Con l’ordinanza n.11765 del 26 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha stabilito che costituisce una compressione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione, l’inutilizzabilità della documentazione bancaria, che non esibita in sede amministrativa, sia prodotta dal contribuente in giudizio.
La normativa vigente
L’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, richiamato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza in commento, afferma che “ le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’Ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.”
Prosegue la norma “ Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri ed i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”.
Il caso
Nel caso in esame, i giudici di legittimità sono stati chiamati a decidere in merito ad un ricorso avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Napoli, sezione staccata di Salerno, la quale, a sua volta, aveva confermato la validità e la fondatezza di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Salerno.
L’Ufficio, aveva accertato sinteticamente una maggiore IRPEF nei confronti di una contribuente, addebitandole un incremento patrimoniale a fronte dell’acquisto di un appartamento.
Impugnato l’avviso di accertamento, la contribuente esibiva, solo in giudizio, la documentazione bancaria giustificativa dell’incremento patrimoniale addebitatogli.
Con l’ordinanza n. 11765/2014 la Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni della C.t.p. e della C.t.r.. La sentenza della CTR – così recita la Suprema Corte – parla di “decrementi finanziari tardivamente addotti con documentazione bancaria non esibita all’Ufficio senza alcuna giustificazione dell’inadempimento per cause non imputabili alla contribuente”.
Il giudice del rinvio, in sostanza, pur dando atto che tale documentazione avrebbe potuto determinare un esito almeno parzialmente favorevole alla contribuente, non prendeva in considerazione la documentazione bancaria prodotta fin dal giudizio di primo grado, in quanto “non esibita all’Ufficio” in sede amministrativa.
I giudici della Commissione Tributaria Regionale della Campania, nella sentenza impugnata dinanzi alla Corte di legittimità richiamavano implicitamente l’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973.
Secondo i giudici di legittimità tale disposizione deroga ai principi sanciti dagli artt. 24 e 53 della Costituzione.
Si tratta dunque, secondo la Cassazione, di una norma da applicare in modo che non comprima il diritto di difesa del contribuente e che non obblighi questo a pagamenti non dovuti, ma che consenta di sanzionare l’ipotesi in cui manchi la “genuinità” dei documenti prodotti in giudizio.
In proposito, devono intendersi << genuini >> i documenti che siano affiorati solo in seguito e che il contribuente non si sia rifiutato di esibire in precedenza.
Proprio con l’ordinanza in commento, la Cassazione precisa che “ se si rifiuta l’esibizione di regola è perché si ha qualcosa da nascondere e si ha qualcosa da nascondere quando si è violata la norma impositiva”.
E’ proprio la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il fisco ad essere meritevole di sanzione!
Proprio questo principio induce i giudici di legittimità a dare, nell’ordinanza in commento, una interpretazione rigorosa del termine “invito” di cui parla la norma.
Tale “invito” dell’Ufficio deve essere specifico e puntuale, oltre che accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza.
Riepilogando, secondo i giudici di Piazza Cavour, il fatto che la documentazione non sia esibita dal contribuente in sede amministrativa, può giustificare la condotta dell’Amministrazione Finanziaria che procede ad accertamento, ma non determina l’impossibilità di produrre tale documentazione in sede contenziosa. Tale significativa sanzione scatta solo ove l’Amministrazione Finanziaria, invece di esercitare i propri poteri di indagine ed accertamento, inviti il contribuente ad esibire la specifica documentazione relativa a tali rapporti.
Le sentenze di segno contrario
Non mancano decisioni di segno contrario ove la Corte ha ritenuto, invece, che la sanzione della inutilizzabilità non scatti solamente in presenza di dolo ma anche quando sia frutto di un errore non scusabile.
Con sentenza n. 27595 del 2013, infatti, il Supremo Collegioha ritenuto il divieto di utilizzo, in sede contenziosa, di documenti non originariamente esibiti in sede amministrativa.
In questo caso secondo i giudici di legittimità il divieto di utilizzare i documenti non opera solo nell’ipotesi di rifiuto (integrante l’elemento psicologico del dolo) di esibizione, ma anche nelle fattispecie in cui il contribuente dichiari, contrariamente alla realtà, di non essere in possesso di documentazione, o li sottragga all’ispezione non al fine di impedire la verifica ma per errore non scusabile, di fatto o di diritto (causato da negligenza, disattenzione, dimenticanza o carenze logistico-amministrative).
Conclusioni
La ratio della norma in questione è destinata a contrastare atteggiamenti ostruzionistici dei contribuenti configurabili qualora la richiesta del fisco sia circostanziata.
Non si può ravvisare un rifiuto di esibizione nel caso in cui la richiesta dell’Ufficio riguardi genericamente una indefinita categoria di documenti.
La valutazione della prova documentale prodotta nel processo tributario, perciò, può essere influenzata dallo sleale comportamento del contribuente nella fase istruttoria, ma è necessario che tale comportamento sia deliberatamente volto ad impedire, ovvero ostacolare, il controllo oppure a far dubitare della genuinità dei documenti esibiti.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 11765, ribadisce una posizione già espressa in altre occasioni (sentenza n. 8539/2014) ove è statuita la necessità del dolo, con la conseguente inapplicabilità della sanzione impropria dell’inutilizzabilità dei documenti in caso di mancata esibizione dovuta a colpa del contribuente.