazie a iniezioni di capitali pubblici.

Il rapporto debito pubblico/PIL della Gran Bretagna, che fin dalla seconda metà degli anni Novanta si era mantenuto al di sotto del 40%, nel giro di pochi mesi è lievitato fino alla soglia del 70%. Soprattutto a partire dal 2010, il nuovo governo Cameron ha adottato politiche di rigore che, unitamente all’andamento sfavorevole della congiuntura internazionale e al “credit crunch”, hanno creato condizioni di diffuso malessere sociale. Al riguardo, rimangono emblematici i disordini verificatisi a Londra nell’estate del 2011.

In tale quadro, non sorprende che sia aumentata notevolmente l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti delle pratiche di “ottimizzazione fiscale” poste in essere da personaggi famosi, banche e imprese multinazionali (41). Anche all’interno della professione contabile sono state avviate riflessioni in merito al ruolo e all’etica dei professionisti che forniscono servizi di consulenza tributaria.

Più in generale, si è osservata un’accelerazione nel processo di cambiamento della concezione del rapporto tra contribuente e fisco inaugurato nel 1981 con il caso Ramsay (42).

Fino ad allora, infatti, la tassatività della legge fiscale era stata considerata un presidio irrinunciabile alle libertà economiche dei privati nei confronti dello Stato e si era ritenuto che tali libertà potessero essere compresse solo nei casi espressamente previsti dal legislatore; una giurisprudenza consolidata delle corti superiori (43) aveva addirittura riconosciuto il diritto del contribuente a ingegnarsi – nei limiti consentiti dalla lettera della legge – per aggirare gli obblighi imposti dal fisco. Nel caso Ramsay, invece, la Camera dei Lord stabilì per la prima volta che, qualora una transazione sia preceduta da passaggi che non hanno alcuna ragione economica al di fuori del risparmio di imposta, a fini fiscali bisogna valutare l’operazione nel suo complesso.

Soprattutto sul piano politico, il pragmatismo britannico porta a riconoscere che un approccio strettamente formale all’applicazione della legislazione fiscale è divenuto sempre più insostenibile. Posto, infatti, che i tributi non sono una vessazione imposta ai sudditi per soddisfare i capricci del sovrano, ma costituiscono lo strumento principale con il quale lo Stato raccoglie le risorse necessarie per produrre servizi essenziali a beneficio di tutta la collettività, la fiscalità non può più essere considerata alla stregua di “un gioco nel quale i contribuenti possono permettersi di architettare qualsiasi schema per pagare meno tasse” (44).

Già nel 2004 era stato introdotto un obbligo di disclosure dei piani di riduzione di imposta (Disclosure of tax avoidance schemes “DOTAS”) a carico dei promotori e, in alcuni casi, dei contribuenti, finalizzato a porre l’amministrazione finanziaria nelle condizioni di conoscere e di segnalare al legislatore le pratiche elusive maggiormente aggressive affinché fossero adottati opportuni correttivi (45). Inoltre, nel 2009 il Governo ha pubblicato un codice di comportamento fiscale per le banche che – oltre a proibire il compimento di operazioni fiscali artificiose – impone agli intermediari di documentare le proprie strategie fiscali e i connessi processi di governance e di assicurare che le remunerazioni di tutti i dipendenti siano assoggettate a un’equa tassazione.

Peraltro, le predette misure sono state ritenute insufficienti e si è avvertita la necessità di introdurre uno strumento legislativo che da un lato limitasse ex ante il diritto del contribuente a ridurre il proprio carico fiscale con operazioni chiaramente elusive, dall’altro introducesse un sistema di garanzie volto a disciplinare l’azione dell’amministrazione finanziaria in un campo tanto delicato e a preservare la certezza del diritto.

A tal scopo, nel dicembre del 2010 il governo britannico ha incaricato un gruppo di lavoro coordinato da un esperto di tematiche fiscali (G. Aaronson QC) di condurre uno studio di fattibilità in merito alla introduzione nell’ordinamento britannico di una regola antielusiva generale (General Anti-Abuse Rule, “GAAR”) e di formulare, eventualmente, una bozza di legge, avendo presenti i seguenti obiettivi:

fornire al Governo strumenti efficaci per scoraggiare e contrastare l’elusione fiscale;

assicurare che le nuove regole funzionino in modo equo e non erodano la competitività del sistema fiscale britannico nei confronti delle imprese;

assicurare che vi sia certezza in merito al trattamento fiscale delle operazioni poste in essere dai contribuenti, senza costi eccessivi per le imprese e per i privati;

mantenere i costi aggiuntivi per l’amministrazione finanziaria ad un livello accettabile, minimizzando il livello di risorse da distogliere da altre priorità.

Le conclusioni del gruppo di lavoro sono state pubblicate il 21 novembre 2011. Agli inizi dell’anno successivo il Governo ha fatto proprie le conclusioni generali del gruppo di lavoro e ha aperto una formale consultazione pubblica sul disegno di legge per la GAAR. Da ultimo, con la legge finanziaria 2013 sono state apportate alcune modifiche alla “bozza Aaronson” per recepire le osservazioni avanzate in fase di consultazione; la nuova legislazione è entrata in vigore il 17 luglio 2013 e si applicherà solo alle operazioni fiscali avviate dopo tale data (tempus regit actum).

5. Prima di illustrare il funzionamento della GAAR britannica è opportuno chiarirne il campo di applicazione. Al riguardo, la finanziaria 2013 stabilisce che la legislazione antielusiva si applica (46):

all’imposta sul reddito delle persone fisiche (income tax, IT);

all’imposta sulle plusvalenze (capital gains tax, CGT);

all’imposta di successione (inheritance tax, IHT);

all’imposta sul reddito delle società (corporation tax, CT);

alle imposte sostitutive, addizionali o comunque assimilabili alle precedenti (es. tassazione delle controlled foreign company, addizionali per banche e imprese petrolifere, tonnage tax);

all’imposta sui proventi dallo sfruttamento di giacimenti petroliferi (petroleum revenue tax, PRT);

alla tassa sul trasferimento di beni immobili (stamp duty land tax, SDLT);

alla tassa annuale sugli immobili di pregio intestati a società (annual tax on enveloped dwellings, ATED);

ai contributi al sistema nazionale di previdenza sociale (national insurance contributions, NICs) (47).

Considerazioni particolari valgono per i trattati internazionali contro le doppie imposizioni – in genere basati sul modello OCSE – stipulati tra il Regno Unito e altri Paesi. In proposito, si riconosce che un’operazione non potrà essere considerata elusiva per il solo fatto che questa erode la base imponibile in forza delle disposizioni contenute nei predetti trattati, il cui scopo è proprio quello di disciplinare la ripartizione dei redditi di un’impresa multinazionale tra le diverse succursali o tra le diverse società del gruppo. Peraltro, non si esclude che la GAAR possa colpire operazioni artificiose che sfruttano determinate disposizioni dei trattati o la interazione di queste ultime con la normativa fiscale nazionale (48).

La GAAR, in quanto regola generale, opera a prescindere dalle eventuali disposizioni antielusive specifiche presenti nella legislazione fiscale. Pertanto, da un lato il contribuente non potrà opporsi all’applicazione della GAAR sostenendo che l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto fare leva su altre disposizioni tributarie al fine di contrastare una specifica operazione elusiva, dall’altro lato resta impregiudicata la possibilità per l’amministrazione finanziaria di applicare le disposizioni antielusive specifiche a operazioni che potrebbero ricadere nel campo di applicazione della GAAR.

6. Oggetto della GAAR sono le operazioni fiscali, ossia le operazioni che, da un punto di vista oggettivo, hanno come scopo principale o tra gli scopi principaliquello di ottenere un vantaggio fiscale.

Per “operazione” si intende qualsiasi contratto, accordo, piano, atto o serie di atti, anche se non vincolanti sul piano giuridico, e il riferimento al punto di vista oggettivo sta ad indicare che l’elemento psicologico, ossia l’intenzione del contribuente (o del suo consulente), è irrilevante. Del pari, l’espressione “vantaggio fiscale” deve essere intesa nel senso più ampio possibile e comprende, a titolo di esempio: deduzioni fiscali, rimborsi di imposte, detrazioni, inibizione di azioni di accertamento, posticipo del versamento di imposte, aggiramento dell’obbligo di essere assoggettati ad una determinata imposta.

Peraltro, non tutte le operazioni fiscali sono censurabili ai sensi della GAAR. Infatti, la legislazione in esame non mira a contrastare qualsiasi tipo di pianificazione o di ottimizzazione fiscale (49), ma solo le operazioni fiscali elusive, ossia quelle pratiche che “applicano in maniera distorta le regole del sistema tributario, al fine di ricavare un vantaggio fiscale non previsto dal legislatore. Tali pratiche comportano spesso operazioni contorte e artificiose che non hanno alcun proposito oltre a quello di produrre un vantaggio fiscale. Con l’elusione si opera seguendo la lettera, ma non lo spirito, della legge. L’elusione è cosa diversa dalla pianificazione fiscale. Con la pianificazione fiscale si utilizzano benefici fiscali per i fini intesi dal legislatore” (50).

Al fine di chiarire i concetti di elusività e intenzioni del legislatore – che assumono dunque una valenza centrale nella disciplina in esame – risulta utile procedere a una disamina congiunta dell’art. 204 (commi 2-6) della Finanziaria 2013 e dei commenti esplicativi forniti dall’amministrazione finanziaria nella Guida del 15 aprile 2013, la cui valenza giuridica sarà chiarita nel paragrafo relativo agli aspetti procedurali della GAAR (51).

In proposito, l’art. 204 stabilisce che:

Le operazioni sono considerate elusive se l’avvio o il completamento di queste ultime non può essere ragionevolmente considerato una iniziativa ragionevole in relazione alle disposizioni fiscali applicabili, avendo riguardo a tutte le circostanze, incluso:

se, nella sostanza, i risultati delle operazioni siano coerenti con alcuno dei principi sui quali quelle disposizioni si basano (sia espliciti che impliciti) e con gli obiettivi politici di quelle disposizioni (ratio legis),

se i mezzi per raggiungere tali risultati comportino uno o più passaggi artificiosi o anomali, e

se le operazioni abbiano lo scopo di sfruttare qualche lacuna in quelle disposizioni.

Qualora le operazioni formino parte di altre operazioni, vanno considerate anche queste ultime.

Uno degli aspetti più interessanti della GAAR britannica è il test della “doppia ragionevolezza”: all’interprete (e al giudice fiscale) non viene chiesto di valutare se una determinata operazione sia ragionevole, ma piuttosto di valutare se possa essere ragionevolmente sostenuto che quella operazione costituisce una iniziativa ragionevole alla luce delle disposizioni fiscali applicabili. Questo criterio dovrebbe fornire al contribuente un livello di tutela molto elevato nei casi limite, in quanto anche se l’interprete concludesse che l’operazione non è ragionevole, la GAAR non potrebbe essere applicata se qualcun altro potrebbe ragionevolmente sostenere il contrario.

In tale ambito, l’amministrazione finanziaria ammette che nel novero delle opinioni ragionevoli rientrano quelle che sono espressione di sensibilità e professionalità diverse (ad esempio, l’atteggiamento di un fiscalista o di un contabile nei confronti di una determinata operazione potrebbe differire da quello di un consulente d’azienda); non sarebbe invece accettabile, nell’ottica della GAAR, un’opinione secondo cui una determinata operazione è ragionevole per il solo fatto che quest’ultima è perfettamente conforme alla lettera della legge.

Inoltre, l’amministrazione finanziaria reputa generalmente ragionevoli i comportamenti volti a evitare che determinate operazioni siano tassate in misura eccessiva o addirittura superiore al risultato economico effettivamente conseguito.

Data la definizione generale, la legge prosegue elencando una serie (non tassativa) di indicatori di elusività, i quali però sono sempre subordinati al criterio della corrispondenza con la volontà politica del legislatore:

A titolo di esempio, le operazioni potrebbero essere elusive in presenza di uno o più dei seguenti indicatori:

le operazioni generano un reddito imponibile a fini fiscali che è significativamente inferiore al risultato economico;

le operazioni generano perdite o elementi deducibili a fini fiscali che sono significativamente superiori alla perdita economica;

le operazioni hanno come risultato un credito per il rimborso o il riaccredito di imposte (incluse le imposte estere) che non sono state pagate e che probabilmente non verranno pagate,

ma, in ciascuno dei casi sopra elencati, solo se è ragionevole assumere che tale risultato non era stato previsto quando le disposizioni fiscali applicabili sono state emanate.

Infine, il legislatore introduce una tutela espressa dell’affidamento riposto dal contribuente negli orientamenti manifestati dall’amministrazione finanziaria:

Il fatto che le operazioni fiscali siano conformi alla prassi consolidata e che l’amministrazione finanziaria, all’epoca in cui tali operazioni sono state avviate, abbia indicato di accettare tali prassi, è un esempio di qualcosa che potrebbe indicare che le operazioni non sono elusive.

Per quanto concerne l’affidamento del contribuente sulle “prassi consolidate accettate dall’amministrazione finanziaria”, le autorità fiscali hanno precisato che particolare attenzione andrà prestata alle modalità con cui l’amministrazione ha espresso il proprio orientamento su determinate questioni. In particolare, mentre il contribuente potrà sicuramente riporre il proprio affidamento sulle circolari e su altre comunicazioni ufficiali dell’agenzia fiscale, non potrà ritenere i propri comportamenti al riparo dalla GAAR per il solo fatto che, in passato, l’amministrazione ha adottato atteggiamenti di acquiescenza nei confronti di fattispecie analoghe poste in essere da altri contribuenti. Inoltre, è fatto sempre salvo il diritto dell’amministrazione di mutare il proprio orientamento con effetto irretroattivo (ex nunc).

Passiamo ora ad esaminare gli effetti della GAAR sulle operazioni giudicate elusive.

Se si conclude che una determinata operazione fiscale è elusiva, l’applicazione della GAAR comporterà il disconoscimento dei vantaggi fiscali ottenuti dal contribuente. Peraltro, tale disconoscimento dovrà essere effettuato in modo equo e ragionevole.

Spesso il calcolo del vantaggio fiscale è semplice e immediato, soprattutto quando l’operazione è compiuta esclusivamente a fini fiscali e l’unica alternativa ipotizzabile consisterebbe nel non compierla affatto. Invece, nei casi più complessi in cui vi sono diverse modalità alternative (non elusive) per raggiungere un determinato risultato che non si esaurisce nel mero vantaggio fiscale, le imposte dovranno essere rideterminate – tenuto conto di tutte le circostanze rilevanti – sulla base dell’alternativa più probabile, che non coincide necessariamente con quella più onerosa per il contribuente.

Inoltre, le rettifiche da GAAR non possono tradursi in una doppia tassazione (giuridica o economica) a carico dello stesso contribuente o di più contribuenti. Sulla base di tale principio, il disconoscimento dei vantaggi fiscali conseguiti in un determinato periodo di imposta deve essere accompagnato – se ne ricorrono le condizioni – dalle conseguenti riduzioni del carico fiscale sopportato dal contribuente nel medesimo periodo d’imposta o in altri periodi di imposta. Ad esempio, se si disconosce il diritto di differire in più anni la tassazione di una plusvalenza conseguita in un determinato esercizio, si dovrà anche ridurre l’imponibile degli esercizi successivi. Peraltro, il diritto del contribuente di contestare l’errata o iniqua applicazione delle riduzioni in parola è soggetto ad un termine di decadenza di 12 mesi, che decorrono dalla data in cui non sono più esperibili ricorsi amministrativi o giurisdizionali contro l’applicazione della GAAR.

7. In prima battuta, la GAAR può (anzi, dovrebbe) essere applicata dal contribuente stesso in sede di autodichiarazione. In caso di incertezza, il contribuente può cautelarsi fornendo una descrizione della questione dubbia nella dichiarazione dei redditi.

Al riguardo, è bene sottolineare che la GAAR non prevede, di per sé, alcuna facoltà di interpello preventivo dell’amministrazione finanziaria a favore del contribuente. Tuttavia, per le singole imposte che rientrano nel campo di applicazione della GAAR la legislazione prevede spesso facoltà di interpello che possono essere esercitate al fine di ottenere un “nulla osta” dalle autorità fiscali, a patto che si dichiari espressamente che l’operazione in questione non ha finalità elusive. Fatto salvo il caso di dichiarazioni false o incomplete, il “nulla osta” concesso sulla base dei predetti interpelli in merito ad una specifica operazione varrà anche a fini GAAR.

Posto che ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che una determinata operazione è elusiva, al fine di garantire un’applicazione “responsabile e uniforme” della GAAR la legge stabilisce che il procedimento per far valere la GAAR può essere avviato solo da un funzionario dell’agenzia fiscale appositamente designato dai Commissari (52). Pertanto, gli ordinari funzionari dell’agenzia fiscale britannica non possono far valere la GAAR senza rimettere il caso al predetto “Funzionario Designato”.

Se il Funzionario Designato ritiene che il contribuente ha tratto vantaggio da un’operazione fiscale elusiva e che tale vantaggio debba essere neutralizzato, egli deve notificare al contribuente un avviso nel quale siano chiaramente indicati: 1) l’operazione fiscale e il vantaggio fiscale; 2) le ragioni per cui l’operazione deve considerarsi elusiva; 3) gli aggiustamenti e le rettifiche d’imposta necessari, e il modo con cui questi sono calcolati; 4) i termini per presentare eventuali controdeduzioni; 5) i passi successivi, sia per il caso che il contribuente presenti controdeduzioni sia per il caso che non si avvalga di tale facoltà.

Il contribuente ha 45 giorni a partire dalla data della notifica per inviare le proprie controdeduzioni al Funzionario Designato (salvo proroga del termine in casi eccezionali).

Decorsi i termini per le controdeduzioni, il Funzionario Designato dovrà prendere in considerazione le eventuali osservazioni del contribuente e, qualora ritenga ancora che sussistano i presupposti per l’applicazione della GAAR, entro 45 giorni dovrà riferire la questione ad un Comitato Consultivo per l’applicazione della GAAR. A tal fine, il Funzionario Designato dovrà notificare al contribuente che la questione è stata riferita al Comitato, allegando le proprie osservazioni sulle controdeduzioni del contribuente e avvisando quest’ultimo della possibilità di presentare ulteriori osservazioni al Comitato.

Contestualmente, il Funzionario Designato deve inviare al Comitato: 1) una copia dell’avviso inviato al contribuente; 2) una copia delle controdeduzioni del contribuente; 3) i propri commenti alle osservazioni del contribuente; 4) una copia della notifica di cui al paragrafo precedente.

A questo punto il contribuente ha 21 giorni per presentare ulteriori memorie al Comitato; in casi eccezionali il contribuente può chiedere una proroga del termine. Copia delle memorie deve essere inviata al Funzionario Designato, ma quest’ultimo potrà avanzare osservazioni – entro 45 giorni – solo se il contribuente non aveva presentato controdeduzioni nella prima fase del procedimento. Copia delle eventuali osservazioni dovrà essere inviata al contribuente.

Ogniqualvolta una questione è riferita al Comitato, il Presidente del Comitato deve selezionare un sottocomitato di tre membri (uno dei quali può essere lo stesso Presidente) per esaminarla. Il sottocomitato potrà chiedere ulteriori informazioni sia all’amministrazione finanziaria sia al contribuente, fermo restando che qualsiasi informazione aggiuntiva fornita dall’amministrazione o dal contribuente dovrà essere notificata alla controparte.

Entro 60 giorni il sottocomitato deve redigere uno o più pareri (53) sull’operazione fiscale e darne copia al Funzionario Designato e al contribuente. Ciascun parere deve contenere: 1) una conclusione sulla natura elusiva o meno dell’operazione fiscale, ossia sulla ragionevolezza dell’iniziativa in relazione alle disposizioni fiscali applicabili, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, di quelle elencate all’art. 204 della Finanziaria 2013 e degli indicatori di elusività, oppure 2) una dichiarazione di impossibilità ad esprimere un giudizio sulla base delle informazioni disponibili e 3) la motivazione delle conclusioni raggiunte.

E’ importante rimarcare che, in questa sede, a ciascun membro del sottocomitato non viene chiesto di effettuare il test della “doppia ragionevolezza” visto in precedenza, ma semplicemente di esprimere la propria opinione in merito alla ragionevolezza dell’operazione in esame.

Sul piano strettamente giuridico, il parere congiunto (o i pareri distinti) espressi dal sottocomitato non sono vincolanti per il Funzionario Designato. Peraltro, qualora vi sia almeno un parere a favore della ragionevolezza della condotta tenuta dal contribuente, l’amministrazione finanziaria dovrà valutare con molta attenzione l’opportunità di proseguire nell’azione per l’applicazione della GAAR.

Ciò posto, il Funzionario Designato deve notificare al contribuente l’intenzione di proseguire o meno con l’applicazione della GAAR. In caso affermativo l’avviso deve contenere: 1) le rettifiche d’imposta necessarie a neutralizzare l’operazione elusiva e 2) altre eventuali atti che il contribuente deve porre in essere per neutralizzare l’operazione elusiva.

L’avviso in questione ha funzione meramente informativa, pertanto non crea alcun obbligo a carico del contribuente e non può essere impugnato autonomamente. Tuttavia, dopo la notifica dell’avviso al contribuente l’amministrazione finanziaria potrà far valere la GAAR nell’ambito delle ordinarie procedure di accertamento. La legislazione GAAR non introduce, infatti, alcuna deroga ai termini per l’accertamento e al regime sanzionatorio delle singole imposte cui può essere applicata. Analogamente, il contribuente potrà avvalersi degli ordinari strumenti di tutela sia in sede amministrativa sia giurisdizionale e, in ogni caso, l’applicazione della GAAR non implica la qualificazione automatica del comportamento tenuto dal contribuente come colposo o doloso (54).

Si è visto che un ruolo centrale nell’applicazione della GAAR spetta al Comitato Consultivo, un organo che, nelle intenzioni del legislatore, ha la funzione di fornire opinioni qualificate e indipendenti da quelle dell’amministrazione finanziaria al fine di tutelare al meglio le legittime ragioni dei contribuenti. I membri del Comitato sono infatti nominati dai Commissari, devono possedere conoscenze in campo aziendalistico, legale, tributario o contabile e non possono essere funzionari dell’agenzia fiscale.

In buona sostanza, la legislazione GAAR assegna due compiti al Comitato: i) fornire i pareri sui casi riferiti dal Funzionario Designato e ii) approvare la Guida sulla GAAR predisposta dall’agenzia fiscale e le successive modifiche, ad eccezione dell’ultima parte (sezione E), che tratta delle questioni procedurali.

L’importanza del Comitato può essere meglio compresa esaminando la disciplina legale del regime probatorio cui il giudice tributario è soggetto nel momento in cui si trova ad applicare la GAAR ad una determinata operazione fiscale. Al riguardo, la Finanziaria 2013 stabilisce che il giudice:

deve tenere conto del parere (o dei pareri) espresso dal Comitato, che comunque non ha natura vincolante né per l’amministrazione finanziaria, né per il contribuente né tantomeno per il giudice;

deve tenere conto delle parti della Guida approvate dal Comitato e può tenere conto anche della sezione E. In tal modo, le disposizioni di legge sono integrate da una normativa secondaria che, pur essendo redatta dall’amministrazione finanziaria, è sottoposta al vaglio di un organo indipendente (il Comitato). Inoltre, sul piano formale viene tutelata l’autonomia di giudizio del giudice tributario e sul piano sostanziale si obbliga quest’ultimo a motivare adeguatamente le sentenze;

può tenere conto di istruzioni, dichiarazioni o di altro materiale (proveniente dall’amministrazione finanziaria, da un Ministro o da qualunque altro soggetto) che era di dominio pubblico al tempo in cui l’operazione è stata avviata nonché dell’evidenza di prassi consolidate, se si dimostra che l’amministrazione finanziaria aveva indicato di accettare quelle prassi al tempo in cui l’operazione è stata avviata.

L’ultimo punto merita qualche chiarimento. Nel paragrafo 6, relativo agli aspetti sostanziali della GAAR, si è visto che, ai fini della corretta qualificazione di un’operazione fiscale potenzialmente elusiva, assume rilevanza precipua la verifica della corrispondenza della condotta tenuta dal contribuente con gli obiettivi politici delle diposizioni fiscali applicabili (ratio legis). Tuttavia, la ricostruzione dei predetti obiettivi sulla base dei testi normativi raramente è agevole e, in condizioni normali, troverebbe una forte limitazione nel divieto di utilizzare le dichiarazioni rese da membri del Parlamento come mezzo di prova in giudizio (55). Ciò premesso, ai fini dell’interpretazione della GAAR la legge permette di andare oltre la “voluntas legis” desumibile dalla lettera della norma e di ricostruire, ove necessario, la “voluntas legislatoris” grazie a resoconti dei lavori parlamentari, comunicati stampa, relazioni e altro materiale della specie.

Secondo l’amministrazione finanziaria, la disposizione in esame faciliterà notevolmente il contrasto delle operazioni fiscali che si propongono di eludere le varie norme antielusive specifiche stratificatesi nel corso degli anni nonché di quelle operazioni che sfruttano le “sviste” del legislatore per procurare indebiti vantaggi fiscali ai contribuenti più spregiudicati.

Peraltro, appare adeguatamente tutelata anche la posizione del contribuente che, oltre ad avvalersi dei predetti strumenti interpretativi, potrà provare con ogni mezzo che l’amministrazione finanziaria aveva indicato di accettare certe prassi consolidate.

8. Il legislatore britannico si è dimostrato consapevole del fatto che la codificazione della materia dell’abuso del diritto in campo fiscale pone un delicato trade offtra due “beni pubblici” assai desiderabili: l’efficacia dell’azione di contrasto alle pratiche elusive e la certezza del diritto per gli operatori economici.

Al fine di minimizzare il dilemma in questione, è stata redatta una norma che, pur essendo spiccatamente principle-based, delinea in modo esaustivo – verrebbe da dire “discorsivo” – l’elemento costitutivo della fattispecie censurabile e, a titolo non tassativo, gli elementi sintomatici tipici della condotta elusiva. Inoltre, per quanto attiene agli aspetti procedurali, sono stati recepiti gli indirizzi rivenienti dalla giurisprudenza comunitaria e sono stati adottati meccanismi volti ad assicurare l’adeguata tutela di tutti gli interessi in gioco, la chiara allocazione delle responsabilità dei vari attori e l’applicazione uniforme della normativa sul territorio nazionale.

Il sistema tributario britannico presenta notevoli differenze rispetto a quello italiano e, in molti casi, appare assai più complesso; contiene stratificazioni e formalismi che, nel corso degli ultimi decenni, hanno giovato non poco allo sviluppo dell’industria del “tax planning”. Nondimeno, la GAAR britannica può offrire diversi spunti di riflessione – sia per gli aspetti sostanziali, sia per quelli procedurali e sanzionatori – al legislatore italiano che si accinge finalmente ad introdurre nell’ordinamento una norma antielusiva generale.

Quanto agli aspetti sostanziali, va in primis sottolineato il criterio definitorio, ossia l’identificazione dei presupposti dell’abuso e la codificazione (non tassativa) dei caratteri sintomatici che accompagnano la condotta abusiva. Il legislatore britannico pone al centro della normativa il concetto in base al quale con l’elusione si opera seguendo la lettera, ma non lo spirito, della legge. Una siffatta impostazione implica che, per escludere l’abuso, vi debba essere una ragionevole aderenza alla ratio legis dei comportamenti adottati dal contribuente, siano questi ultimi singoli atti giuridici oppure una complessa combinazione di più atti. A contrario, se ne deduce necessariamente che nessuno spazio può residuare per costruzioni simulatorie, operazioni fittizie o fraudolente.

Tale approccio va ben oltre non solo il criterio dell’attuale art. 37-bis italiano ma anche il canone utilizzato dalla corte lussemburghese per identificare la condotta abusiva (56), ossia “l’uso distorto di strumenti giuridici”. Al riguardo, è stato giustamente notato che “l’enfasi sull’abuso delle forme giuridiche e dell’autonomia negoziale è il sintomo di un fraintendimento del fenomeno dell’elusione tributaria”(57). L’elusione, infatti, non può essere confinata alla manipolazione degli strumenti giuridici utilizzati. Anzi, come è vero che non può ravvedersi un abuso ogni qualvolta vi sia l’utilizzo di una forma giuridica o di uno schema piuttosto che di un altro fiscalmente più oneroso – il che potrebbe rientrare nella legittima pianificazione fiscale – è parimenti vero che può esservi abuso anche senza l’utilizzo distorto di schemi giuridici. In altre parole, l’enfasi andrebbe spostata dalla struttura negoziale al comportamento sottostante: al fine di orientare il giudizio sulla natura indebita del vantaggio fiscale, l’anomalia andrebbe ricercata negli effetti finali delle operazioni poste in essere dal contribuente, e nella compatibilità di questi ultimi con la “ratio” della legge tributaria. Assumere il canone dell’uso distorto delle forme giuridiche quale elemento costitutivo necessario della fattispecie abusiva potrebbe alimentare il contenzioso tra i soggetti passivi e l’amministrazione finanziaria e, al contempo, inficiare i risultati che con la codificazione si vogliono raggiungere: il recupero della certezza del diritto e uno strumento di contrasto dei disegni abusivi davvero efficace.

Sembrerebbe dunque preferibile elencare una serie non tassativa di indicatori che assurgerebbero a canone interpretativo per valutare la contrarietà della condotta del contribuente alla ratio delle norme fiscali, sulla base dell’esempio offerto dalla GAAR britannica.

Fa poi riflettere l’assenza nella GAAR britannica di un riferimento alla “mancata conformità alle normali logiche di mercato”, criterio che rischia di divenire foriero di ulteriori spazi di incertezza e conseguente contenzioso, da annoverare quindi anche de iure condendo nel nostro ordinamento fra i possibili indicatori di anomalia e non fra gli elementi qualificanti l’abuso.

La linea d’azione suggerita, inoltre, risulterebbe più conforme alla recente raccomandazione della Commissione Europea (58) che, nel raccomandare che ogni Stato membro inserisca nel proprio ordinamento una clausola antielusiva generale, fornisce una serie di indicatori (59) con i quali valutare l’artificiosità/anomalia dello schema posto in essere dal contribuente. Inoltre, sarebbe auspicabile che la legge precisasse i confini dell’abuso, sancendo una volta per tutte l’identità dei concetti di abuso ed elusione; in tal modo, il legittimo risparmio d’imposta verrebbe ad essere definito in via residuale.

Ancora, in punto di sostanza, nella normativa britannica appare assai interessante il test della “doppia ragionevolezza” che, in certa misura, si ricollega anche al tema dell’utilizzo degli strumenti giuridici formalmente corretto, ma nella sostanza lesivo della ratio delle norme fiscali. Se, infatti, non è sufficiente addurre il rispetto formale delle norme per sostenerela correttezza del comportamento del contribuente, qualsiasi giudizio al riguardo può essere espresso solo tenendo conto di una pluralità di sensibilità. Infatti, in una realtà in cui gli operatori economici agiscono in base a considerazioni di natura assai differente (giuridiche, contabili, aziendalistiche, ecc.), non si può negare la necessità di un approccio “multidisciplinare” che contempli un dialogo fra le varie competenze.

Condivisibile appare poi, nella GAAR britannica, la tutela dell’affidamento riposto dal contribuente negli orientamenti manifestati dalle autorità fiscali, principio cardine di certezza giuridica che, tuttavia, non tracima nel riconoscimento della mera acquiescenza dell’amministrazione finanziaria (in materia tributaria il silenzio-assenso non trova asilo né nel diritto anglosassone, né nel nostro ordinamento).

Anche per gli aspetti di natura procedimentale e per le garanzie a favore del contribuente cui venga contestata la condotta abusiva la normativa britannica offre spunti interessanti.

Ad esempio, si prevede da un lato che il disconoscimento dei vantaggi fiscali debba essere effettuato “in modo equo e ragionevole”, dall’altro che il “ricalcolo” possa essere contestato entro un anno, contemperando così la tutela del contribuente con l’interesse dello Stato a conoscere per tempo l’entità esatta del gettito. Per vero, sono questi aspetti già presenti nell’art. 37-bis che, tuttavia, potrebbero essere affinati.

Maggiormente innovativi paiono invece la figura del “Funzionario Designato” – unico soggetto competente per la contestazione dell’abuso – e il “Comitato Consultivo per l’applicazione della GAAR”: questi elementi, che sono presenti anche in altri ordinamenti, costituiscono una importante garanzia di parità di trattamento dei contribuenti e di terzietà nella analisi tecnica delle fattispecie contestate. Analisi che, ancorché non strettamente vincolante per il giudice tributario, assume per forza di cose notevole rilevanza nell’ambito di una eventuale fase giudiziale.

Qualunque sarà la soluzione adottata, nel dibattito in corso nel nostro Paese può considerarsi ormai acquisto il principio secondo cui l’avviso di accertamento deve indicare in maniera chiara i presupposti dell’abuso e l’onere della prova di dimostrare il disegno elusivo è a carico dell’Amministrazione finanziaria. In proposito, il testo all’esame del Parlamento stabilisce che tale onere andrà assolto con elementi obiettivi e verificabili, nonché con la prova dell’alterazione degli schemi giuridici utilizzati, mentre sul contribuente dovrebbe gravare l’onere di dimostrare la prevalenza di diverse motivazioni alla base del comportamento contestato. Considerata l’ampia portata di un generale principio anti-abuso, infatti, è essenziale che il diritto di difesa sia assicurato già prima della eventuale fase giudiziaria, attraverso il contraddittorio tra il contribuente e l’ufficio impositore; quest’ultimo dovrà tener conto, prima di contestare formalmente la condotta abusiva, di tutte le motivazioni addotte a giustificazione della presunta condotta elusiva. In questo modo, verrebbero davvero rispettati sin dalla fase dell’accertamento il principio costituzionale del diritto alla difesa di cui all’art. 24 della Costituzione e l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo.

Alla stessa stregua andrebbe considerata la definizione di limiti alla rilevabilità d’ufficio da parte del giudice.

Inoltre, parrebbe ragionevole emulare la GAAR britannica nella parte in cui definisce il dies a quo di applicabilità delle nuove disposizioni alle sole operazioni fiscali avviate dopo tale data.

Alcuni aspetti della normativa britannica in tema di abuso non sembrano invece attagliarsi compiutamente alle esigenze del legislatore italiano di includere tutte le aree dell’elusione fiscale, senza lasciare ipotetici spazi aperti all’abuso.

Si fa riferimento in primis alla menzione esplicita delle materie fiscali coperte dalla GAAR britannica (cfr par. 5), che allo stato appare omnicomprensiva, ma col passare del tempo potrebbe dover essere rincorsa con nuova normazione.

Del pari, non appare opportuno omettere, nel nostro ordinamento, gli aspetti sanzionatori connessi alla configurazione di fattispecie configuranti abuso. Gli orientamenti giurisprudenziali non ancora consolidati sull’applicabilità di sanzioni amministrative e/o penali rendono infatti opportuno definire anche le conseguenze dei comportamenti elusivi. Una volta codificato il generale divieto di abuso del diritto, apparirebbe anzi logica la previsione di un regime di “enforcement” incentrato su sanzioni di natura amministrativa. Seppur in molte pronunce della Suprema Corte si sia proceduto in tal senso, in alcuni casi è stata addirittura non esclusa l’applicabilità delle sanzioni penali (60). Vero è che i giudici lussemburghesi, a partire dalla sentenza Halifax, si sono orientati per la non applicabilità delle sanzioni amministrative, in quanto non supportate da una espressa previsione di legge e quindi ritenute in contrasto con l’esigenza di assicurare agli operatori economici la certezza del diritto. Peraltro, una volta codificato il principio generale anti-abuso, tale ordine di argomentazioni verrebbe meno e, attraverso le sanzioni amministrative, si potrebbe introdurrebbe un efficace disincentivo alla pianificazione fiscale “aggressiva”.

Inoltre, in Gran Bretagna la presenza di numerose norme specifiche in tema di interpello ha fatto ritenere non necessaria una disposizione ad hoc in materia di abuso. Per contro, nel nostro Paese vi sono diverse voci a favore di una facoltà di interpello preventivo generale in tema di abuso (61).

Infine, l’interessante accento posto dalla GAAR britannica sul rilievo attribuibile alla “voluntas legislatoris” desumibile da resoconti e comunicati a supporto dell’iter legislativo va tradotto nella rilevanza ben più contenuta che la stessa può avere nel nostro ordinamento, ovvero non come canone “interpretativo” giuridico, ma come strumento di “comprensione” nella lettura del testo legislativo che, in quanto tale, occorre viva di vita propria e sia astrattamente esaustivo.

9. Se anche la Gran Bretagna – che per tradizione di common lawè ben avvezza a fondare il sistema giuridico sulle pronunce giurisprudenziali – ha avvertito la necessità di legiferare in maniera onnicomprensiva sul tema dell’abuso del diritto, il normatore italiano non può indugiare oltre. L’impostazione anglosassone, particolarmente incline a focalizzare gli interventi normativi sulla sostanza delle operazioni al di là degli aspetti formali, può fornire utili spunti di riflessione anche al nostro legislatore.

E’ essenziale che anche nel nostro ordinamento si colmi una lacuna univocamente riconosciuta e, al contempo, si dia seguito alla Raccomandazione della Commissione Europea del 6 dicembre 2012 che, per contrastare le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che non rientrano nell’ambito di applicazione delle norme nazionali specifiche intese a combattere l’elusione fiscale, invita gli Stati membri ad adottare una norma generale antiabuso (62).

In tale quadro, non va dimenticato l’altro strumento che accompagna il disegno de iure condendo in materia di abuso, ossia la previsione di una “cooperazione rafforzata” tra imprese e amministrazione finanziaria volta ad evitare ex ante le condotte elusive e a favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali.

A livello microeconomico, una buona normativa in tema di abuso contribuirebbe a riportare il rischio fiscale dell’impresa a livelli fisiologici e a ridurre quell’incertezza che costituisce un terreno sdrucciolevole e inidoneo a gettare le fondamenta di consapevoli e ponderate decisioni di investimento. A livello macroeconomico, ne deriverebbero effetti positivi sull’equità e sulla attrattività del sistema.

 

1 Cfr. G. ZIZZO “La giurisprudenza in materia di abuso ed elusione nelle imposte sul reddito”, in Corr. trib., n.14, 2012.

2 Confinare l’elusione a un ambito ristretto avrebbe come conseguenza quella di considerare legittimo risparmio d’imposta ogni comportamento che l’ordinamento non ha elevato a caso elusivo. Gran parte della dottrina sostiene che tale principio derivi direttamente dall’art. 23 della Costituzione (riserva di legge in ambito tributario), sicché risulterebbe illegittimo sottoporrea carico tributario tutte le situazioninon codificate dall’ordinamento in ossequio a tale riserva di legge. Come si vedrà in seguito, a partire dal 2005 la giurisprudenza ha incominciato a criticare tale impostazione e a sostenere la presenza di un principio in tema di abuso del diritto di derivazione dapprima comunitaria e poi costituzionale.

3 Sul punto P. PISTONE, “L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisioni terminologiche della Corte di Giustizia Europea in tema di Iva.”, nota a sentenza Corte Giust. Ce, in Riv. dir. trib., 2007 e analogamente A. CONTRINO, “Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto”, Bologna 1996.

4 Anche l’Agenzia delle Entrate, nel dettare istruzioni agli Uffici periferici a seguito della sentenza Halifax con la circ. 67 E del 13-12-2007, equipara i concetti di abuso ed elusione.

5 L’art. 37 bis del D.P.R. 600/73 contiene una serie di garanzie per il contribuente cui sia contestato un disegno elusivo, in tema di dialettica, termini, sanzionabilità delle condotte e onere della prova e allo stesso modo disposizioni anti elusive specifiche prevedono la possibilità per il contribuente, prima della fase del giudizio, di provare che il comportamento tenuto non configuri un disegno elusivo.

6 Ne sono esempi i limiti al riporto delle perdite e degli interessi passivi nelle operazioni di fusione e scissione, il regime delle controlled foreign companies, i limiti alla deducibilità dei costi sostenuti con soggetti residenti in stati black list, il regime di presunzione della residenza delle società estere (cd. estero-vestizione) nonché il regime previsto dall’art. 2 comma 3 della l. 461/97 che prevede, nell’ambito delle operazioni di pronti contro termine ed operazioni analoghe (tra le quali rientrano tutte quelle operazioni che nella sostanza producono i medesimi effetti), la possibilità per il soggetto cui si imputano dividendi, interessi o altri proventi di godere dell’esclusione, ritenute o crediti d’imposta, soltanto se spettanti al beneficiario effettivo.

7 L’art. 37 bis prevede che sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e inegozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. Antesignano ne era l’art.10 della legge n. 408 del 1990.

8 Certamente si aggira la norma quando si ricorre a espedienti pur di non realizzare la fattispecie ivi prevista, magari scomponendo l’operazione economica. Viene ravvisato aggiramento anche nell’utilizzo della norma per finalità diverse da quelle per le quali è stata introdotta nel sistema; in altri termini, quando si rispetta la lettera, ma se ne tradisce lo spirito – Cfr. L. FERLAZZO NATOLI e G. INGRAO, “Abuso del diritto ed elusione fiscale tra principi comunitari e regole interne”, n. 1/2011, Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Messina.

9 L’amministrazione, a pena di nullità, prima di emanare l’avviso di accertamento deve chiedere chiarimenti al contribuente, da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta. In tale richiesta devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili le disposizioni antielusive. Inoltre, la motivazione dell’atto impositivo deve evidenziare la norma aggirata e segnatamente lo “schema modello” che avrebbe dovuto utilizzare il contribuente e lo “schema patologico” realizzato per aggirare la norma. Le imposte o le maggiori imposte così accertate sono iscritte a ruolo, unitamente ai relativi interessi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.

10 Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006, causa C 255/02 Halifax plc, Leeds Permanent Development Services Ltd e County Wide Property Investments Ltd contro Commissioners of Customs & Excise, in Racc., I-01609.

11 Nel giorno della sentenza Halifax la Corte ha emanato altre due sentenze aventi ad oggetto il generale divieto di abuso del diritto: C-419/02 (BUPA Hospitals Ltd e Goldsborough Developments Ltd) e C-223/03 (University of Huddersfield Higher Education Corporation).

12 In sintesi, l’interpretazione della sesta direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977 (77/388/CEE), ha tratto origine da una controversia tra un gruppo bancario inglese e i Commissioners of Customs & Excise per aver questi ultimi respinto domande di recupero ovvero di detrazione dell’IVA. Halifax intendeva effettuare lavori di costruzione di alcuni immobili su terreni di proprietà o in locazione; tuttavia, essendo la maggior parte delle proprie prestazioni “attive” (servizi bancari e finanziari) in regime di esenzione da IVA, avrebbe potuto recuperare sui lavori fatturati soltanto una parte minima dell’imposta assolta (meno del 5 per cento). Il piano consentiva, attraverso una serie di operazioni che coinvolgevano diverse società controllate (alle quali l’istituto medesimo forniva la relativa provvista), di recuperare pressoché integralmente l’IVA assolta a monte sui predetti lavori di costruzione. Mediante una serie di contratti e di subappalti i predetti lavori erano stati affidati a società controllate operanti in regime di imponibilità e con diritto alla detrazione, e da queste affidati a terzi costruttori indipendenti; il pagamento risultava imputabile al controllante, che in sostanza finanziava l’operazione complessiva attraverso la concessione di prestiti alle proprie controllate. L’amministrazione finanziaria del Regno Unito ha contestato ad Halifax di aver posto in essere le diverse operazioni al solo fine di recuperare l’intero importo dell’IVA e non solamente la quota parte recuperabile in base al proprio pro-rata di detraibilità.

13 L’applicazione della normativa comunitaria non può, infatti, estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di transazioni commerciali normali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario. Perché possa parlarsi di comportamento abusivo, le operazioni controverse, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalla VI direttiva e dalla legislazione nazionale che la traspone, devono portare ad un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Non solo, deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi chetalioperazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. CGUE Sentenza 21. 2. 2006 — CAUSA C-255/02, par. 72.

14 In ordine agli effetti dell’individuazione di un comportamento abusivo, la Corte di Giustizia afferma che le operazioni relative a tale comportamento devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato: CGUE SENTENZA 21. 2. 2006 — CAUSA C-255/02, par. 94.

15 La constatazione dell’esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre a una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e univoco, bensì, semplicemente a un obbligo di rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni dell’IVA assolta a monte CGUE SENTENZA 21. 2. 2006 — CAUSA C-255/02, par 93.

16 Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2008, causa C 425/06, Ministero dell’Economia e delle Finanze contro Part Service Srl, Racc., I-00897. La Corte di Cassazione italiana, nel caso sottoposto all’organo comunitario, aveva domandato infatti se la nozione di abuso del diritto, definita dalla sentenza [Halifax e a., cit.,] come operazione essenzialmente compiuta al fine di conseguire un vantaggio fiscale fosse coincidente, più ampia o più restrittiva di quella di operazione non avente ragioni economiche diverse da un vantaggio fiscale.

17 Sentenza CGUE 22 dicembre 2010C-277/09 e CGUE 22 dicembre 2010 C-103/09.

18 In particolare nel caso Weald Leasing la Corte sottolinea in maniera chiara che il vantaggio fiscale derivante dalla condotta posta in essere dal contribuente […] non costituisce un vantaggio fiscale il cui ottenimento sarebbe contrario allo scopo perseguito dalle disposizioni pertinenti della sesta direttiva e della normativa nazionale che traspone quest’ultima, purché le condizioni contrattuali relative a tali operazioni, in particolare quelle riguardanti la fissazione dell’importo dei canoni locativi, corrispondano a normali condizioni di mercato […] (par. 45). Il vantaggio cioè non è contrario allo scopo perseguito dall’ordinamento a condizione che non vi siano indici di anomalia/artificiosità nelle transazioni poste in essere.

19 Ad es. le Direttive 90/435/CE c.d. madre-figlia, 90/434/CE sulle fusioni transfrontaliere, 2003/49/CE su interessi, canoni e royalty.

20 In tale pronuncia si afferma, in primo luogo, che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto comunitario e l’applicazione di queste ultime non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell’ambito di normali transazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario. Corte di Giustizia, sentenza 5 luglio 2007, causa C-321/05, Hans Markus Kofoed contro Skatteministeriet, Racc., I-05795, par.38.

21 Sentenza CGUE 5. 7. 2007 — CAUSA C-321/05, par. 38.

22 Ciò in quanto per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in taluni casi, a seconda del contenuto di quest’ultima, un contesto normativo generale di modo che non è necessaria una formale ed esplicita riproduzione nelle disposizioni nazionali e purché la situazione giuridica derivante dai provvedimenti nazionali di trasposizione sia sufficientemente precisa e chiara per consentire ai singoli interessati di conoscere la portata dei loro diritti e obblighi, la trasposizione di una direttiva nel diritto interno non esige necessariamente un’azione legislativa in ciascuno Stato membro. […] Tutte le autorità di uno Stato membro, quando applicano il diritto nazionale, sono tenute ad interpretarlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo delle direttive comunitarie, al fine di conseguire il risultato perseguito da queste ultime, benché come visto tale obbligo di interpretazione conforme non può giungere sino al punto che una direttiva, di per se stessa e indipendentemente da una legge nazionale di trasposizione, crei obblighi per i singoli ovvero determini o aggravi la responsabilità penale di coloro che trasgrediscono le sue disposizioni, tuttavia lo Stato può, in linea di principio, opporre un’interpretazione conforme della legge nazionale nei confronti dei singoliSentenza CGUE 5. 7. 2007 — CAUSA C-321/05 par. 45.

23 M. CARDILLO, “L’abuso del diritto nella giurisprudenza comunitaria e nazionale”, Quaderno n. 5/2011, Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche Università degli Studi di Foggia.

24 La decisione riguarda la legittimità, alla luce del principio di libertà di stabilimento, di una normativa nazionale (nel caso di specie la normativa inglese), che preveda la tassazione per trasparenza, in capo alla società residente in uno stato membro, degli utili prodotti da una società residente in altro stato membro controllata dalla prima. Il giudice, chiamato a pronunciarsi su quali potessero essere le condizioni che giustificassero una restrizione delle libertà fondamentali dei Trattati operata da una siffatta normativa, avente carattere spiccatamente anti-abusivo, si esprimeva nel senso che la stessa di per sé non poteva essere considerata ammissibile, in quanto contraria ai principi dei trattati a meno che lo scopo specifico della normativa fosse di ostacolare costruzioni di puro artificio, destinate ad eludere le imposte nazionali. Sentenza CGUE 12. 9. 2006 – CAUSA C-196/04.

25 Nel caso di specie gli elementi oggettivi sui quali fondare l’eventuale giudizio di anomalia sono stati identificati nella presenza di locali commerciali, delle strutture necessarie allo svolgimento dell’attività d’impresa, del relativo personale impiegato.

26 Cfr. rispettivamente sentenze CGUE 10 aprile 2008 – causa C-309/06, 13 marzo 2007 – causa c-524/04, 18 luglio 2007 – causa c-231/05.

27 I giudici nazionali sostenevano che l’autonomia contrattuale delle parti e la libertà di scelta del contribuente potevano essere limitati solo da specifiche disposizioni di legge, per cui, in difetto, si rimaneva nell’ambito della mera lacuna della disciplina tributaria (Cassazione, Sent. 03-04-2000 n. 3979), o dichiaravano l’impossibilità di applicare retroattivamente norme antielusive (Cassazione, Sent. 03-09-2001 n. 11351) anche a fattispecie espressamente contemplate ex post, confermando così la mancanza di una generale diposizione anti-elusiva all’interno del nostro ordinamento.

28 Nella disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’art. 7 del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, pur non esistendo nell’ordinamento fiscale italiano una clausola generale antielusiva, non può negarsi l’emergenza di un principio tendenziale, desumibile dalle fonti comunitarie e dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale (Corte di Cassazione, 21-10-2005, n. 20398 nonché 22932/2005 e 20816/2005). Si trattava di operazioni di dividend washing e stripping, perfezionate in periodi non coperti dalle disposizioni anti-elusive specifiche introdotte in seguito, né dalla clausola anti-elusiva “quasi generale” ex art 37 bis.

29 Cfr G. ESCALAR, “Indebita trasformazione del divieto di abuso del diritto in divieto di scelta del regime fiscale meno oneroso”, in Corriere Tributario n. 35/2012.

30 Cfr. M. BEGHIN, “Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale”, in Quad. della Riv. dir. trib., n. 4, Milano, 2009. Con le sentenze che vanno dal 2006 al 2008 (n. 10353 del 5.5.2006, n. 21221 del 29.9.2006, n. 8772 del 4.4.2008, n. 10257 del 21.4.2008, n. 23633 del 15.9.2008 e n. 25374 del 17.10.2008) si afferma quindi la piena operatività dell’abuso del diritto in via generalizzata in tutti i settori dell’imposizione fiscale, quale principio tendenziale di diretta derivazione comunitaria.

31 L’ottica dei rapporti elusione/norma legislativa si è così ribaltata e le singole norme antielusive vengono invocate non più come eccezioni a una regola, ma come vero sintomo dell’esistenza di una regola […] Non si dubita, cioè, più della generale applicabilità della clausola antielusione. Cass. Sez. Trib. 4 aprile 2008, n. 8772.

32 F. PAPARELLA “Considerazioni generali in tema di elusione fiscale e abuso del diritto”, in Neotera A.N.T.I. n. 1/2009 “Elusione fiscale e abuso del diritto”.

33 Con la sentenza 25374 del 2008 la Corte chiarisce che l’individuazione dell’impiego abusivo di una forma giuridica incombe sull’amministrazione finanziaria, la quale non potrà limitarsi ad una mera e generica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta, mentre l’onere di dimostrare che l’uso della forma giuridica corrisponde ad un reale scopo economico, diverso da quello di un risparmio fiscale, incombe sul contribuente.

34 N. 30055, 30056 e 30057 del 23/12/2008. La Cassazione afferma dunque che non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

35 Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività (art.53 Cost).

36 Cfr. anche la sentenza n. 1465/2009, laddove si chiarisce che è onere dell’A.F. non solo prospettare il disegno elusivo dell’operazione ma anche provarele supposte modalità di manipolazione o di alterazione di schemi classici rinvenute come irragionevoli in una normale logica di mercato se non ispirati dal perseguimento di un vantaggio fiscale.

37 Così ad esempio nella sentenza n. 1372/2011 si chiarisce che le motivazioni extrafiscali (ancorché prevalenti) che possono scongiurare la qualificazione abusiva non necessariamente presuppongono una redditività immediata, ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. Ed ancora in tale sentenza si conferma l’orientamento della Corte in merito alla ricerca del canone di anormalità negli schemi giuridici utilizzati piuttosto che nella natura delle operazioni poste in essere, divergendo quindi dall’orientamento dei giudici comunitari come precedentemente chiarito. Nel caso in esame, avente ad oggetto una operazione di leveraged buy out, i giudici propendono per non considerare abusiva un’operazione per la quale non era stata accertata alcuna anomalia o artificiosità negli schemi giuridici utilizzati, sebbene l’impiego di certe forme contrattuali portasse a un risparmio d’imposta maggiore rispetto ad altri strumenti che il contribuente avrebbe potuto utilizzare.

38 Commissione tributaria regionale della Lombardia (sent. n. 55/2012).

39 La Corte di Cassazione con sentenza n. 7739/2012 ha affermato la rilevanza penale dell’elusione attuata attraverso il ricorso a qualsiasi forma di abuso del diritto; con sentenza n. 19100/2013 la Cassazione ha riaffermato l’orientamento che ammette la compatibilità dell’abuso del diritto con il reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000).

40 Allo stato, nel corso della XVII legislatura è in corso l’iter parlamentare di delega per la riforma del sistema fiscale, che enuclea anche l’abuso.

41 Secondo le stime più recenti, nel Regno Unito il “tax gap” – ossia la differenza tra il gettito fiscale potenziale e quanto effettivamente percepito dall’erario – ammonta a 35 miliardi di sterline. Il 14% di questo importo, pari a 5 miliardi di sterline, sarebbe ascrivibile a fenomeni elusivi.

42 Per una sintetica disamina dell’evoluzione della giurisprudenza delle corti inglesi cfr. S. Gatley (2011) in “Tax avoidance: the current UK approach” (www.inhouselawyer.co.uk).

43 Nel caso Ayrshire Pullman v CIR (1929) Lord Clyde affermò testualmente: “No man in this country is under the smallest obligation, moral or other, so as to arrange his legal relations to his business or to his property as to enable the Inland Revenue to put the largest possible shovel in his stores. The Inland Revenue is not slow, and quite rightly, to take every advantage which is open to it under the taxing statutes for the purposes of depleting the taxpayer’s pocket. And the taxpayer is, in like manner, entitled to be astute to prevent, so far as he honestly can, the depletion of his means by the Inland Revenue”. In tal senso, cfr. Lord Cairns in Partington v Attorney-General (1869), Lord Sumner in Fisher’s Executors v CIR (1926), Lord Tomlin in Duke of Westminster v CIR (1936).

44 Cfr. HMRC’s GAAR GUIDANCE, par. B2.3

45 Dal 2004 al 2012 sono stati segnalati ed esaminati più di 2000 schemi e, grazie alle conseguenti modifiche legislative, sono stati messi in sicurezza circa 12,5 mld di sterline gettito.

46 Si è cercato di tradurre la denominazione delle imposte britanniche in modo da assimilare il più possibile queste ultime ai tributi eventualmente presenti nel nostro ordinamento. Analogamente, alcuni concetti sono stati tradotti facendo ricorso a termini familiari al giurista italiano. Informazioni tecniche più rigorose e dettagliate possono rinvenirsi sul sito dell’amministrazione finanziaria inglese (HMRC): www.hmrc.gov.uk. Si veda anche W. Sinclair, E.B. Lipkin, St James’s Place Tax Guide 2013-2014.

47 In Gran Bretagna all’agenzia fiscale spettano anche l’amministrazione dei contributi previdenziali.

48 Sebbene alcuni casi eccellenti di utilizzo dei trattati sulle doppie imposizioni (Google, Amazon, Starbucks) abbiano attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media negli ultimi mesi, sembra che il governo britannico abbia momentaneamente rinunciato ad agire su questo fronte con norme di diritto interno in attesa degli sviluppi in sede OCSE.

49 Si noti che in questo modo viene anche definito il legittimo risparmio di imposta.

50 Definizione atecnica ma estremamente eloquente tratta da HMRC, “Tackling tax avoidance”, September 2012.

51 La Guida è divisa in cinque sezioni: A) scopo e natura della Guida; B) descrizione sintetica delle finalità e del funzionamento della GAAR; C) approfondimenti specifici; D) esempi; E) questioni procedurali. Nella sezione D, piuttosto corposa, sono riportati esempi di operazioni fiscali ritenute elusive e di operazioni ritenute non elusive.

52 Al vertice dell’agenzia fiscale britannica vi sono sette commissari, nominati dalla Corona.

53 Infatti, qualora i membri del sottocomitato non raggiungano una posizione comune, il sottocomitato produrrà due o addirittura tre pareri distinti. E’ prevista anche la pubblicazione dei pareri sul sito dell’agenzia fiscale, con tutte le cautele necessarie a tutelare l’anonimato dei contribuenti. Inoltre, si terrà conto dei pareri del Comitato per i futuri aggiornamenti della Guida all’applicazione della GAAR redatta dall’agenzia fiscale.

54 Nel sistema britannico colpa e dolo rilevano non solo ai fini dell’entità delle sanzioni, ma anche per stabilire i termini di decadenza all’azione di accertamento.

55 Si tratta di un antico principio del sistema giuridico britannico, formulato con la finalità di proteggere le prerogative del Parlamento. Notava infatti W. Blackstone nel XVIII secolo che se ai giudici fosse permesso di rivedere le leggi ritenute irragionevoli alla luce delle dichiarazioni rese dai parlamentari, ciò equivarrebbe a collocare il potere giudiziario al di sopra del potere legislativo. Per vero, nel 1992 la Camera dei Lord ha sostenuto che, in casi eccezionali e a certe condizioni, la regola può essere disapplicata quando la legge è particolarmente ambigua e oscura (cfr. Lord Browne-Wilkinson in Pepper v Hart, 1992).

56 Sembra infatti che la Suprema Corte italiana, a partire dalla sentenza 25374/2008, abbia tradotto il criterio dell’anormalità/artificiosità dell’operazione elaborato dalla Corte di Giustizia ancorandolo a elementi giuridico-formali. Tale impostazione ispira anche la sentenza n. 1465/2009, laddove si chiarisce che è onere dell’A.F. non solo prospettare il disegno elusivo dell’operazione ma anche provare le supposte modalità di manipolazione o di alterazione di schemi classici rinvenute come irragionevoli in una normale logica di mercato se non ispirati dal perseguimento di un vantaggio fiscale.

57 Cfr. D. STEVANATO, Elusione e abuso del diritto tra diritto interno e diritto dell’Unione Europea, in www.giustizia-tributaria.it/documenti/seminari_corsi_formazione/seminario_Trieste_15e16_febbraio/relazioni/.

58 Raccomandazione della Commissione Europea C(2012) 8806 del 6 dicembre 2012.

59 Tra questi indicatori figura anche “l’anomalia” degli schemi giuridici utilizzati, ma si tratta di uno dei possibili elementi che possono configurare l’artificiosità dell’operazione e, quindi, l’abuso. Pertanto, secondo la Commissione l’elusione fiscale va oltre l’abuso delle sole forme giuridiche.

60 Per tutte la recente Cassazione penale, sez. III, sentenza n. 33187 del 31.7.2013. Non va inoltre dimenticato che è stato oggetto di proposta di legge l’introduzione di ipotesi di reato per operazioni elusive perfezionate all’estero (cfr. proposta di legge n. 950 “Zanetti”).

61 Cfr. la proposta del comandante generale della Guardia di Finanza in un’audizione in Commissione Finanze della Camera (luglio 2013).

62 Gli Stati membri sono incoraggiati a inserire la seguente clausola nella legislazione nazionale: Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro sostanza economica.

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